martedì 29 gennaio 2013

         30 GENNAIO 2013
        Memoria del santo ieromartire Ippolito (235), 
             papa di Roma.  
              Memoria dei nostri santi padri e maestri     universali,  
Basilio il grande,Gregorio il teologo e Giovanni Crisostomo     (la festa fu istituita intorno al 1100).

GRANDE VESPRO
Tono 4. Come generoso fra i martiri.
Degnamente onoriamo * i tre araldi della grande Triade,  Giovanni e Basilio  insieme a Gregorio:strumenti della grazia, cetre dello Spirito, trombe sonore per l’annuncio,che dall’alto, tremende e rimbombanti, fanno echeggiare tuoni e rendono nota la gloria di Dio fino agli estremi della terra. 2 volte.
Siano onorati come conviene i difensori della Triade,  le fortezze della pietà, i tre apostoli successori dei dodici,i fiumi che fanno fluire dall’Eden l’acqua viva,e dissetano il volto della terra,  facendo scorrere vita con i loro rivi divini, i grandi elementi che, come nella creazione, tengono insieme la fede. 2 volte.
Non sono discorsi, è detto, né parole di cui non si odano le voci˚: per tutta la terra e il mare  è uscito il suono dei divini e sapienti maestri della creazione;  per questo i confini della terra, in virtú delle loro leggi divine, vengono ottimamente composti e riuniti  in una sola retta fede.
Quanti seguiamo le loro dottrine, celebriamo nel canto gli strumenti dello Spirito, le trombe della verità, i retori del Verbo, supplicandoli affinché essi, che hanno famigliarità col Signore,
chiedano per la terra stabile pace per sempre,e per noi tutti, il perdono.
Gloria. Tono pl. 2.
Celebriamo oggi * le mistiche trombe dello Spirito,  i padri teòfori, coloro che hanno cantato in mezzo alla Chiesa l’armoniosa melodia della teologia,la Triade una, essenza e divinità immutabile; * celebriamo i distruttori di Ario * e difensori degli ortodossi, * coloro che sempre intercedono presso il Signor perché sia fatta misericordia * alle anime nostre.
Ora e sempre. Theotokíon.
Chi non ti dirà beata, o Vergine tutta santa˚?  Chi non celebrerà il tuo parto verginale? Perché l’Unigenito Figlio che intemporalmente dal Padre è rifulso,  egli stesso, ineffabilmente incarnato,  è uscito da te, la pura: Dio per natura e per noi fatto uomo per natura˚, non diviso in dualità di persone, * ma da riconoscersi  in dualità di nature, senza confusione. Imploralo, augusta beatissima, perché sia fatta misericordia alle anime nostre.
Ingresso, Luce gioiosa, il prokímenon del giorno e le letture.
Lettura dal libro del Deuteronomio (1,8-11.15-17).
Disse Mosè ai figli d’Israele: Ecco, vi ho messo davanti la terra (p. 742).
Lettura dal libro del Deuteronomio (10,14-21).
Disse Mosè ai figli d’Israele: Ecco, il  Signore tuo Dio è il cielo (pp. 742-743).
Lettura del libro della Sapienza di Salomone (3,1-9).
Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio (pp. 803-804).
Allo stico, stichirá prosómia.
Tono pl. 1. Gioisci, tu che sei veramente.
Gioisci, triade di pontefici, * gioite, grandi baluardi della Chiesa,
colonne della pietà, salda sicurezza dei credenti, rovinosa caduta degli eretici; voi che pascolate con divine dottrine il popolo di Cristo e lo nutrite con virtú d’ogni sorta; voi, araldi della grazia dalla voce penetrante, voi che avete esposto in pienezza  le leggi di Cristo; * guide verso il cielo, * porte d’accesso al paradiso. * Chiedete a Cristo * di inviare sulle anime nostre * la grande misericordia˚.
Stico: Si vanteranno i santi nella gloria, ed esulteranno sui loro giacigli.
Gioisci, triade di pontefici,gioite, angeli terrestri che tendete al cielo, salvezza del mondo, gioia degli uomini e maestri di tutta la terra;difensori del Verbo,medici perspicaci per le malattie dell’anima e del corpo, * fiumi perenni dello Spirito, voi che irrigate con le vostre parole * tutta la faccia della terra; * teologi, fondamenti, * uomini dall’aureo linguaggio divino, * chiedete a Cristo * di inviare sulle anime nostre * la grande misericordia˚.
Stico: I tuoi sacerdoti, Signore, si rivestiranno di giustizia, e i tuoi santi esulteranno.
Gioisci, triade di pontefici,sole del terreste firmamento, gioite, raggi e faci dello splendore trisolare,  ricupero della vista per gli ottenebrati, * stupendi fiori profumati del paradiso, * tu, o teologo, tu, sapiente Basilio, * e tu, Crisostomo; * tavolette su cui ha scritto lo Spirito, * tavole incise da Dio, * mammelle che fanno sgorgare * il latte della salvezza, * fregio della sapienza: * supplicate Cristo * di donare alle anime nostre * la grande misericordia˚.
Gloria. Tono pl. 1.
Diamo il segno con la tromba dei canti; * danziamo in festa * e tripudiamo esultanti * nella pubblica solennità dei nostri maestri. Re e principi accorrano insieme e con inni applaudano ai pontefici,  perché fanno scaturire tre immensi fiumi di dottrina, dallo splendido corso, fiumi perenni dello Spirito. * Pastori e maestri, riuniamoci per celebrare i tre iniziati dell’augusta Triade: i filosofi celebrino i sapienti; i sacerdoti, i pastori; i peccatori, gli avvocati,i poveri, coloro che donano ricchezza;i tribolati, i conso-latori;i viaggiatori, i compagni di viaggio; quanti sono in mare, i nocchieri: tutti lodiamo i divini sommi sacerdoti * che ovunque con ardore ci prevengono, e cosí diciamo:Maestri santissimi,affrettatevi
a sottrarre i fedeliagli scandali della vita, e a liberarci dagli eterni castighi.
Ora e sempre. Theotokíon.
Noi fedeli ti proclamiamo beata, Vergine Madre-di-Dio, e com’è nostro dovere ti glorifichiamo città inconcussa, muro inespugnabile, indistruttibile protezione e rifugio delle anime nostre.
Apolytíkion. Tono 1.
Quanti siamo innamorati dei loro discorsi, conveniamo tutti insieme per onorare con innii tre sommi astri della Divinità trisolare, che con i raggi delle loro divine dottrine fanno brillare tutta la terra; i fiumi di sapienza fluenti miele che irrigano tutto il creato con i rivi della conoscenza di Dio,il grande Basilio e il teologo Gregorio,insieme all’illustre Giovanni dall’aurea eloquenza: essi sempre per noi intercedono * presso la Triade.
Theotokíon.
Gabriele ti recò il saluto ‘Gioisci’, o Vergine, e a quella voce il Sovrano dell’universo  si incarnò in te, arca santa, come ti chiamò il giusto Davide. Sei divenuta piú ampia dei cieli, perché hai portato il tuo Creatore. Gloria a colui che ha dimorato in te, gloria a colui che è uscito da te, gloria a colui che per il tuo parto  ci ha liberati.

