mercoledì 13 novembre 2013

Il codice purpureo di Rossano al Quirinale per la visita del Pontefice 

Quando i greci
si rifugiavano in Calabria

Louis Godart
In occasione della visita ufficiale di Papa Francesco, il Segretariato generale della Presidenza della Repubblica presenterà al Sommo Pontefice il famoso codice purpureo custodito presso il Museo Diocesano di Arte Sacra di Rossano e attualmente in restauro presso l'Istituto per il Restauro e la Conservazione del Patrimonio Archivistico e Librario. La presenza a Rossano di questo codice s'inserisce nella storia millenaria dei rapporti tra la Calabria e il mondo ellenico. Dall'alba della storia la Calabria è stata accogliente per le popolazioni provenienti dal mondo greco. Nel secondo millennio prima dell'era cristiana numerose sono le testimonianze di frequentazioni dei litorali calabresi da parte di popolazioni micenee provenienti dalla Grecia continentale.
Al primo millennio prima dell'era cristiana risale invece la grande colonizzazione greca. La crisi attraversata dalle società greche costringe i cittadini a emigrare alla ricerca di nuovi territori. Spinte dalle persecuzioni legate alle tensioni che lacerano le città elleniche o dalla fame, intere comunità greche tentano l'avventura occidentale. La storia delle migrazioni è eternamente dolorosa; una delle frasi più amare dell'intera letteratura greca è stata scritta da Pitagora costretto a lasciare la sua isola di Samo per cercare fortuna in Magna Grecia: "Lasciando la tua terra e salendo sulla nave, distogli lo sguardo dall'orizzonte che ti ha visto nascere".
La seconda ellenizzazione della Calabria risale al periodo bizantino ed è probabilmente in seguito alle vicissitudini che colpiscono l'impero d'Oriente che la Calabria e Rossano accolgono il celebre Codex purpureus di Rossano.
Tra l'VIII e il IX secolo si sviluppò a Bisanzio un movimento religioso che considerava idolatrico il culto delle immagini sacre e ne predicava la distruzione. La venerazione delle immagini (iconolatria) aveva raggiunto le proporzioni di un vero e proprio fanatismo che preoccupò le autorità ecclesiastiche, convinte che i fedeli fossero diventati adoratori delle sole immagini. In realtà la controversia sull'uso delle icone coinvolgeva questioni molto profonde che riguardavano la natura umana di Cristo e l'atteggiamento cristiano verso la materia. Secondo gli iconoduli (adoratori d'immagini) la rappresentazione di Cristo è un inno al dogma centrale del Cristianesimo che è Incarnazione. Vietare la raffigurazione di Cristo significa voler negare che Cristo è Dio e Uomo, entrato nella storia, vissuto in mezzo agli uomini e morto sulla croce come Dio e Uomo. Il movimento iconoclasta è stato anche probabilmente influenzato se non generato dalle accuse mosse al Cristianesimo dai fedeli dell'Islam che vieta le raffigurazioni di Dio, del profeta, persino del volto umano.
L'imperatore Leone III Isaurico si convertì al movimento iconoclasta (726) e cominciò la persecuzione degli iconoduli. Fece chiudere monasteri e chiese ribelli e tentò di imporre anche a Roma la distruzione delle immagini sacre. Papa Gregorio III, dopo aver ricevuto l'ordine di vietare le icone religiose, si oppose con forza a questa ingiunzione. Nel novembre 731 riunì un sinodo per condannare il comportamento dell'imperatore. Vi parteciparono 93 vescovi e fu decretata la scomunica per chi avesse osato distruggere le icone.
Nel 741 Costantino V, figlio di Leone III, salì sul trono di Bisanzio. A partire dagli anni 750, avviò una persecuzione violenta contro gli iconoduli. Convocò un sinodo nel 754 a Hieria che condannò esplicitamente il culto delle immagini e ordinò la loro distruzione. La popolazione e, in particolare, il ceto monastico si ribellarono alla politica di Costantino. Una feroce persecuzione si scatenò contro gli ordini religiosi. L'imperatore s'impossessò del ricco patrimonio di molti monasteri e la lotta contro le immagini diventò una lotta contro la potenza monastica e i suoi possedimenti che venivano confiscati e andavano a incrementare il tesoro imperiale.
L'effetto dell'iconoclastia sull'arte bizantina è stato devastante e ha portato alla distruzione d'infinite raffigurazioni sacre tra cui molti capolavori d'arte e tanti codici miniati. Il movimento iconoclasta ha anche esacerbato i rapporti tra la Chiesa d'Oriente e quella d'Occidente.
