domenica 5 maggio 2013


DOMENICA  VI  di  PASQUA

Il sesto segno: il cieco nato ( 9, 1-41)

Per Giovanni l’essenza di questo “segno” non consiste semplicemente


           
nel fatto che venga restituita la vista, ma che venga donata la luce a chi non l’aveva mai posseduta. La luce che Gesù è venuto a portare non appartiene per diritto agli uomini, ma è un pure dono di Dio offerto per mezzo di Gesù Cristo: l’uomo, in questo senso, è per natura cieco nato.
 Nel racconto si nota la tensione con il giudaismo, raffigurata non solo nel processo al cieco perché neghi l’opera di Gesù, ma anche in una nota che in realtà riflette la situazione del tempo in cui scriveva l’evangelista: “I Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga” (9,22). Ma un filo conduttore è quello affidato alla sequenza dei titoli attribuiti a Gesù, destinati in crescendo a mostrare che il vero approdo non è tanto quello della vista fisica ma quello della fede: “quest’uomo” Gesù, “inviato”, “profeta”, “colui che è da Dio”, “Figlio dell’uomo”, “Signore”, con l’adorazione finale: “Io credo Signore” e gli si prostrò innanzi (v. 38).

La finale del racconto giovanneo del “segno” del cieco nato ha al centro la piena conversione del miracolato che proclama la sua fede nel Cristo come Kjrios “Signore”, il termine greco con cui si traduceva il nome divino JHWH della Bibbia ebraica. Ancora una volta è confermato il fatto che per il quarto evangelista i miracoli abbiano un valore trascendente, da scoprire oltre il pure evento storico.
Chi ha peccato? E’ l’eterna domanda che angustia il cuore dell’uomo di fronte al male. Bisogna trovare un responsabile, un colpevole a cui addossare il peso del male che sconvolge la nostra tranquillità. Così ci scarichiamo di ogni responsabilità e non cambiamo nulla dentro di noi.
Spesso il colpevole è il prossimo, la società, i potenti, oppure è Dio stesso che “permette”, che non proibisce, che non interviene a cambiare le cose! Ancora una volta si cerca di giudicare Dio e di misurarlo con le nostre povere capacità.
Ma Gesù risponde in modo chiaro e deciso: “Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio” (v. 3). E’ la risposta che non ammette repliche, e cambia totalmente la visuale dell’uomo; è la risposta che comincia ad illuminare la mente umana con una luce nuova e la libera dalle strettezze che le impediscono di vedere tutta la realtà, anche quella invisibile.
Qui viene una prima lezione di conversione: smettiamola di guardare sempre tutto con la nostra miopia; smettiamola di giudicare confrontandoci con la nostra povera esperienza.
E’ ora di aprirci alla vastità di Dio, alle sue dimensioni, alla sua grandezza. Ciò comporterà un senso di smarrimento, ma è il segno che finalmente siamo entrati nella sfera dell’invisibile, del soprannaturale, cioè della realtà definitiva dell’uomo.
           “Tu l’hai visto!”. Così si presenta Gesù al cieco guarito (v. 37), dopo gli interrogatori dei farisei che hanno cercato di negare l’evidenza del miracolo solo per coprire il loro orgoglio e l’ignoranza di chi non vuole uscire dalle sicurezze abitudinarie.
Il cieco “vede”, mentre quelli che credono di “vedere” non vedono e non capiscono nulla, si coprono di ridicolo e restano nella menzogna: “Se foste ciechi non avreste nessun peccato, ma siccome dite di vedere, il vostro peccato rimane” (v. 41)
Il giudizio di Gesù è talmente chiaro e pesante, da suscitare l’ira e la vendetta di quei giudei tanto insofferenti di fronte alla verità. Ma questo giudizio cade anche su tutti noi quando non abbiamo il coraggio di aprire gli occhi, pensando di sapere già tutto, di avere già fatto la scelta giusta, di non avere più nulla da cambiare.
La conversione di cui abbiamo bisogno è precisamente questa: sentirci in stato di ricerca, desiderosi di un “di più” e di “un meglio” senza accontentarci di quello che già sappiamo e già siamo: voler conoscere meglio la parola di Dio per metterci in discussione e adeguare il vivere al credere.
Ma c’è sempre in noi la paura della luce: vogliamo tenere per noi qualche angolo oscuro della coscienza dove entriamo soltanto noi, ma Gesù ci ammonisce: “Mentre avete la luce, credete nella luce per diventare figli della luce” (Gv 12,36). Noi cristiani abbiamo la fortuna di avere la luce. Saremmo ingrati e sciocchi se non usassimo questo dono. Apriamoci “alla luce della fede” per portare un giudizio più positivo sulla nostra storia quotidiana, sul mondo e sulla chiesa: non il senso del castigo, della fatalità del male o dell’impossibilità di una santità autentica desiderata e costruita ogni giorno, ma la certezza che in noi “si manifesta l’opera di Dio” (v. 3). Gesù ce lo assicura e mette nelle nostre mani la realizzazione di questa promessa..
La luce di Dio illumini la nostra vita quotidiana e ci faccia capire le spinte segrete che muovono le nostre scelte anche in seno alla comunità cristiana, il perché di tanti nostri contemporanei che di cristiano non hanno nulla. Lasciamoci guidare dal “gusto” di Dio che non guarda alle apparenze ma al cuore, e diamo alle nostre relazioni e ai nostri giudizi sul prossimo questa nuova misura, cambierà qualcosa e in meglio.
A noi si presenta il Cristo, come messia, come profeta, come salvatore, a noi rivela la sua vera identità: non restiamo indifferenti, non lasciamoci raffreddare dall’abitudine. “Io credo” (v. 38) diventa allora la professione di un impegno decisivo.
La nostra vocazione di cristiani è di essere luce e figli della luce, e non possiamo essere luce che in lui, poiché ha detto: “Io sono la luce del mondo” (Gv 8,12).
Nel battesimo noi siamo diventati “luce” e “figli della luce”. Così al simbolismo battesimale dell’ “acqua viva” si aggiunge quello della “luce”.
       Il cammino del cristiano,è cammino di luce, è cammino di risurrezione. L’apostolo Paolo ci esorta, di conseguenza, a comportarci come “figli della luce” e ci indica che “il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità” (Ef 5,9). Lo stesso apostolo ci suggerisce il proposito che dobbiamo fare e la decisione che dobbiamo prendere se vogliamo essere figli della luce: “Gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze, non fra impurità e licenze, non in contese e gelosie” (Rm 13, 12-13).
Noi siamo luce del Signore.

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