domenica 27 gennaio 2013


BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Aula Paolo VI
Mercoledì, 28 novembre 2007

                                                          Sant’Efrem, il Siro
Cari fratelli e sorelle,
secondo l’opinione comune di oggi, il cristianesimo sarebbe una religione europea, che avrebbe poi esportato la cultura di questo Continente in altri Paesi. Ma la realtà è molto più complessa, poiché la radice della religione cristiana si trova nell’Antico Testamento e quindi a Gerusalemme e nel mondo semitico. Il cristianesimo si nutre sempre a questa radice dell’Antico Testamento. Anche la sua espansione nei primi secoli si è avuta sia verso occidente – verso il mondo greco-latino, dove ha poi ispirato la cultura europea – sia verso oriente, fino alla Persia, all’India, contribuendo così a suscitare una specifica cultura, in lingue semitiche, con una propria identità. Per mostrare questa pluriformità culturale dell’unica fede cristiana degli inizi, nella catechesi di mercoledì scorso ho parlato di un rappresentante di questo altro cristianesimo, Afraate il saggio persiano, da noi quasi sconosciuto. Nella stessa linea vorrei parlare oggi di sant’Efrem Siro, nato a Nisibi attorno al 306 in una famiglia cristiana. Egli fu il più insigne rappresentante del cristianesimo di lingua siriaca e riuscì a conciliare in modo unico la vocazione del teologo e quella del poeta. Si formò e crebbe accanto a Giacomo, Vescovo di Nisibi (303-338), e insieme a lui fondò la scuola teologica della sua città. Ordinato diacono, visse intensamente la vita della locale comunità cristiana fino al 363, anno in cui Nisibi cadde nelle mani dei Persiani. Efrem allora emigrò a Edessa, dove proseguì la sua attività di predicatore. Morì in questa città l’anno 373, vittima del contagio contratto nella cura degli ammalati di peste. Non si sa con certezza se era monaco, ma in ogni caso è sicuro che è rimasto diacono per tutta la sua vita e che ha abbracciato la verginità e la povertà. Così appare nella specificità della sua espressione culturale la comune e fondamentale identità cristiana: la fede, la speranza – questa speranza che permette di vivere povero e casto nel mondo, ponendo ogni aspettativa nel Signore – e infine la carità, fino al dono di se stesso nella cura degli ammalati di peste.
Sant’Efrem ci ha lasciato una grande eredità teologica. La sua considerevole produzione si può raggruppare in quattro categorie: opere scritte in prosa ordinaria (le sue opere polemiche, oppure i commenti biblici); opere in prosa poetica; omelie in versi; infine gli inni, sicuramente l’opera più ampia di Efrem. Egli è un autore ricco e interessante per molti aspetti, ma specialmente sotto il profilo teologico. La specificità del suo lavoro è che in esso si incontrano teologia e poesia. Volendoci accostare alla sua dottrina, dobbiamo insistere fin dall’inizio su questo: sul fatto cioè che egli fa teologia in forma poetica. La poesia gli permette di approfondire la riflessione teologica attraverso paradossi e immagini. Nello stesso tempo la sua teologia diventa liturgia, diventa musica: egli era infatti un grande compositore, un musicista. Teologia, riflessione sulla fede, poesia, canto, lode di Dio vanno insieme; ed è proprio in questo carattere liturgico che nella teologia di Efrem appare con limpidezza la verità divina. Nella sua ricerca di Dio, nel suo fare teologia, egli segue il cammino del paradosso e del simbolo. Le immagini contrapposte sono da lui largamente privilegiate, perché gli servono per sottolineare il mistero di Dio.
Non posso adesso presentare molto di lui, anche perché la poesia è difficilmente traducibile, ma per dare almeno un’idea della sua teologia poetica vorrei citare in parte due inni. Innanzitutto, anche in vista del prossimo Avvento, vi propongo alcune splendide immagini tratte dagli Inni sulla natività di Cristo. Davanti alla Vergine Efrem manifesta con tono ispirato la sua meraviglia:

«Il Signore venne in leiper farsi servo.Il Verbo venne in leiper tacere nel suo seno.Il fulmine venne in leiper non fare rumore alcuno.Il Pastore venne in leied ecco l’Agnello nato, che sommessamente piange.Poiché il seno di Mariaha capovolto i ruoli:Colui che creò tutte le cosene è entrato in possesso, ma povero.L’Altissimo venne in lei (Maria),ma vi entrò umile.Lo splendore venne in lei,ma vestito con panni umili.Colui che elargisce tutte le coseconobbe la fame.Colui che abbevera tutticonobbe la sete.Nudo e spogliato uscì da lei,Egli che riveste (di bellezza) tutte le cose»(Inno sulla Natività11, 6-8).
«Fu chiudendo
con la spada del cherubino,
che fu chiuso
il cammino dell’albero della vita.
Ma per i popoli,
il Signore di quest’albero
si è dato come cibo
lui stesso nell’oblazione (eucaristica).
Gli alberi dell’Eden
furono dati come alimento
al primo Adamo.
Per noi, il giardiniere
del Giardino in persona
si è fatto alimento
per le nostre anime.
Infatti tutti noi eravamo usciti
dal Paradiso assieme con Adamo,
che lo lasciò indietro.
Adesso che la spada è stata tolta
laggiù (sulla croce) dalla lancia
noi possiamo ritornarvi»
(Inno 49,9-11).
«Nel tuo pane si nasconde lo Spirito,
che non può essere consumato;
nel tuo vino c’è il fuoco, che non si può bere.
Lo Spirito nel tuo pane, il fuoco nel tuo vino:
ecco una meraviglia accolta dalle nostre labbra.
Il serafino non poteva avvicinare le sue dita alla brace,
che fu avvicinata soltanto alla bocca di Isaia;
né le dita l’hanno presa, né le labbra l’hanno inghiottita;
ma a noi il Signore ha concesso di fare ambedue cose.
Il fuoco discese con ira per distruggere i peccatori,
ma il fuoco della grazia discende sul pane e vi rimane.
Invece del fuoco che distrusse l’uomo,
abbiamo mangiato il fuoco nel pane
e siamo stati vivificati»
(Inno sulla fede10,8-10).
«Posi (la perla), fratelli miei, sul palmo della mia mano,
per poterla esaminare.
Mi misi ad osservarla dall’uno e dall’altro lato:
aveva un solo aspetto da tutti i lati.
(Così) è la ricerca del Figlio, imperscrutabile,
perché essa è tutta luce.
Nella sua limpidezza, io vidi il Limpido,
che non diventa opaco;
e nella sua purezza,
il simbolo grande del corpo di nostro Signore,
che è puro.
Nella sua indivisibilità, io vidi la verità,
che è indivisibile»
(Inno sulla perla 1,2-3).

