sabato 4 agosto 2012

Domenica 5 Agosto 2012 Oggi ricorre anche:

Proeortia della Trasfigurazione di Nostro Signore Gesù Cristo

Sant'Eusinnio, martire

Si fa memoria: Domenica X di Matteo

Matteo 17,14-23

Appena ritornati presso la folla, si avvicinò a Gesù un uomo che, gettatosi in ginocchio, gli disse: «Signore, abbi pietà di mio figlio. Egli è epilettico e soffre molto; cade spesso nel fuoco e spesso anche nell'acqua; l'ho già portato dai tuoi discepoli, ma non hanno potuto guarirlo». E Gesù rispose: «O generazione incredula e perversa! Fino a quando starò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatemelo qui». E Gesù gli parlò minacciosamente, e il demonio uscì da lui e da quel momento il ragazzo fu guarito.

Allora i discepoli, accostatisi a Gesù in disparte, gli chiesero: «Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo?». Ed egli rispose: «Per la vostra poca fede. In verità vi dico: se avrete fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e niente vi sarà impossibile. [Questa razza di demòni non si scaccia se non con la preghiera e il digiuno]».

Mentre si trovavano insieme in Galilea, Gesù disse loro: «Il Figlio dell'uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà». Ed essi furono molto rattristati.



1Corinzi 4,9-16



Ritengo infatti che Dio abbia messo noi, gli apostoli, all'ultimo posto, come condannati a morte, poiché siamo diventati spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini. Noi stolti a causa di Cristo, voi sapienti in Cristo; noi deboli, voi forti; voi onorati, noi disprezzati. Fino a questo momento soffriamo la fame, la sete, la nudità, veniamo schiaffeggiati, andiamo vagando di luogo in luogo, ci affatichiamo lavorando con le nostre mani. Insultati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; calunniati, confortiamo; siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti, fino ad oggi.

Non per farvi vergognare vi scrivo queste cose, ma per ammonirvi, come figli miei carissimi. Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri, perché sono io che vi ho generato in Cristo Gesù, mediante il vangelo. Vi esorto dunque, fatevi miei imitatori!



. Riflessione sul testo

Gesù con i tre discepoli:Pietro, Giacomo e Giovanni, è sul monte della Trasfigurazione mentre gli altri discepoli sono in basso, tra la gente con i suoi tanti problemi. La gente reca sulle spalle dei discepoli un peso impossibile da portare: non ce la fanno a dare una soluzione a tutto. Manifestano i loro limiti. Solo il loro Maestro e Signore può prendere sulle sue spalle tutte le sofferenze e i mali di questa gente stanca, delusa e in cerca di chi l’aiuti.

Il versetto 14 ci mostra Gesù che con i tre discepoli si immerge di nuovo tra i problemi di ogni giorno. Gli viene incontro un uomo, uno tra i tanti e gli presenta il suo caso, dicendo: “Mio figlio è paralitico e soffre molto”. Matteo non si dilunga molto a descrivere la malattia del ragazzo; usa solo un temine greco che la caratterizza: selenìazetai = è epilettico. Però questo verbo sarebbe meglio tradurlo così come sta nel suo significato originario e cioè: è lunatico, cioè soffre per gli influssi malefici della luna.

Con questo verbo Matteo sottolinea l’impotenza dell’uomo in genere, davanti alle forze della natura: la luna, dice, è più forte dell’uomo. Motivo per cui quel padre che ha il figlio “lunatico”, consapevole della propria impotenza e della grandezza di Dio che si manifesta in Gesù, usa atteggiamenti e parole adeguate al caso: si inginocchia davanti a Gesù e dice: Kyrie, eleison vale a dire Signore, abbi pietà frase che ci porta dentro la liturgia della comunità cristiana. Per cui Matteo ci fa vedere in quel padre, un vero credente e un cristiano che sa che Gesù è il suo Signore il quale possiede ogni potere in cielo come in terra.

