sabato 11 aprile 2009

GRANDE E SANTA DOMENICA DI PASQUA



La gioia pasquale

L'essenza del cristianesimo è credere nella morte e resurrezione del Signore Gesù Cristo, fondamento di tutto l'agire del credente.
In Quaresima, tempo a giusto titolo chiamato quadragesimale sacramentum, dove "sacramento" equivale in pratica a "strumento di salvezza", abbiamo vissuto la morte del Signore attraverso la pratica penitenziale. Nel tempo pasquale, tempo definito come: resurrectionale sacramentum, viviamo nella gioia la resurrezione del Signore, celebrando la sua misericordia perché con la resurrezione è venuta la riconciliazione a tutto il mondo.
Gesù risorto è il Signore della storia nostra, egli sta al centro della nostra sorte eterna e temporanea, egli è il fulcro di tutta la nostra vita, per cui la celebrazione del Signore è sempre la celebrazione di quello che lo Spirito Santo compie nella vita del credente: se è di Cristo, dunque è anche nostra.
Celebrare Cristo risorto significa celebrare l'uomo risorto, l'uomo battezzato, crismato e comunicato, l'uomo cioè unito alla sorte di Cristo.
Celebrare Cristo risorto significa per il battezzato riscoprire il proprio battesimo e le virtualità di esso.
Divideremo dunque questa meditazione in due parti: la prima ci introdurrà dentro il mistero della resurrezione, cioè dentro una caratteristica del mistero pasquale: la gioia della resurrezione, la seconda invece dentro il mistero della nostra unione col Cristo avvenuta nel battesimo-cresima-eucaristia, cioè nei sacramenti della iniziazione cristiana.

