Alle porte della Quaresima
nelle omelie di Severo di Antiochia
Lungo i
sei anni di episcopato ad Antiochia dal 512 al 518, il patriarca Severo predicò
ogni anno delle omelie alle porte del cammino quaresimale, e poi durante il
grande digiuno dei quaranta giorni. Vorrei soffermami nelle omelie cattedrali
XV predicata il 22 febbraio 513, e XXXIX predicata il 16 febbraio 514,
millecinquecento anni fa. Si tratta di esortazioni al popolo antiocheno, con il
digiuno come filo conduttore di ambedue le omelie.
All’inizio
della prima delle omelie, Severo paragona la preparazione alla Quaresima
all’allenamento degli atleti in vista alle gare che debbono portare a termine.
In questo allenamento il digiuno è uno degli aspetti più importanti; e di
questo digiuno gli apostoli sono i legislatori e i custodi: “E’ una legge che
prima dei combattimenti gli atleti lottino gli uni contro gli altri… Anche io
chiamo combattimento preliminare questi giorni e l’inizio del digiuno dei
quaranta giorni… In questa chiesa fondata dagli apostoli che sono, dopo Cristo
stesso, i legislatori e i custodi del digiuno… Loro che per mezzo del digiuno
vogliono purificare la nostra anima e ripulire l’immagine di Dio, oscurata
dalle passioni”. Per Severo il digiuno è qualcosa prescritta da Cristo stesso
quando ha detto: «Tu, quando digiuni, ungiti la testa e lavati il viso»; e il
Signore ci dà questo suo comandamento per due motivi: “…poiché vuole
allontanarci dalla vanagloria ha detto questo, e così ci comanda di ungere e
far brillare la testa del nostro uomo interiore, e lavare col digiuno gli occhi
del nostro sguardo spirituale… inoltre la causa del digiuno è il nostro
combattimento contro i demoni”. In questa lotta contro i demoni Cristo stesso
diventa il nostro modello o piuttosto colui che incarnandosi ha lottato per noi.
Severo antepone sempre in tutto il suo pensiero teologico la centralità
dell’incarnazione: “Così, dopo la trasgressione di Adamo, il Verbo di Dio,
rimanendo quel che era, si è fatto uomo per noi senza mutamento, e si è fatto
suo questo combattimento che era nostro e si è assunto questa lotta contro il
nostro nemico”.
Severo
sottolinea come il digiuno del Signore nel deserto è di quaranta giorni come
quello di Mosè ed Elia, e non superiore loro, per spingere il diavolo a lottare
contro di lui e non fuggire di fronte a quello che sarebbe una sua
manifestazione di natura divina: “Lui (il Signore) digiuna anche, e dopo
quaranta giorni volontariamente ha fame anche lui, senza superare il digiuno di
Mosè ed Elia, e così dare al nemico un’occasione di combattimento. Infatti se
lui avesse superato i quaranta giorni, allora (il nemico) avrebbe avuto paura
di combattere con lui, avendo scoperto la sua divinità e non come esempio per
gli uomini”. Severo quindi spiega al suo uditorio il senso del digiuno
quaresimale a partire da due parametri: quello della dimensione simbolica del
numero quaranta, e quindi il collegamento con il giorno della Pasqua di Cristo
stesso: “Vedete che noi digiuniamo quaranta giorni. Perché? Per poterci
preparare all’ottavo giorno che è anche il primo, il giorno del Signore. Coloro
che purificano otto volte i cinque sensi che sono le porte del peccato, cioè la
vista, l’udito, il tatto, il gusto e l’odorato, digiunano quaranta giorni, per
arrivare al giorno benedetto, giorno ottavo e primo. Infatti il numero cinque
ripreso otto volte ci porta al numero quaranta…”.
Severo
insiste nel vivere il digiuno non come una legge imposta ma come un dono,
accolto nella gioia e nella gratuità: “Digiuna ogni giorno ben volentieri,
ringraziando il Legislatore e Medico, e rallegrandoti sempre. E se non vuoi
neanche accorgerti della durata di questi giorni, alimenta la tua anima con
pensieri divini, e leggi le Sante Scritture e gli scritti dei dottori e dei
mistagoghi della Chiesa… E se hai un lavoro manuale da fare, fallo normalmente
… ma che la tua bocca canti dei salmi che riempiano di benedizione e di grazia
il tuo lavoro”. E per evitare che il suo gregge si scoraggi lungo il cammino
quaresimale, Severo lo esorta a frequentare le liturgie e le ufficiature della
Chiesa: “Fa diventare la tua casa una chiesa, tu che hai ascoltato questi
insegnamenti perfetti ed evangelici… Inoltre invece di dormire àlzati, va alla
chiesa e ascolta l’ufficiatura dei salmi; e allora sarai toccato dall’amore
divino… e mediterai giorno e notte la legge di Dio”.
Severo
conclude l’omelia indicando quale deve essere l’atteggiamento profondo di colui
che digiuna, quasi fosse una parafrasi della pericope di Mt 25: “Vorrei dire
tante altre cose ma non c’è tempo. Dico soltanto questo al posto di tutto
quello che dovrei dire: cioè colui che digiuna deve mettere nelle mani dei
poveri il prezzo degli alimenti che avrebbe effettivamente mangiato se avesse
fatto il pranzo, e che il suo digiuno alimenti Cristo stesso che ha fame. Così
in questo Cristo vede che hai digiunato e hai illuminato la lampada
dell’astinenza. Perché a lui non piace una perfezione, anche se reale, se manca
la pietà.”
La seconda
delle omelie citate all’inizio, sviluppa il tema del digiuno come combattimento;
allo stesso modo che gli ebrei erano esortati da Mosè a lottare, anche i
cristiani lo sono dal vescovo, altro Mosè in mezzo al popolo: “Mosè, il
servitore di Dio, quando i figli di Israele uscivano a combattere, comandava ai
sacerdoti di esortare il popolo al combattimento… Anche noi abbiamo la speranza
di esortarvi con delle promesse ancora più grandi a voi che siete le truppe
spirituali che vi preparate al combattimento del digiuno…”. Severo sviluppa
ancora due altri aspetti legati al digiuno: Adamo come colui che doveva
digiunare e non l’ha fatto e quindi i cristiani che digiunano come terapia spirituale:
“In questo infatti consiste l’amore di Dio e la sua sollecitudine verso di noi…
e nella sua misericordia ha permesso che ci sia un combattimento per farci
apparire alla fine gloriosi e vittoriosi e partecipi dei beni eterni”.
P. Manuel
Nin
Pontificio
Collegio Greco
Roma
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