Per esprimere il mistero di Cristo, Efrem usa una grande diversità di temi, di espressioni, di immagini. In uno dei suoi inni, egli collega in modo efficace Adamo (nel paradiso) a Cristo (nell’Eucaristia):
Per parlare dell’Eucaristia, Efrem si serve di due immagini: la brace o il carbone ardente e la perla. Il tema della brace è preso dal profeta Isaia (cfr 6,6). E’ l’immagine del serafino, che prende la brace con le pinze, e semplicemente sfiora le labbra del profeta per purificarle; il cristiano, invece, tocca e consuma la Brace, che è Cristo stesso:
Ed ecco ancora un ultimo esempio degli inni di sant’Efrem, dove egli parla della perla quale simbolo della ricchezza e della bellezza della fede:
La figura di Efrem è ancora pienamente attuale per la vita delle varie Chiese cristiane. Lo scopriamo in primo luogo come teologo, che a partire dalla Sacra Scrittura riflette poeticamente sul mistero della redenzione dell’uomo operata da Cristo, Verbo di Dio incarnato. La sua è una riflessione teologica espressa con immagini e simboli presi dalla natura, dalla vita quotidiana e dalla Bibbia. Alla poesia e agli inni per la liturgia, Efrem conferisce un carattere didattico e catechetico; si tratta di inni teologici e insieme adatti per la recita o il canto liturgico. Efrem si serve di questi inni per diffondere, in occasione delle feste liturgiche, la dottrina della Chiesa. Nel tempo essi si sono rivelati un mezzo catechetico estremamente efficace per la comunità cristiana.
E’ importante la riflessione di Efrem sul tema di Dio creatore: niente nella creazione è isolato, e il mondo è, accanto alla Sacra Scrittura, una Bibbia di Dio. Usando in modo sbagliato la sua libertà, l’uomo capovolge l’ordine del cosmo. Per Efrem è rilevante il ruolo della donna. Il modo in cui egli ne parla è sempre ispirato a sensibilità e rispetto: la dimora di Gesù nel seno di Maria ha innalzato grandemente la dignità della donna. Per Efrem, come non c’è redenzione senza Gesù, così non c’è incarnazione senza Maria. Le dimensioni divine e umane del mistero della nostra redenzione si trovano già nei testi di Efrem; in modo poetico e con immagini fondamentalmente scritturistiche, egli anticipa lo sfondo teologico e in qualche modo lo stesso linguaggio delle grandi definizioni cristologiche dei Concili del V secolo.
Efrem, onorato dalla tradizione cristiana con il titolo di «cetra dello Spirito Santo», restò diacono della sua Chiesa per tutta la vita. Fu una scelta decisiva ed emblematica: egli fu diacono, cioè servitore, sia nel ministero liturgico, sia, più radicalmente, nell’amore a Cristo, da lui cantato in modo ineguagliabile, sia infine nella carità verso i fratelli, che introdusse con rara maestria nella conoscenza della divina Rivelazione.

28 GENNAIO
Memoria del nostro santo padre Efrem il siro (373).


VESPRO
Al Signore, ho gridato, 6 stichi e stichirá prosómia.
Tono 1. Esultanza delle schiere celesti.
Contemplando come in uno specchiole bellezze del paradiso, e ampiamente godendo dei pascoli immacolati, hai fatto fiorire per il mondo la conoscenza di Dio:e noi, di essa partecipando, o santo,  per l’intima disposizione spirituale dell’anima,rifioriamo in spirito.
Descrivendo la parusia del Giudice,insegnavi ad accendere le lampade delle anime con i rivi delle lacrime,a tutti a gran voce annunciando  la venuta dello sposo:Rivestiamoci tutti di una veste fulgida, per andare incontro al Cristo sposo.
Costretto il corpo con la continenza, hai mortificato i moti delle passioni, o padre, con preghiere e veglie: perciò la potenza dello Spirito,adombrandoti, ti ha reso spirituale astro universale.
Gloria. Tono pl. 2.
Saggiamente scuotendoti dalle molestie della vita,o Efrem celebrato,hai raggiunto il deserto per amore dell’esichia; da esso guidato a Dio con le opere, hai brillato come astro per il mondo,  e hai fatto sgorgare per gli uomini parole di vita. Non cessare dunque di confermarci con le tue preghiere,per liberare le anime nostre dal male che ci viene dallo straniero, o santo padre.
Ora e sempre. Theotokíon.
Abbiamo conosciuto il Dio che da te si è incarnato,Vergine Madre-di-Dio: lui implora, per la salvezza delle anime nostre.
Dell’apóstichon, stichirá dall’októichos.
Gloria. Tono 4. Di Anatolio.
Bagnando, come dice il profeta, di una pioggia di lacrime il tuo letto˚, e facendo della penitenza l’esercizio della tua vita, ci hai posto sotto gli occhi il timore del giudizio a fatti e a parole.  E noi tutti, riuniti,  onoriamo la tua memoria, o beatissimo, operaio del Signore che ha fatto cose straordinarie,  o Efrem celebrato.  Perciò anche ora noi ti imploriamo:Intercedi presso il Cristo Dio per le anime nostre.
Ora e sempre. Theotokíon. Come generoso fra i martiri.
Riscattami dalla condanna, santissima sposa di Dio, e con le tue preghiere libera la mia povera anima dalle funeste cadute e dalla morte:nel giorno in cui sarò esaminato,fa’ che io ottenga la giustificazione  come l’hanno ottenuta le folle dei santi, purificato dalla penitenza e dall’effusione delle lacrime, prima che giunga la fine.
Apolytíkion. Tono pl. 4.
Con lo scorrere delle tue lacrime,hai reso fertile la sterilità del deserto;e con gemiti dal profondo, hai fatto fruttare al centuplo le tue fatiche,e sei divenuto un astro che risplende su tutta la terra per i prodigi, o santo padre nostro Efrem. Intercedi presso il Cristo Dio per la salvezza delle anime nostre.

 

27 GENNAIO 2013 
Domenica del Padre Misericordioso
Traslazione delle reliquie del nostro santo padre Giovanni Crisostomo nel 438


TROPARI

Ote katìlthes pros ton thànaton, i zoì athànatos, tòte ton àdhin enèkrosas ti astrapì tis Theòtitos; òte dhe ke tus tethneòtas ek ton katachtonìon anèstisas, pàse e dhinàmis ton epuranìon ekràvgazon: Zoodhòta Christè, o Theòs imòn, dhòxa si.
Quando discendesti nella morte, o vita immortale, allora mettesti a morte l’ade con la folgore della tua divinità; e quando risuscitasti i morti dalle regioni sotterranee, tutte le schiere delle regioni celesti gridavano: O Cristo datore di vita, Dio nostro, gloria a te.