La sbrigativa descrizione che Matteo fa del malato è la seguente al versetto 15: “egli cade spesso nel fuoco e spesso cade anche nell’acqua” . In sostanza ci dice che quel ragazzo era nella assoluta incapacità di gestire se stesso; era reso prigioniero da forze del male (dagli influssi della luna), per cui, purtroppo, correva incontro senza opporre resistenza, a ciò che lo distruggeva e lo faceva perire (cadeva nel fuoco e nell’acqua). Quante volte anche noi ci sentiamo nelle stesse condizioni!

L’evangelista Marco è, invece, molto più ampio nel descrivere la malattia del ragazzo e più preciso, e senz’altro più pittoresco di Matteo e di Luca. Comunque questi ultimi due dipendono senz’altro dal racconto di Marco nell’esposizione del fatto. Il malato presenta nei tre Sinottici sintomi diversi della malattia. Per Matteo è un lunatico; per Marco egli ha uno spirito muto: per questi motivi il padre supplica Gesù perché intervenga e lo sani. E’ interessante il motivo presentato dal padre perché Gesù intervenga: “perché è il mio figlio unico”; il fatto di avere solo lui come figlio, è l’unica ricchezza che egli ha e il perderla renderebbe senza senso la sua esistenza.

Il versetto 16 di Matteo, proseguendo nell’esposizione del fatto, riferisce le parole del padre con le quali squalifica l’operato dei discepoli davanti al loro Maestro; essi “non hanno potuto guarirlo”, dice. Ogni uomo è incapace sia a guarire se stesso che, a guarire gli altri, soprattutto nelle malattie che toccano lo spirito: i discepoli non fanno eccezione. Ma viene da chiedersi: come mai i discepoli non sono capaci di guarire, se in Matteo 10, 1 è detto che Gesù ha conferito loro il potere di scacciare i demoni e di curare ogni malattia? Per il momento, Matteo non dà risposta a questa domanda: lo farò in seguito. Rimane però il fatto che essi non sono stati capaci di compiere il loro mestiere.

La reazione di Gesù alle parole del padre, è molto dura e riguarda non solo i discepoli ma anche tutto il popolo ebreo. Egli usa espressioni che abitualmente adopera con i suoi avversari, i farisei. Il versetto 17 riferisce questa dura reazione. Gesù, alzando di tono la voce, dice: “Generazione incredula e perversa!”. Marco usa solo l’aggettivo incredula; invece Matteo aggiunge anche perversa, come fosse una esplicitazione dell’aggettivo incredula: che non crede, chi non presta fiducia in Dio, un po’ alla volta va alla deriva, si perverte e finisce per porre la sua fiducia in ciò che non è affidabile. Poi, Gesù prosegue col suo duro discorso e dice: “Fino a quando starò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi?”. Sono frasi che riecheggiano la preghiera del giusto perseguitato e incapace di sostenere più a lungo le difficoltà, come si legge in vari salmi.

Gesù per due volte usa le parole fino a quando?: esse ci portano col pensiero all’analoga amarezza provata da Mosè di fronte alle continue ribellioni del popolo d’Israele nel deserto e così descritta dal libro dei Numeri 14, 27: “Fino a quando sopporterò io questa comunità malvagia che mormora contro di me?”.

Rimaniamo sul versetto 17. Le parole di Gesù: fino a quando starò con voi? Suggeriscono la formula dell’Alleanza conclusa da Dio col suo popolo nell’Antico Testamento e la stanchezza da parte di Gesù di sentirsi ad essa legato. E’ significativa anche l’espressione di Gesù: fino a quando vi dovrò sopportare? Il verbo sopportare rivela sì un senso di stanchezza e di rifiuto della situazione; ma manifesta anche l’abituale atteggiamento di Dio verso il suo popolo. Sopportare significa, infatti, anche portare in alto, sollevare come fa una madre col proprio bambino sollevandolo da terra fino alle proprie guance per dargli affetto e sicurezza. Dio fa altrettanto col suo popolo. Ma ora è stanco di farlo.

