Siamo giunti nei pressi della Chiesa assieme al Diacono Papàs Sepa, con la sua macchina rovente che segnava 34 gradi. Apriamo gli sportelli e già si sentivano i canti della Paraklisis (ode 1°) non amplificati ma ben distinti. Com’era strana l’atmosfera: nessuno in giro, nemmeno un cane! Eppure i canti riempivano le strade del paese. La Paraklisis è una preghiera di invocazione, di dolore, di richiesta di guarigione alla Madre di Dio. Si sentiva nell’aria il paese ferito, umiliato che cantava dolorante alla loro Mamma.
Ancora più lancinante la scena che si presentava: il portone chiuso battuto da un sole che non perdona perché non riscalda, brucia. Lì appoggiato un proskinitarion con l’icona di Maria e il bambino ardenti anche loro, chissà…Un tavolo con un katasarka improvvisato i cui lembi ogni tanto svolazzavano col venticello torrido. All’ombra, al lato destro della strada, presso la scalinata i fedeli con papa Nicolino e il diacono attorniati da una piccola folla di cinquanta contessioti, seduti in piedi appoggiati dove capita. Più in là altri che cercano altre ombre, altri appoggi di fortuna. Eppure erano composti come se fossero dentro il Santuario a pregare Maria. Un tropario papa Nicolino, un altro tutti, senza gridare, senza sbavature. C’era un grande assente in quella assemblea: l’organo! Chiuso anch’egli come la Chiesa. Come la Chiesa non appartiene né a loro né a Maria. Perché se appartenessero alla loro Mamma essa non chiuderebbe la porta in faccia ai propri figli né li priverebbe dell’organo per cantargli le lodi. Si sentiva anche l’odore dell’incenso che profumava Maria e tutti noi. Siamo forse dentro la Chiesa? Si, perché lo spazio è delimitato dalla fede dei fedeli.
Alla fine ci si aspetta che tutti, vedendoci, si avvicinino con rabbia puntandoci il dito: che siete venuti a fare? Invece, non è stato cosi. La domanda frequente è stata più pesante: che te ne pare?
E noi a biascicare qualche frase nascondendo imbarazzo e rabbia. C’è un portone di legno chiuso che impedisce l’ingresso. Siamo tutti li davanti impotenti a chiedere che aspetta chi di dovere ad aprire quella porta, a far suonare l’organo? Non so…forse….verrà….al momento opportuno….pregate e sperate….dov’è il suo vice….perché non viene a vedere?
Qualcuno si stanca delle nostre non risposte e se ne va’. Anche noi ci avviamo. Volete dissetarvi? No grazie, dobbiamo andare. Cento persone che cercano risposte da due altrettanti inermi! Il caldo di Contessa ci riprende, ci rimette nella macchina ancora rovente. Abbiamo pregato con loro. Amaramente ne siamo usciti, come S. Pietro dal cortile nella notte della passione. E mi vennero in mente le parole di S. Paolo: Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte. (2 Cor. 12,9-10).
Papas Jani Pecoraro, Parroco della Cattedrale di San Demetrio Megalomartire
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