I tu stomatòs su, kathàper pirsòs, eklàmpsasa chàris, tin ikumènin efòtisen; afilarghirìas to kòsmo thisavrùs enapètheto; to ìpsos imìn tis tapinofrosìnis ipèdhixen; allà sis lòghis pedhèvon, Pàter Ioànni Chrisòstome, prèsveve to Lògo Christò to Theò sothìne tas psichàs imòn.
La grazia della tua bocca, che come torcia rifulse, ha illuminato tutta la terra, ha deposto nel mondo tesori di generosità, e ci ha mostrato la sublimità dell’umiltà. Mentre dunque ammaestri con le tue parole, o padre Giovanni Crisostomo, intercedi presso il Verbo, Cristo Dio, per la salvezza delle anime nostre.
O Mìtran Parthenikìn aghiàsas to tòko su, ke chìras tu Simeòn evloghìsas, os èprepe, profthàsas ke nin èsosas imàs, Christè o Theòs. All’irìnevson en polèmis to polìtevma, ke kratèoson Vasilìs us igàpisas, o mònos filànthropos.
Tu che con la tua nascita hai santificato il grembo verginale, e hai benedetto le mani di Simeone, come conveniva, ci hai prevenuti anche ora con la tua salvezza, o Cristo Dio. Da’ dunque pace alla città tra le guerre e rafforza i re che hai amato, o solo amico degli uomini.

EPISTOLA

La mia bocca esprime sapienza, e il mio cuore medita saggezza.
Udite, popoli tutti, porgete orecchio abitanti del mondo.

Lettura dalla Lettera di S. Paolo Apostolo agli Ebrei (7,26-8,2)

Fratelli, tale era il sommo sacerdote che ci occorreva: santo, innocente, senza mac­chia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli; egli non ha bisogno ogni giorno, come gli altri sommi sacerdoti, di offrire sacrifici prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo, poiché egli ha fatto questo una volta per tutte, offrendo se stesso. La legge infatti costituisce sommi sacerdoti uomini soggetti all’umana debolezza, ma la parola del giuramento, posteriore alla legge, costitui­sce il Figlio che è stato reso perfetto in eterno.
Il punto capitale delle cose che stiamo dicendo è questo: noi abbiamo un sommo sacerdote così grande che si è assiso alla destra del trono della maestà nei cieli, ministro del santuario e della vera tenda che il Signore, e non un uomo, ha co­struito.

La bocca del giusto proclama la sapienza, e la sua lingua esprime la giustizia.

La legge del suo Dio è nel suo cuore, i suoi passi non vacilleranno.

VANGELO (Lc. 15,11-32)

Disse il Signore questa parabola: “Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliele dava. Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre.
Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l’anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: È tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso. Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.

giovedì 24 gennaio 2013

25  Gennaio San Gregorio Nazianzeno Vescovo e dottore della Chiesa
                                         Nazianzo, attuale Nemisi in Turchia, 330 – 25 gennaio 389/390

Condivise con l’amico Basilio la formazione culturale e il fervore mistico. Fu eletto patriarca di Costantinopoli nel 381. Temperamento di teologo e uomo di governo, rivelò nelle sue opere oratorie e poetiche l’intelligenza e l’esperienza del Cristo vivente e operante nei santi misteri. (Mess. Rom.)
Patronato: Poeti
Etimologia: Gregorio = colui che risveglia, dal greco
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: Memoria dei santi Basilio Magno e Gregorio Nazianzeno, vescovi e dottori della Chiesa. Basilio, vescovo di Cesarea in Cappadocia, detto Magno per dottrina e sapienza, insegnò ai suoi monaci la meditazione delle Scritture e il lavoro nell’obbedienza e nella carità fraterna e ne disciplinò la vita con regole da lui stesso composte; istruì i fedeli con insigni scritti e rifulse per la cura pastorale dei poveri e dei malati; morì il primo di gennaio. Gregorio, suo amico, vescovo di Sásima, quindi di Costantinopoli e infine di Nazianzo, difese con grande ardore la divinità del Verbo e per questo motivo fu chiamato anche il Teologo. Si rallegra la Chiesa nella comune memoria di così grandi dottori.
(25 gennaio: A Nazianzo in Cappadocia, nell’odierna Turchia, anniversario della morte di san Gregorio, vescovo, la cui memoria si celebra il 2 gennaio).
Il calendario liturgico latino fa oggi memoria di due Padri e Dottori della Chiesa, San Basilio Magno e San Gregorio Nazianzeno, intimi amici, che parteciparono alla medesima ansia di santità, ebbero un'analoga formazione culturale e nutrirono entrambi l'aspirazione alla vita monastica.

La presente scheda agiografica vuole soffermarsi in particolar modo sul secondo, San Gregorio. Questi fa parte del celebre manipolo dei “luminari di Cappadocia” insieme con Sant'Anfìlochio d'Iconio, suo cugino, San Basilio Magno e San Gregorio di Nissa, fratello di quest'ultimo. Gregorio “Nazianzeno” nacque verso il 330 ad Arianzo, borgata nei pressi di Nazianzo, dal cui nome deriva il celebre appellativo del santo. Fu consacrato a Dio sin dalla più tenera infanzia dalla sua piissima madre, Santa Nonna, ed entrambi i genitori gli impartirono un'ottima educazione. Fu inviato a scuola presso Cesarea di Palestina, poi ad Alessandria d'Egitto ed infine ad Atene, dove legò un'intima amicizia con il suo conterraneo San Basilio Magno.

Gregorio rimase per dieci anni nella capitale ellenica, allora centro della cultura pagana, dove pare diede anche lezioni di eloquenza. Fece ritorno verso il 359 in Cappadocia e ricevette il battesimo, come consuetudine a quel tempo, all'età di trent'anni. Da quel giorno divise i suoi giorni tra l'ascesi e lo studio in compagnia dell'amico Basilio nella solitudine della valle dell'Iris, presso Neocesarea. Ben presto però, in seguito alle numerose richieste dei fedeli, fu suo malgrado richiamato per ricevere l'ordinazione presbiterale direttamente dalle mani di suo padre, San Gregorio di Nazianzo il Vecchio, che nel frattempo si era convertito dalla setta giudeo-pagana degli adoratori di Zeus Hypsistos al cristianesimo ed era stato insediato sulla sede episcopale di Nazianzo. Turbato per la pressione subita ed innamorato sempre più della vita solitaria, il giovane sacerdote tornò con San Basilio nella regione del Ponto. Dovette tuttavia accorrere nuovamente a Nazianzo per aiutare suo padre nel governo della diocesi e domarvi uno scisma imperversante. Il vecchio pastore aveva sottoscritto, per debolezza o per inavvertenza, la formula semiariana coniata dal concilio di Rimini, e parte dei fedeli si era ribellata. San Gregorio seppe sapientemente persuadere allora suo padre a fare una solenne professione di fede cattolica, facendo così rifiorire la calma e la concordia.

Nel 371, in seguito alla divisione della Cappadocia in due province ecclesiastiche, San Basilio, volendo creare un nuovo vescovado a Sàsima per opporsi alle intrusioni di Antimo, arcivescovo di Tiana, capitale della Seconda Cappadocia, fece appello al suo amico nominandolo a tale sede. Questo triste borgo, polveroso e chiassoso, edificato attorno ad una stazione postale sulla via di Cilicia, non poteva certo essere l'ambiente adatto per una vita da filosofo e da teologo. San Gregorio, dopo essersi lasciato imporre le mani di malavoglia, anziché prendere possesso della sua diocesi, fuggì segretamente nella solitudine. Fece poi ritorno a Nazianzo soltanto in seguito alle suppliche del vecchio padre, che in età avanzata non riusciva più a portare tutto il peso della sua carica. Quando nel 374 morì, col cuore affranto e la salute malferma il figlio si rifugiò non appena possibile nel monastero di Santa Teda, a Seleucia, nell'Isauria.