Dopo il versetto 17 di Matteo, come si vede nella Sinossi, Marco si discosta e mette un lungo dialogo tra Gesù e il padre del ragazzo ammalato, in cui viene evidenziata la grande fede che si richiede da parte di chi chiede il miracolo, perché lo possa vedere realizzato. Matteo salta il tutto e va velocemente alla guarigione del ragazzo, descritta in forma molto breve, asciutta; perché come al solito, a Matteo interessa qualcosa di più importante che la guarigione del corpo: a lui interessa piuttosto la guarigione dello spirito.

Il versetto 18 dice che Gesù “gli parlò duramente”. A chi parlò duramente Gesù? Non certo al ragazzo, bensì a chi lo teneva prigioniero, a satana. La frase suesposta si dovrebbe tradurre dalla lingua greca con lo minacciò, verbo che abitualmente il vangelo usa quando Gesù fa degli esorcismi contro satana: questi è colui che toglie la libertà al ragazzo e lo porta verso l’autodistruzione. Oggi, tante sono le condizioni di mancanza di libertà e di conseguente autodistruzione: violenza, alcool, droga, cibo, immaginre di sé, denaro e sesso. Dietro ognuna di esse alberga lo spirito del male.

Il testo di Matteo prosegue così: “Il demonio uscì da lui e da quel momento il ragazzo fu guarito”. Matteo descrive in fretta la guarigione; non manca, però, di mettere in evidenza Gesù dominatore sul male. Immediatamente il testo passa a ciò che sta più a cuore a Matteo: perché i discepoli “non hanno potuto” guarire il ragazzo, come ha rilevato il padre del ragazzo all’inizio.

Il versetto 19 dice che i discepoli non inghiottono così facilmente l’insuccesso e con una certa vergogna tirano in disparte Gesù e gli chiedono: “Perché noi non abbiamo potuto?”. Questo non è solo il problema dei discepoli ma anche il nostro: perché siamo impotenti davanti al male? I discepoli e noi con loro desideriamo avere lumi su questa nostra impotenza. A questa domanda Matteo e Marco riportano due diverse risposte date da Gesù. In Marco, infatti, Gesù risponde così: voi non siete stati capaci a causa della vostra mancanza di preghiera; invece, in Matteo il motivo è che essi hanno avuto “poca fede”. Per Matteo è la scarsità di fiducia in Dio che fa da ostacolo alla possibilità di guarire l’ammalato.

I discepoli, per Matteo, non sono senza fede (apistìa in greco) ma ne hanno talmente poca (oligopistìa) da non raggiungere nemmeno la grandezza di un granello di senapa che è già di per sé piccolissimo. Al versetto 20 Gesù dice: “Se voi avrete fede pari a un granello di senapa, voi potrete dire a questo monte: spostati ed esso si sposterà”. Un granello di senapa è piccolissimo; ebbene una fede anche di simili dimensioni, fa diventare il credente potente come Dio il quale può spostare le montagne. Si crea un tale legame di comunione con Dio, che chi ha una fede anche di piccole dimensioni, trova tutte le strade aperte e non esistono per lui barriere insormontabili.

Gesù dice sempre al versetto 20: “Niente sarà impossibile” a chi ha una fede anche piccola come il granello di senapa. Egli diventa come Dio, potente su tutte le sue creature.

Prima di concludere, vorrei permettermi un’osservazione, marginale ma non troppo. Gesù introduce il suo breve discorso ai discepoli sulla fede, con le parole: “In verità vi dico”. Il testo greco usa qui la parola ebraica Amén (in verità). Questa parola noi abitualmente, nella liturgia, la inseriamo alla conclusione di un discorso o di una preghiera; mentre qui Gesù mette Amén all’inizio del discorso e lo riferisce a quanto sta per dire, non a quanto ha già detto.

E’ come se Gesù introducesse il suo discorso con una particolare autorità e dicesse: Io (Dio) vi dico. In una analoga situazione i profeti dell’Antico Testamento avrebbero detto: Dice il Signore, cui poi facevano seguito le parole da essi pronunciate con l’autorità di Dio. E’ un piccolo particolare, dal quale però scopriamo cose di rilievo.

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