Il Codex purpureus è il più importante dei sette manoscritti miniati orientali esistenti al mondo, con 188 fogli conservati sui probabili quattrocento originari. Questo straordinario documento dell'arte e della cultura del VI secolo che originariamente comprendeva i quattro vangeli, preceduti dalla Lettera a Carpiano di Eusebio di Cesarea contiene nella forma attuale, oltre allo scritto introduttivo, l'intero testo di Matteo e quasi tutto quello di Marco illustrati da quattordici miniature, tutte su fogli riuniti in fascicoli separati in modo da presentare la storia della vita pubblica e della passione di Cristo, narrata in parallelo nei quattro vangeli, come un ciclo continuo. Sotto le dodici miniature narrative - cui se ne aggiungono una che fungeva da titolo alle perdute tavole dei canoni e un ritratto di Marco - si trovano inoltre i ritratti a mezzo busto dei profeti vetero testamentari, che tengono in mano dei rotoli di pergamena contenenti i testi che si riferiscono agli avvenimenti raffigurati nelle miniature superiori. In tal modo l'unione delle antiche profezie con le immagini della vita di Cristo costituisce un richiamo costante al compimento da parte di Gesù di quanto scritto: "Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi" (Luca, 24, 44). E ancora, nell'iconografia delle miniature è possibile cogliere con chiarezza rimandi alle interpretazioni teologiche di Origene, Eusebio e Metodio accolte dalla liturgia: a ulteriore testimonianza del grande interesse che il codice riveste dal punto di vista della storia della cultura e della spiritualità cristiana.
Eccezionale è, altresì, l'importanza del manoscritto come opera d'arte: le miniature, nelle quali sono raffigurati episodi come la resurrezione di Lazzaro, l'ingresso a Gerusalemme, la cacciata dei mercanti dal tempio, la parabola delle dieci vergini, l'ultima cena, la lavanda dei piedi, la comunione degli Apostoli con il pane e con il vino, Cristo a Getsemani, la guarigione del cieco, la parabola del buon Samaritano, il processo davanti a Pilato, il rimorso e il suicidio di Giuda, la flagellazione di Cristo e la liberazione di Barabba costituiscono da una parte un documento rarissimo dell'arte sacra bizantina del tempo; dall'altra, ciascuna di esse è a suo modo un capolavoro dell'arte miniata, per la vivacità e insieme l'armonia con le quali le scene della vita di Cristo sono illustrate. Infine è da sottolineare l'unicità del codice dal punto di vista della realizzazione artigianale, con particolare riferimento alla colorazione purpurea dei fogli - ottenuta per mezzo dell'immersione in una sostanza dalla tinta rosso porpora, estratta da migliaia di molluschi - e all'uso di inchiostri a base d'oro e d'argento.
Alcuni autori hanno avanzato l'ipotesi che il codice potrebbe essere giunto a Rossano all'indomani del 636-638, quando i monaci greco-melkiti di fronte all'espansione degli arabi musulmani hanno abbandonato la Palestina, la Siria, l'Egitto e la Cappadocia per cercare rifugio nell'Italia meridionale; altri invece propendono a ritenere che il manoscritto sia stato portato a Rossano da monaci iconoduli intorno alla metà dell'VIII secolo, nel momento delle feroci persecuzioni perpetrate dagli imperatori bizantini contro i monasteri dell'impero. Rossano allora e fino all'arrivo dei Normanni (quindi tra il 540 e il 1059), è una vera e propria roccaforte inespugnabile (Frurion), un centro politico e amministrativo di vitale importanza che diventerà, nel corso del X secolo, la capitale della dominazione bizantina in Italia. Da quando Rossano è diventata sede vescovile ospita monasteri con ricche biblioteche e officine in cui si copiano manoscritti (scriptoria); è stata patria di Papi come Giovanni VII, Zaccaria, Giovanni XVI, di santi come Nilo e Bartolomeo che fonderanno la celebre abbazia di Grottaferrata. La città, nota come "Rossano la bizantina", non poteva non esercitare un fascino sui monaci della diaspora e sembra logico ritenere che alcuni di loro, abbandonando la patria d'origine in seguito alle persecuzioni di Costantino V, abbiano scelto di rifugiarsi in Calabria e a Rossano, portando con sé il Codex purpureus, mirabile testimonianza dell'arte bizantina che l'intolleranza degli uomini al potere voleva distruggere.


(©L'Osservatore Romano 14 novembre 2013)

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