Era però volontà divina che non potesse nuovamente godere del sospirato riposo. All'inizio del 379, infatti, i cattolici di Costantinopoli, ai quali l'imperatore Valente aveva sottratto tutte le chiese, approfittarono dell'avvento al trono di San Teodosio I il Grande per convincerlo a ristabilire la fede nicena nella capitale dell'oriente, nominando Gregorio quale nuovo patriarca, con il naturale appoggio dell'amico San Basilio. A Gregorio non restò che accettare di trasferirsi nella metropoli constantinopolitana, ove aprì nella casa di un suo parente una cappella che denominò “Anàstasis” (cioè Risurrezione) e con la sua eloquenza riuscì a raccogliere attorno a sé i pochi ortodossi superstiti e senza pastore. Ebbe così occasione di pronunciare le sue più celebri omelie, i cinque Discorsi sulla Trinità che gli valsero la fama di teologo. Accorse dalla Siria ad ascoltare le sue parole perfino San Girolamo, che divenne suo discepolo.

Il compito del nuovo pastore si rivelò presto assai difficoltoso, non solo a causa degli ariani, ma ancor di più quando un certo Massimo, figura equivoca di filosofo cinico e di asceta, forte dell'appoggio di Pietro, vescovo di Alessandria, tentò di farsi proclamare vescovo di Costantinopoli. Tra cotante insidie e violenze, tra cui il rischio di lapidazione, San Gregorio avrebbe preferito ancora una volta tornare a vita solitaria, se non fosse stato tormentato dal bizzarro pensiero che “insieme con lui sarebbe partita da Costantinopoli anche la Trinità”. Nel mese di novembre del 380, con l'ingresso dell'imperatore Teodosio nella capitale, le chiese furono finalmente sottratte agli ariani e riconsegnate ai legittimi detentori.

San Gregorio, dietro all'imperatore e scortato dall'esercito, fu condotto in processione nella celeberrima cattedrale di Santa Sofia ed acclamato dal clero e dal popolo vescovo della città. Il saggio pastore non si accontentò però di quella intronizzazione e preferì farsi anche riconoscere nel maggio 381 dal V concilio ecumenico aperto a Costantinopoli sotto la presidenza di Melezio, vescovo di Antiochia. Questi però morì e Gregorio fu chiamato a presiedere l'assemblea al suo posto. Propose allora di nominare a successore del defunto nella sede antiochiena Paolino, che era stato vescovo di quella città durante lo scisma, ma i meleziani, che formavano la maggioranza, gli contrapposero Flaviano. Quando poi al concilio giunsero i vescovi egiziani e macedoni, presero a contestare l'elezione di Gregorio, perché in qualità di vescovo di Sàsima, in forza del canone di Antiochia, non avrebbe potuto essere trasferito ad altra sede. Il santo patriarca, che in realtà non aveva mai preso possesso della diocesi suddetta, amareggiato da tante ambizioni e intrighi, con pronta decisione rinunciò alla chiesa di Costantinopoli che governava da appena un biennio, stanco dei “più giovani che cinguettavano come uno stormo di gazze e si accanivano come uno sciame di vespe”, mentre “i vecchi si guardavano bene dal moderare gli altri”. Si ritirò allora nuovamente nella nativa Nazianzo, che nel frattempo era rimasta priva di pastore, ed amministro tale Chiesa locale per altri due anni, quando riuscì a far eleggere in sua sostituzione a vescovo della diocesi suo cugino Eulalio. Fatto ciò, si ritirò nella sua proprietà di Arianzo, dove morì il 25 gennaio del 389 o del 390, dopo sei anni dedicati alla contemplazione ed a studi ininterrotti.

San Gregorio, di costituzione debole e di delicata sensibilità, nella sua vita non fu mai un uomo d'azione, quanto piuttosto di meditazione, e neppure un teologo speculativo, semmai un mistico. E' unanimemente considerato un buon testimone della tradizione della Chiesa nelle questioni trinitarie e cristologiche. Durante la sua vita si sentì talvolta condannato piuttosto che chiamato all'attività apostolica. Tuttavia, quando non poté fuggire dall'azione, si dedicò sempre al bene delle anime affidate alla sua cura con grandissimo senso di responsabilità. Oratore perfetto, fu a buon ragione soprannominato il “Demostene cristiano”. Ci sono pervenuti ben 45 suoi discorsi, 244 lettere e molte poesie teologiche e storiche, scritte in una lingua ricca, armoniosa e pura.

San Gregorio Nazianzeno è commemorato dal Martyrologium Romanum al 25 gennaio, anniversario della sua nascita al cielo, mentre il giorno seguente si celebre la sua memoria liturgica comunemente con il suo amico San Basilio Magno.