I Parte

La gioia biblica, della resurrezione, anche "dentro le tribolazioni", quasi non fa parte della predicazione cristiana.
Eppure è il culmine immediato della resurrezione del Signore. Così era sentito dalla Comunità primitiva. Così da tutti gli autore del N.T.
Esistono strani ricorsi. In effetti, la predicazione della gioia già si scontrava al tempo di Paolo con un mondo che è poco caratterizzare con triste. Come ai tempi nostri. L'eccellente livello culturale nell'impero romano, così cosmopolita, il saldo ordinamento giuridico della società imposto dai Romani, i fervidi e quasi febbrili culti misterici ed orientali, le filosofie popolari che insegnavano sia pure a pagamento i maestri itineranti, oltre le scuole classiche, gli operatori di prodigi e di miracoli che pullulavano, insomma tutte queste proclamate "vie alla salvezza"; ed inoltre, la complessa vicenda storica stessa al tempo del N.T. e di Paolo, la cosiddetta pax romana, che si rivelò piuttosto come una non-guerra momentanea, tutti questi fattori ed altri, promettevano tanto, ma se suscitavano qualche speranza presto delusa, non provocavano certezza, né gioia.
Anche quando personalità eccellenti, come anche i sollevatori politici, promettevano speranza e felicità future, mai parlavano di gioia, non era nelle loro prospettive. Il mondo antico, eppure, aveva un ricco vocabolario della gioia; tuttavia non aveva l'idea, i contenuti ed i motivi per una gioia vera e perenne.
Il nostro mondo è stranamente simile a quello di Paolo. Le ideologie politiche e le teorie spicciole, il pensiero, le scienze, l'arte e la cultura in genere non conoscono la gioia, non la nominano.
Si parla ancora di progresso, di sviluppo, di felicità promesse, ma non si conosce e non si parla mai di gioia. E paradossalmente proprio su questo sembra essersi attenuta da secoli la stessa predicazione cristiana. La quale pure ha come centro "la gioia della Resurrezione".
Ha forse San Paolo inventato qualche cosa? Ha solo, contro corrente, predicato la gioia promessa dal Signore, contro ogni evidenza, già nella sua vita storica (cfr Gv 16,20-22), e gioia da vivere non in un futuro più o meno probabile, ma già nell'esistenza terrena redenta.
Il Risorto stesso ha provocato la gioia dal primo istante della sua resurrezione, a cominciare dalle donne fedeli al sepolcro vuoto, la "gioia grande" (Mt 28,8), completata da quella dei discepoli impauriti, "nel vedere il Signore" (Gv 20,20b). Proprio qui Paolo irrompe con questo carico di grazia realmente esplodente, nel mondo pagano. Il quale giocava, sì, ma non si divertiva.
Paolo porta semplicemente l'annuncio dell'Evangèlion, la novella gioiosa secondo l'etimologia precisa, che era la predicazione apostolica comune, prima e dopo Paolo.
La gioia di Paolo, predicata con tanta insistenza, è anzitutto e si direbbe esclusivamente, in Cristo risorto e nello Spirito Santo. Certo il mondo antico, privo come era di coscienza storica e dunque di proiezione reale nel futuro vivibile, non poteva avere motivi di gioia autentica. I fedeli invece hanno contenuti e motivi, nel Kyrios, il Signore, per cui si deve esultare santamente, e se non vi fosse compreso, di nuovo Paolo lo ripete, occorre gioire sempre nel Signore (Fil 4,4). E nel Signore gioisce egli stesso, pur tra le immani tribolazioni apostoliche, per le buone condizioni spirituali di questa comunità prediletta.
Paolo sa tuttavia che questa gioia non è opera umana. Essa al contrario, scaturendo dalla resurrezione, è un preciso, inaudito dono dello Spirito Santo. Che precisamente allieta anche nella tribolazione, anzi a causa della tribolazione; la parola stessa è ricevuta nella thlìpsi, la tribolazione sia dell'apostolo, sia dei suoi fedeli (1Ts 1,6), tema così caro a Paolo. Questa grazia divina che è la gioia è quindi un dono operato ed operante, sia pure nelle difficoltà del momento. Essa si configura anche come il Regno di Dio, i cui contenuti, benché non tutti, sono prima di ogni altra realtà "giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo" (Rom 14,17).
La gioia così è il frutto dello Spirito Santo, frutto unico ed indivisibile nella mirabile triade iniziale di un altrettanto mirabile serie di tre triadi: "amore-gioia-pace / pazienza-benevolenza-bontà / fedeltà-mitezza-dominio di sé" (Gal 5,22,23).
Tale tradizione della gioia pasquale proseguiva inalterata negli echi che possiamo ascoltare dagli atti dei martiri, i quali si avviavano a rendere testimonianza, cioè che Cristo era risorto, e dunque vivente, cantando salmi ed inni. Spettacolo incomprensibile ed irritante per i loro carnefici e per il mondo a cui i martire erano offerti come supremo spettacolo. Nei martiri questo non era esaltazione fanatica, non era il gusto orrido della sofferenza e della morte, che invece evitavano per quanto potevano. Era lucida e cosciente esultanza perché erano stati resi degni di testimoniare la loro fede inconcussa, e perché vedevano il Regno della gioia senza tramonto aprirsi gioiosamente per loro.
Annunciare sempre ed instancabilmente Cristo risorto, come hanno fatto i martiri, e la sua gioia, ad un mondo triste come il nostro, che ancora gioca ma non si diverte affatto, è offrire nella suprema carità, per il bene esclusivo degli uomini nostri fratelli, i contenuti veri, autentici, reali, specifici della vita cristiana. Degna quindi di essere vissuta, nella Parola della gioia trasformante.
Nella liturgia bizantina la notte di pasqua è tutta incentrata sulla gioia. Gli inni che ci cantano durante la veglia, composti da S. Giovanni Damasceno, sono cantici di gioia.
"E' il giorno della resurrezione! Risplendiamo di luce, o popoli. E' Pasqua, la Pasqua del Signore, Dio nostro, che ha trasferiti dalla morte alla vita e dalla terra al cielo, noi che cantiamo l'inno della vittoria.
"Esultino, in modo degno, i cieli, si allieti la terra e tutto il mondo, visibile ed invisibile. Tripudi: Cristo, gioia eterna, è risorto.
"Le donne ripiene di saggezza divina vennero sollecite da te con unguenti; ma esultanti adorarono Dio vivente, quello stesso che tra le lacrime cercavano morto, e annunziarono ai tuoi discepoli con gioia, o Cristo, la mistica Pasqua.
"O tua voce divina, voce amica, voce dolcissima! Promettesti di rimanere con noi, o Cristo, fino alla fine dei secoli. Noi fedeli custodiamo con gioia questa promessa come áncora di salvezza.
"Oggi tutto il creato si rallegra e gioisce, poiché Cristo è risorto e l'Ade è stato spogliato.
"Pasqua soave, Pasqua del Signore, Pasqua! Una Pasqua augustissima è sorta per noi; Pasqua!
Abbracciamoci gli uni gli altri nella gioia. O Pasqua, liberazione dalla tristezza, poiché Cristo risplendendo dal sepolcro, come da una camera nuziale, ha colmato di gioia le donne, dicendo: " Portatene l'annuncio agli Apostoli ".

