Sul monte testimoni del Signore
La Trasfigurazione nella tradizione bizantina
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dall ‘ Osservatore Romano 05 agosto 2014
Nella tradizione
bizantina, come nelle altre tradizioni delle Chiese orientali, la
Trasfigurazione del Signore è una delle grandi feste dell’anno liturgico. Essa
ha una vigilia il 5 e un’ottava fino al 13 agosto. I testi liturgici del giorno
prefestivo sono tutti un invito a salire con Cristo sul monte; come se la
liturgia, da ottima pedagoga, volesse portare per mano i fedeli a contemplare e
vivere il mistero che si celebra nella festa: «Venite, uniamoci a Gesù che sale
al monte santo: là udremo la voce del Dio vivente. Venite, apriamo la danza,
purifichiamoci, e con fede prepariamoci alla divina ascesa verso l’eccelsa
città di Dio. Venite dunque, prepariamoci bene ad accostarci domani al santo
monte di Dio per contemplare l’immutabile gloria di Cristo».
I testi
dell’ufficiatura della festa accostano questo mistero della vita di Cristo, di
cui furono testimoni i tre discepoli dal Signore portati con lui sul Tabor,
all’episodio del Getsemani: anche lì infatti erano presenti Pietro, Giacomo e
Giovanni. Così i tropari ci portano a contemplare la passione e la croce del
Signore e, infine, i testi fanno della trasfigurazione una prefigurazione della
risurrezione del Signore stesso.
Diversi tropari
situano la trasfigurazione del Signore non soltanto cronologicamente prima
dalla croce ma come il mistero che prepara i discepoli, e la Chiesa tutta, alla
comprensione della passione stessa di Cristo: «Prima che tu salissi sulla
croce, Signore, un monte ha raffigurato il cielo, e una nube lo sovrastava come
tenda. Mentre tu ti trasfiguravi e ricevevi la testimonianza del Padre, erano
con te Pietro, Giacomo e Giovanni, perché, dovendo essere con te anche nell’ora
del tradimento, grazie alla contemplazione delle tue meraviglie non temessero
di fronte ai tuoi patimenti: quei patimenti che noi ti preghiamo di poter
adorare in pace, per la tua grande misericordia. Prima della tua croce, o
Signore».
Nella stragrande
maggioranza i testi insistono sul tema della presenza dei tre discepoli,
Pietro, Giacomo e Giovanni, gli stessi che il Signore prese in disparte nel
Getsemani al momento della sua agonia e della sua preghiera accorata al Padre.
Nell’orto i discepoli cadono addormentati, durante la trasfigurazione cadono
folgorati dalla gloria di Cristo. I tre che nel Tabor contemplano la divinità
di Cristo, nell’orto ne contemplano la piena umanità: «O Signore, prendendo con
te i discepoli su un alto monte, davanti a loro ti sei trasfigurato,
illuminandoli con bagliori di potenza, volendo mostrare loro, sia per amore
degli uomini che per la tua signoria, lo splendore della risurrezione. E il
mistero nascosto dall’eternità lo ha negli ultimi tempi manifestato a Pietro,
Giovanni e Giacomo la tua tremenda trasfigurazione».
Nella trasfigurazione
i discepoli non sono capaci di guardare la gloria divina manifestatasi in
Cristo, ma sono capaci di udire la voce del Padre. L’incarnazione del Verbo di
Dio li rende capaci di ascoltare e sarà la sua risurrezione dai morti che li
renderà capaci di vederlo e confessarlo risorto e glorificato: «A Pietro,
Giovanni e Giacomo, i prescelti tra i tuoi discepoli, Signore, hai mostrato
oggi sul monte Tabor la gloria della tua forma divina: essi vedevano infatti le
tue vesti risplendenti come la luce, e il tuo volto più luminoso del sole; non
riuscendo a guardare il tuo insostenibile splendore, caddero a terra, del tutto
incapaci di fissarlo. Udivano infatti una voce che dall’alto attestava: Questi
è il mio Figlio diletto, venuto nel mondo per salvare l’uomo».
La trasfigurazione
del Signore è presentata dalla liturgia bizantina anche come rinnovamento,
ricreazione della natura umana caduta a causa del peccato: «Celebrando in
questo giorno la santissima e gloriosa trasfigurazione, glorifichiamo Cristo
che ha trasformato la nostra natura con il fuoco della divinità e, come
all’origine, l’ha resa splendente di incorruttibilità».
Poi il collegamento
che i testi stabiliscono tra la teofania sul Sinai e quella sul Tabor porta a
vedere la redenzione adoperata da Cristo anche come una nuova creazione della
stessa natura umana: «Colui che un tempo aveva parlato con Mosè sul monte Sinai
dicendo “io sono colui che è”, trasfiguratosi oggi sul monte Tabor alla
presenza dei discepoli, ha mostrato come in lui la natura umana riacquistasse
la bellezza archetipa dell’immagine. Salito infatti su questo monte, o
salvatore, insieme ai tuoi discepoli, trasfigurandoti hai reso di nuovo radiosa
la natura un tempo oscuratasi in Adamo, facendola passare alla gloria e allo
splendore della tua divinità».
Alcuni tropari della
festa sono vere e proprie professioni di fede nella divinoumanità del Verbo di
Dio incarnato: «Tu che sei il Dio Verbo sei divenuto pienamente uomo,
congiungendo nella tua persona l’umanità alla pienezza della divinità. Tale
ipostasi nelle sue due nature videro Mosè ed Elia sul monte Tabor. Si eclissò
il sole sensibile di fronte ai raggi della divinità, quando, sul monte Tabor,
ti vide trasfigurato, o mio Gesù. Fuoco immateriale che non consuma la materia
del corpo, tale ti sei mostrato a Mosè, agli apostoli e a Elia, o sovrano: uno
da due, e in due perfette nature».
Il Verbo di Dio
incarnato oggi si trasfigura sul monte Tabor: «Ora si è udito ciò che non è
dato udire: il Figlio senza padre della Vergine riceve gloriosa testimonianza
dalla voce paterna, quale Dio e uomo egli stesso nei secoli. Nato da nube
verginale e fatto carne, trasfigurato sul monte Tabor, Signore, e avvolto dalla
nube luminosa, mentre erano con te i tuoi discepoli la voce del genitore ti ha
distintamente manifestato quale figlio diletto, a lui consustanziale e con lui
regnante». Manuel Nin
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