Autore: Fabio Arduino




25 GENNAIO Memoria del nostro santo padre Gregorio il teologo, arcivescovo di Costantinopoli (389 o 390).

                                     GRANDE VESPRO


Tono 1. Martiri degni di ogni lode.
Padre Gregorio,  la pietra del sepolcro, apportatrice di oblio,  non ha ricoperto le tue labbra:tu sei divenuto infatti bocca della teologia, perché anche ora esponi a tutta la terra le dottrine della pietà. Supplica dunque perché siano donate alle anime nostre la pace e la grande misericordia˚. 
Padre Gregorio,ti sei sapientemente distolto dall’ostilità e insidiosità della carne: salito sulla quadriga delle virtú che corre al cielo,  te ne sei volato verso la bellezza ineffabile:  di essa saziandoti,  tu ora elargisci alle anime nostre  la pace e la grande misericordia.
Padre Gregorio, sei divenuto per grazia fedele mediatore tra Dio e gli uomini; e ora, rendendoci propizio Cristo con le tue preghiere franche,non cessare di intercedere presso il Signore, o santo, perché doni alle anime nostre * la pace e la grande misericordia.
Gloria. Tono pl. 4.
La tua lingua vigile nell’insegnamento,risuonando all’orecchio dei cuori, risveglia le anime dei noncuranti, e con parole divinamente ispirate, diventa scala che porta a Dio gli abitanti della terra.
Perciò, Gregorio teologo, non cessare di intercedere presso Cristo * perché siano salvate dai pericoli * le anime nostre.
Ora e sempre. Theotokíon.
Il Re dei cieli,  nel suo amore per noi, è apparso sulla terra e ha vissuto con gli uomini:  assunta la carne da Vergine pura, e da lei procedendo dopo averla assunta, uno solo è il Figlio, duplice nella natura, ma non nell’ipòstasi; proclamandolo dunque realmente Dio perfetto e uomo perfetto, noi confessiamo Cristo Dio nostro.E tu supplicalo,  o Madre senza nozze,perché sia fatta misericordia alle anime nostre.
Ingresso, Luce gioiosa, il prokímenon del giorno e le letture.
Lettura del libro dei Proverbi.
Del giusto si fa memoria tra le lodi ---
Lettura del libro della Sapienza di Salomone (4,7-15)
Il giusto, quand’anche giunga a morire .....
Lettura del libro della Sapienza di Salomone
La bocca del giusto stilla sapienza, e le labbra degli uomini conoscono le grazie 
Allo stico, stichirá prosómia.
Tono pl. 1. Gioisci, tu che sei veramente.
Gioisci,fonte di teologia  e dimora di eccelsa contemplazione: tu hai infatti scrutato, o padre,  il superno abisso con pio pensiero, a tutti hai chiarito come vi sia in tre soli un’unica fusione di luce che si unifica nella medesima Divinità, triplicandosi nelle auguste Ipòstasi; e con purezza di vita e splendore di parola, * hai insegnato a venerare la santissima Triade, o uomo da Dio ispirato. Implora che da essa sia mandata sulle anime nostre * la grande misericordia.
Stico: La mia bocca parlerà sapienza, e la meditazione del mio cuore intelligenza.
Col fulgore della tua teologia, hai dissipato l’oscurità delle eresie: tu infatti, o teologo, pervenuto con pio pensiero e divino sentire  alla fonte dei fulgori,hai sperimentato i bagliori che di là scatu-riscono;  avendo reso il tuo intelletto lucido come specchio,hai accolto, o padre, in tutta chiarezza la triplice luce indivisa della divinità, e hai largamente ricevuto l’unico splendore;supplica dunque la Triade, perché sia data alle anime nostre  la grande misericordia˚.
Stico: La bocca del giusto mediterà la sapienza, e la sua lingua parlerà del giudizio.
Giosci, fiume di Dio,  sempre pieno delle acque della grazia, che rallegri tutta la città del Cristo Re con parole e insegnamenti divini; torrente di delizie, oceano inesauribile;rigoroso custode legittimo dei dogmi; ardentissimo difensore della Triade; strumento dello Spirito;vigile intelletto;lingua armoniosa che spiega le profondità delle Scritture. Implora ora Cristo perché doni alle anime nostre la grande misericordia˚.
Gloria. Tono pl. 4.
Coltivando tramite la tua lingua,  o Gregorio, i cuori dei fedeli,  hai fatto germogliare in essi per Dio frutti sempre freschi di pietà,  recidendo alla radice le spine delle eresie, e adornando i pensieri di purezza.  Accogliendo dunque le nostre lodi, o divina lira, occhio vigile, *
 pastore dei pastori, * cacciatore dei lupi, * con insistenza intercedi presso il Verbo, * o teologo, * per le anime nostre.
Ora e sempre.
 Theotokíon. Come vi chiameremo, o santi?
O Sovrana, soccorso di tutti,  manda, o Vergine, su di me, incalzato dagli orrori della tenebra, continuamente sommerso dai marosi della vita,  una stilla della tua misericordia, offrimi l’aiuto della tua mano, e fammi degno della parte degli eletti e dei giusti, perché tu hai generato l’abisso della misericordia, o pura. 
Apolytíkion. Tono 1.
Il flauto pastorale della tua teologia  ha vinto le trombe dei retori: poiché a te,che avevi scrutato le profondità dello Spirito, è stata aggiunta anche la bellezza dell’espressione.Intercedi dunque presso il Cristo Dio,o padre Gregorio, per la salvezza delle anime nostre.
Theotokíon.
Gabriele ti recò il saluto ‘Gioisci’, o Vergine,e a quella voce il Sovrano dell’universo  si incarnò in te, arca santa, come ti chiamò il giusto Davide. Sei divenuta piú ampia dei cieli, perché hai portato il tuo Creatore.  Gloria a colui che ha dimorato in te, gloria a colui che è uscito da te, gloria a colui che per il tuo parto ci ha liberati.

sabato 19 gennaio 2013

20 GENNAIO 2013 – Domenica del Pubblicano e del Fariseo,Tono I – S. Eutimio il grande
  TROPARI
Tu lìthu sfraghisthèndos ipò tòn Iudhèon ke stratiotòn filassònton tòn achrandòn su sòma, anèstis triìmeros, Sotìr, dhorùmenos to kosmo tin zoìn; dhià tùto e dhinàmis tòn uranòn evòon si, Zoodhòta: Dhòxa ti anastàsi su, Christè; dhòxa ti vasilìa su; dhòxa tì ikonomìa su, mòne filànthrope.
Sigillata la pietra dai giudei, mentre i soldati erano a guardia del tuo corpo immacolato, sei risorto il terzo giorno, o Salvatore, donando la vita al mondo. Per questo le schiere celesti gridavano a te, datore di vita: Gloria alla tua risurrezione, o Cristo, gloria al tuo regno, gloria alla tua economia, o solo amico degli uomini
Tropario S. Demetrio  



Mègan èvrato en tis kindhìnis,sé ipèrmhon i ikumèni athlofòre ta èthni tropùmenos, os un lièu kathìles tin èparsin 
en to stadhìo tharrìnas ton Nèstora, ùtos Aghie Megalomàrtis Dhimitrie, Christòn ton Theòn ikèteve,  dhorisasthe imìn to mèga èleos.



O mìtran parthenikìn aghiàsas to tòko su, ke chìras tu Simeòn evloghìsas, os èprepe, profthàsas ke nin èsosas imàs, Christè o Theòs. All’irìnevson en polèmis to polìtevma, ke kratèoson Vasilìs, us igàpisas, o mònos filànthropos.
Tu che con la tua nascita hai santificato il grembo verginale, e hai benedetto le mani di Simeone, come conveniva, ci hai prevenuti anche ora con la tua salvezza, o Cristo Dio. Da’ dunque pace alla città tra le guerre e rafforza i re che hai amato, o solo amico degli uomini.
EPISTOLA
Esultino i fedeli nella gloria, e si rallegrino dai loro giacigli.
Cantate al Signore un canto nuovo, la sua lode nell’assemblea dei fedeli.
Lettura dalla II Lettera di S. Paolo Apostolo ai Corinti (4,6-15)
Fratelli, Dio che disse: Rifulga la luce dalle tenebre, rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo.
Però noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi. Siamo infatti tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo esposti alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù sia manifesta nella nostra carne mortale. Di modo che in noi opera la morte, ma in voi la vita.
Animati tuttavia da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto: Ho creduto, perciò ho parlato, anche noi crediamo e perciò parliamo, convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi. Tutto infatti è per voi, perché la grazia, ancora più abbondante ad opera di un maggior numero, moltiplichi l’inno di lode alla gloria di Dio.
Beato l’uomo che teme il Signore.
Nei suoi comandamenti metterà il suo volere.
VANGELO (Lc. 18,10-14)
Disse il Signore questa parabola: “Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così fra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e nep­pure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato”.


                                       TRIODION
                                KATANYKTIKON

 Si fa memoria della parabola evangelica del pubblicano e del fariseo.       