II Parte

La vita del battezzato in Cristo risorto.
Abbiamo detto che il Cristiano battezzato-crismato e comunicato, partecipa della vita di Cristo in quanto è stato inserito in lui, unito a lui e nutrito di lui.
La parola bàptisma in generale, significa infatti immersione, immersione nell'elemento acqua simbolo di morte e di vita, immersione in Cristo che uccide il peccato e che dà vita nuova, immersione nella sua divinità, nella sua carne, nella sua sorte, ecc.
Il Padre ha disposto dall'eternità l'invio del Figlio e dello Spirito, affinché nella sua indicibile economia di salvezza e di divinizzazione questo suo Figlio Unico, nello Spirito Santo, si il Primogenito tra molti fratelli (Rm 8,29).
Qui siamo rinviati all'A.T., che in questo è categorico. Il Signore Unico, il Dio vivente e buono, ha creato una volta e per sempre, senza pentimento, un'unica sua immagine e somiglianza, o icona (Gn 1,26-27). E' l'unica origine di tutti gli uomini. La sorte che divinamente è assegnata a tutti gli uomini è una e medesima: contemplare in eterno, in indicibile dialogo, il volto divino di bontà trasformante (cfr 1 Gv 3,1-2), che è la divinizzazione. E se dopo il peccato di Adamo il peccato prolifera e si comunica a tutti gli uomini come un'inarrestabile pestilenza, il disegno divino, che sembra frustrato alla radice, non si arresta.
La Sapienza divina riassume tutto e tutti dapprima con la vocazione di Abramo e poi con quella di Gesù di Nazareth, Dio fatto uomo, che ha assunto la condizione peccaminosa e mortale di tutti gli uomini, escluso il peccato.
Cristo Signore, l'icona perfetta del Padre (Col 1,15), deve per mezzo del suo spirito recuperare l'icona perfetta agli uomini, distruggendo il peccato fonte dell'alienazione dell'uomo da se stesso, dal prossimo, dal creato e da Dio. Cristo come Icona ha recuperato nella sua sfera personale questa armonia con se stesso, col prossimo, col creato e con Dio. Così il disegno di Dio che ha il suo inizio in Cristo, troverà il suo compimento quando sarà accettato dagli uomini, uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione, una immensa folla che nessuno potrà mai contare (cfr Ap 7,1-17).
Tutto questo non è altro se non l'opera efficace dell'iniziazione cristiana.
A questo proposito, S. Gregorio il Teologo così si esprime:
"L'illuminazione (il battesimo) è splendore delle anime, mutamento della vita, interrogazione della coscienza a Dio (1Pt 3,21). L'illuminazione è aiuto della nostra debolezza.
L'illuminazione è rigetto della carne e sequela dello Spirito, comunione del Verbo, correzione dell'uomo plasmato, diluvio del peccato, partecipazione della luce, dileguamento della tenebra. L'illuminazione è veicolo a Dio, pellegrinaggio di Cristo, sostegno della fede, perfezionamento dell'intelletto, chiave del regno dei cieli, mutazione della vita, espulsione della schiavitù, scioglimento dei vincoli, mutazione della composizione dell'uomo.
L'illuminazione - che si deve dire di più? -, il più bello dei doni di Dio e il più magnifico... Essa è l'icona della beatitudine di lassù".
E S. Giovanni Crisostomo nell'enumerare le prerogative del battesimo dice che esse sono dieci, e che dunque il battesimo non è dato non solo per la remissione dei peccati.
Dice il santo:
"Quelli che fino a ieri erano schiavi, ora col battesimo sono liberi e cittadini della Chiesa... Non sono infatti soltanto liberi, ma anche santi; non solo santi, ma anche giusti; non solo giusti, ma anche figli; non solo figli, ma anche eredi; non solo eredi, ma anche fratelli di Cristo; non solo fratelli di Cristo, ma pure coeredi; non solo coeredi, ma pure membra; non solo membra, ma pure tempio; non solo tempio; ma pure strumenti dello Spirito".
Appare evidente ed innegabile con quale urgenza bisogna che ci rendiamo conto e facciamo prendere coscienza anche agli altri della dignità alla quale tutti i battezzati sono stati innalzati grazie all'esperienza storica del battesimo che ha segnato per sempre la loro vita, unico fatto vitale vero, di continuo celebrato nei Misteri, in via di attuazione eterna vivendo la fede, e rispondendo al Signore ricco di doni con la carità verso lui ed i fratelli.