SABATO — VESPRO
Ufficio del vespro delle domeniche Tono I.
Tono 1.
Non preghiamo, fratelli, * al modo del fariseo: * perché chi si esalta, sarà umiliato˚. * Umiliamoci davanti a Dio, * gridando durante il digiuno come il pubbli­cano: * Sii propi­zio, o Dio, * a noi peccatori˚. 2 volte.
Il fariseo, dominato dalla vanagloria, * e il pubbli­cano, piegato dal pentimento, * si accostarono a te, unico Sovrano: * ma l’uno, per essersi vantato, * fu privato di ciò che aveva di bene; * mentre all’altro, che neppure aveva aperto bocca, * furono elargiti i doni. * Confermami in questo gemere, * o Cristo Dio, * nel tuo amore per gli uomini.
Gloria. Tono pl. 4.
Signore onnipotente, * so quanto possono le lacrime: * esse hanno fatto risalire Ezechia dalle porte della morte˚; * hanno liberato la peccatrice dalle sue colpe inveterate˚; * hanno reso il pubblicano * piú giusto del fariseo˚. * Ed io, annoverandomi tra costoro ti prego: * Abbi pietà di me.
Ora e sempre. Theotokíon, il primo del tono.
Ingresso. Luce gioiosa. Prokímenon: Il Signore ha instaurato il suo regno.
Allo stico, stichirá dall’októichos, alfabetici.
Gloria. Tono pl. 1.
Poiché si sono appesantiti i miei occhi * per le mie   iniqui­tà, * non posso volgermi a guardare la volta del cielo: * ma tu accoglimi nel pentimento, * come il pubblicano, o Salvatore, * e abbi pietà di me.
Ora e sempre. Theotokíon. Stesso tono.
Tu sei tempio e porta˚, * reggia e trono del Re˚, * o Vergine tutta venerabile: * per te il mio Redentore, Cristo Signore, * è apparso, sole di giustizia˚, * a coloro che dormivano nella tenebra˚, * volendo illu­mi­nare quelli che di propria mano * aveva plasmato a sua immagi­ne˚. * Tu dunque, o degna di ogni canto, * che hai con lui famigliarità di madre, * inces­santemente intercedi * per la salvezza delle anime nostre.      
Apolytíkion anastásimon. Gloria. Ora e sempre. Theotokíon e congedo.