La vita dello spirito in noi è la graduale presa di coscienza della grazia battesimale, nel senso di una coscienza che trasforma tutto l'uomo. Il ritmo battesimale di morte e resurrezione illumina i momenti iniziatici del nostro destino. Quando tutto sembra perduto, la grazia battesimale, se noi le prestiamo attenzione, può trasformare una situazione di morte in occasione di resurrezione, una via senza uscita in un necessario innalzamento di livello.
Bisogna imparare, ed è questo il senso dell'ascesi, ad aggirare gli ostacoli, a strappare le pelli morte, per lasciare affiorare in sé la stessa vita di Cristo, il suo grande respiro di resurrezione. L'attimo (= le occasioni positive o negative della vita) deve diventare battesimale, attimo di angoscia e di morte se voglio trattenerlo, e constatarne così l'inesistenza, attimo di resurrezione se lo ricevo umilmente, come un momento di grazia, attimo in cui dimostro la mia fedeltà al mio Signore, abbandonandomi senza indugi a Cristo vincitore della tentazione, del peccato e della morte.
L'essere battezzati implica anche l'essere crismati. La cresima, sacramento più recente nella storia della Chiesa latina, completa il battesimo (col quale nelle Chiese di Oriente costituisce un unico rito), accentuando il suo carattere di battesimo nello Spirito. In Cristo, al quale si è incorporati, si riceve la forza dello Spirito, la forza di realizzare in modo unico, personale, il nuovo essere ricevuto nel battesimo. Ma non bisogna troppo separare i due sacramenti. Infatti l'umanità di Cristo è impregnata delle energie dello Spirito.
S. Cirillo di Gerusalemme nella III delle sue catechesi mistagogiche, parlando della cresima, dice questo:
"Cristo è stato unto con olio di letizia, cioè con lo Spirito Santo. Si chiama così lo Spirito perché è fonte di gioia. E voi, voi avete ricevuto l'unzione sacramentale divenendo così compagni e partecipi di Cristo".
Così la vita dello Spirito sarà la graduale presa di coscienza della grazia battesimale, nel senso di una coscienza che trasforma tutto l'uomo.
S. Agostino parlando ai neofiti disse:
"Quando avete avuto fatto su di voi l'esorcismo pre-battesimale, voi siete stati macinati. Quando, poi, siete discesi nel fonte battesimale, siete stati impastati, quando, infine, siete usciti dal fonte e su di voi è stato invocato lo Spirito, siete stati cotti, per diventare pane eucaristico gradito a Dio".
Il cristiano è, con Cristo, a sua volta: eucaristia, in quanto si nutre del cibo che mette nelle anime nostre il germe della vita immortale. Questa linfa immortale, penetrando nel battezzato lo trasforma in immortale, noi diventiamo in questo caso ciò che mangiamo e non viceversa come avviene per i cibi materiali che diventano parte di noi stessi.
"Io sono il pane vivo che discende dal cielo. Chi mangia questo pane vivrà in eterno. E il pane che io darò è il mio corpo, per la vita del mondo... Amen, Amen, io vi dico, se voi non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita"(Gv 6,51-54).
I Padri non hanno mai smesso di rivisitare codeste stupefacenti affermazioni di Gesù, Gesù è il pane del cielo, il pane vivo; il risorto si dà pienamente a noi nell'Eucaristia, che è perciò un nutrimento di resurrezione.
Gesù è pane vivo, vivificante, perché in lui la vita divina pervade la terra e l'umanità. L'Eucaristia è così potenza realissima di resurrezione, fermento di immortalità, dice Ignazio di Antiochia. Potenza oggettiva, che esige certamente di essere accolta con fede, di divenire trasfusione di energia divina in un incontro, ma che non dipende dal nostro atteggiamento. Quest'ultimo non interverrà se non per favorire o ostacolare, la diffusione del fuoco eucaristico nella nostra anima e nel nostro corpo.
Il mondo è stato creato per diventare eucaristia attraverso l'offerta degli uomini. Ed è proprio ciò che Cristo, Adamo definitivo, ha realizzato. Con la sua morte e la sua resurrezione, ha fatto passare l'universo nella gioia e nella gloria. Nell'Eucaristia ci viene offerto questo modo di essere
trasfigurato della creazione, affinché anche noi possiamo unirci a quest'opera di resurrezione.
Archimandrita Marco V. Sirchia
A tutti l'augurio e l'annuncio pasquale: Christos Anesti!, Krishti u Ngjall, Cristo è Risorto!!!

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