DOMENICA DEL PUBBLICANO
ORTHROS
Ufficio dell’órthros delle domeniche,  .
A Il Signore è Dio, apolytíkion anastásimon del tono. Gloria, lo stesso tropario. Ora e sempre, il suo theoto­kíon.
La consueta sticología, i kathísmata dall’októichos, l’ámomos, gli evloghitária, l’ypakoí, gli anavathmí del tono, il pro­kímenon, il vangelo mattutino stabilito, Contemplata la risurrezione di Cristo.
Quindi, dopo il salmo 50 e gli idióme­la del triódion (pp. 58-60), cominciano i canoni, quello anastásimos e il seguente, del triódion.
Canone del triódion. Poema di Giorgio.
Acrostico nei theotokía: Di Giorgio.
Ode 1.: Cantico di Mosè.
Tono pl. 2. Dopo che Israele.
Il Cristo, inducendo tutti con le sue parabole * a corregge­re la propria vita, * solleva il pubblicano * dalla sua umilia­zione, * umiliando il fariseo * che si era innalza­to.
Vedendo che dall’umiliazione * viene una ricompensa che eleva, * mentre dall’innalzarsi, una tremenda caduta, * emula quanto ha di bello il pubblicano * e detesta la malizia farisaica.
Dalla temerità vien svuotato ogni bene, * mentre dall’umiltà vien purificato ogni male: * abbracciamola dunque, o fedeli, * aborrendo davvero tutto ciò che è vanagloria.
Volendo che i suoi discepoli * fossero di umile sentire, * il Re dell’universo ammonendo insegnava * ad emulare il gemito del pubblicano * e la sua umiltà.
Gemo come il pubblicano, * e con incessanti lamenti, * o Signore, * mi accosto alla tua amorosa compassione: * sii pietoso anche con me * che vivo ora la mia vita con umiltà.
Theotokíon.
A te affido, Sovrana, * mente, volontà, speranze, * corpo, anima e spirito: * liberami e salvami * da nemici insidiosi e tentazioni, * come pure dalla minaccia futura.
Katavasía.
Dopo che Israele ebbe camminato a piedi nell’abisso * come su terra ferma˚, * vedendo che il faraone inseguito­re * veniva sommerso nel mare˚, * esclamava: * Cantia­mo a Dio un inno di vittoria˚.         
Ode 3.: Cantico di Anna. Non c’è santo come te.
Dal letame delle passioni * l’umile è sollevato, * dalla vetta delle virtú * cade invece paurosamente * chiunque sia di cuore altero: * fuggiamo tali cattive disposizioni.
La vanagloria devasta tesori di giustizia, * mentre l’umiltà disperde il cumulo delle passioni: * concedi dunque, o Salvatore, * che noi, imitando l’umiltà, * abbiamo la sorte del pubblicano.
Come il pubblicano, anche noi, * battendoci il petto, gridiamo compunti: * Sii propizio, o Dio, a noi peccatori! * Cosí anche noi, come lui, * otterremo la remissione.
Diamoci allo zelo, o fedeli, * agendo con mitezza, * vivendo insieme con umiltà, * nel gemito del cuore, * nel pianto e nella preghiera, * per ottenere da Dio il perdono.
Gettiamo via da noi, o fedeli, * l’abnorme gonfiore della millanteria, * la disgustosa temerarietà, * la dete­stabile boria, * e l’impudente durezza del fariseo, * tanto cattiva davanti a Dio.
Theotokíon.
Confidando in te, unico rifugio, * possa io non venir meno alla buona speranza, * ma ottenga il tuo soccorso, o pura, * per non subire danno alcuno * dalle difficoltà.
Katavasía.
Non c’è santo come te, Signore mio Dio˚, * che sollevi la fronte dei tuoi fedeli, * o buono, * e ci rafforzi sulla roccia della tua confessione˚.   
 Káthisma. Tono 4. Presto intervieni.
L’umiltà ha sollevato il pubblicano che, * mesto e confuso per i suoi peccati, * gridava al Creatore il suo * ‘Sii propizio’. * L’alterigia ha invece fatto decadere dalla giu­stizia * lo sciagurato fariseo millantato­re: * emuliamo dunque il bene, * astenendoci dal male.
            Gloria. Un altro tropario, stessa melodia.
L’umiltà ha sollevato e giustificato un tempo * il pubblicano che gridava tra il pianto: * Siimi propizio. * Imitiamolo dunque, tutti noi che siamo caduti * nelle profondità del male; * gridiamo al Salvatore dal profondo del cuore: * Abbiamo peccato, siici propizio, * o solo amico degli uomini.
Ora e sempre. Theotokíon, stessa melodia.
Presto accogli, o Sovrana, * le nostre suppliche, * e presentale al tuo Figlio e Dio, * o Signora tutta imma­colata. * Sciogli le difficoltà di quanti a te accor­ro­no, * sventa le insidie e gli attacchi sfrontati, * o Vergi­ne, * di quanti ora si armano * contro i tuoi servi.
Ode 4. Cantico di Abacuc. Cristo mia forza.
Perfetta via di elevazione * ha reso il Verbo l’umil­tà* umiliando se stesso * sino ad assumere forma di servo˚. * E chiunque imita questa umiltà, * umilian­dosi viene innal­zato.
Si è innalzato il giusto fariseo, * ed è caduto in basso; * ma il pubblica­no, gravato da un cumulo di mali, * si umilia e viene risollevato, * giustificato contro ogni speranza.
La temerarietà produce indigenza di virtú * traendola dalla loro stessa ab­bondanza, * mentre a sua volta l’umiltà * guada­gna la giustizia * proprio con l’estrema indigenza di questa: * possiamo anche noi acquisirla!
Già avevi detto, Sovrano, * che tu resisti agli orgogliosi, * mentre concedi la tua grazia agli umili˚, * o Salvatore: * su noi che ci umiliamo, * manda dunque la tua grazia.
Sempre guidandoci alla divina elevazione, * il Salva­to­re e Sovrano, come mezzo per elevarci, * ci ha indicato l’umiltà: * egli ha infatti lavato con le proprie mani * i piedi dei discepo­li˚.
Theotokíon.
Tu che hai partorito, o Vergine, * la luce inaccessi­bile˚, * dirada la tenebra della mia anima * con lo splen­dore che colma di luce, * e guida la mia vita * sui sentie­ri della salvezza.
Katavasía.
Cristo, mia forza˚, * Dio e Signore! * Cosí la sacra Chiesa divinamente canta, * levando il grido da animo puro˚, * facendo festa nel Signore.  
Ode 5.: Cantico di Isaia. Col tuo divino fulgore.
Studiamoci di imitare le virtú del fariseo, * e di emulare l’umiltà del pubblicano, * ma detestando, in entrambi, ciò che è male: * tanto la folle temerità quanto la sozzura delle colpe.
La corsa della giustizia * si è dimostrata vana per il fariseo, * che l’ha compiuta unendovi la presun­zione; * il contrario accade per il pubbli­cano, * che si è preso l’umil­tà * come com­pagna della virtú che innalza.
Il fariseo presumeva * di correre nelle virtú come un auriga, * ma a piedi il pubblicano superò * quel carro deviante, * gareggiando con esso ottimamente, * perché aveva aggiogato l’umiltà al gemito.
Poiché tutti abbiamo dispiegata davanti alla mente * la parabola del pubblicano, * venite, emuliamolo con lacrime, * presentando a Dio uno spirito contrito˚, * chiedendo la remissione dei peccati.   
Quanti abbiamo senno, * respingiamo lontano da noi * l’atteggiamento funesto, * orgoglioso, miserabile, arrogan­te, * altero e superbo del fariseo, * per non essere spogliati della divina grazia.
Theotokíon.
Manda, o buona, lo scettro di potenza * a tutti noi che in te ci rifugiamo, * dandoci di dominare in mezzo a tutti i nemici˚, * e sottraendoci a ogni danno.      
Katavasía.
Col tuo divino fulgore, * o buono, * rischiara, ti prego, * le anime di quanti con amore * vegliano per te dai primi albori˚, * perché conoscano te, Verbo di Dio, * che vera­mente sei Dio * e che ci richiami dal buio delle colpe.
Ode 6.: Cantico di Giona. Vedendo il mare della vita.
Il pubblicano e il fariseo * hanno corso contemporaneamente * nello stadio della vita, * ma l’uno, dominato dalla teme­rità, * ha fatto un vergognoso naufragio, * mentre l’altro è stato salvato dall’umiltà.
Noi che affrontiamo la dura corsa della vita, * imitiamo i fervidi sentimenti del pubblicano, * fuggiamo l’abominevole boria del fariseo, * e vivremo.
Emuliamo la condotta di Gesú Salvatore * e la sua umiltà, * noi che desideriamo ottenere * l’eterna dimora della gioia, * abitando nella regione dei viventi˚.
Hai mostrato, o Sovrano, ai tuoi discepoli * l’umiltà che innalza: * cinto ai fianchi il grembiule, * hai lavato loro i piedi˚ * e li hai predisposti ad imitare la tua condotta.
Il fariseo viveva tra le virtú, * e il pubblicano tra le colpe. * Ma il primo si sobbarcò quella folle umiliazione * che viene dall’orgoglio, * mentre l’altro, mostrandosi di umile sentire, * fu esaltato.
Theotokíon.
Creato nudo grazie alla semplicità * e alla vita non artifici­a­le, * il nemico mi avvolse nella doppiezza della trasgressione * e nella pesantezza carnale: * ma ora per la tua mediazione, o Vergine, * io vengo salvato.
Katavasía.
Vedendo il mare della vita sollevarsi * per i marosi delle tentazioni˚, * accorro al tuo porto sereno e grido: * Fa’ risalire dalla corruzione la mia vita˚, * o miseri­cordio­sissimo.           
 Kondákion. Tono 3. Ti sei manifestato oggi.
Fuggiamo il superbo parlare del fariseo, * e impariamo l’elevatezza * delle parole umili del pubblicano, * gridando pentíti: * Salvatore del mondo, * sii propizio ai tuoi servi.
            Altro kondákion. Tono 4. La Vergine oggi.
Come il pubblicano, * offriamo gemiti al Signore, * e    gettiamoci ai suoi piedi * quali peccatori davanti al Sovrano: * egli vuole infatti la salvezza di tutti gli uomini˚ * e concede la remissione a tutti quelli che si pentono, * perché per noi si è incarnato, * lui che è Dio, coeterno al Padre.
Ikos. Betlemme ha aperto l’Eden.
Umiliamoci tutti, o fratelli: * con gemiti e lamenti * percuotiamo la nostra coscienza, * affinché si possa comparire innocenti, o fedeli, * al giudizio eterno, * e ottenere remissione: * là è infatti il vero riposo, * che noi ora supplichiamo di vedere; * di là sono fuggiti dolore, tristezza˚ * e gemiti profondi, * nel mirabile Eden * di cui Cristo è creatore, * lui che è Dio, coeter­no al Padre. 
Sinassario del minéo, poi il seguente:
Lo stesso giorno di domenica, si fa memoria della parabola evangelica del pubblicano e del fariseo.
Per l’intercessione di tutti i tuoi santi che hanno compiuto opere grandi, o Cristo Dio nostro, abbi pietà di noi e salvaci. Amen.
Ode 7.: Cantico dei tre fanciulli. Tutta rugiadosa.
Esaltandosi per le sue opere di giustizia, * il fariseo incappò paurosamente * nei lacci della vanaglo­ria, * con la sua smodata millanteria; * mentre il pubblicano, * agilmen­te solleva­to dall’ala dell’umiltà, * giunse vicino a Dio.
Servendosi di umili modi come di una scala, * il pubbli­ca­no fu sollevato alle altezze del cielo; * mentre il misero fariseo, * innalzato dalla fallace leggerezza della millan­teria, * incontrò le profondità dell’ade.
L’ingannatore, quando insidia i giusti, * li depreda con sentimenti di vanagloria, * mentre lega i peccatori * con i lacci della disperazione: * ma noi che emuliamo il pubbli­cano, * sforziamoci di sottrarci a entrambi questi mali.
Nella nostra preghiera, * gettiamoci davanti a Dio, * con lacrime e con gemiti ardenti, * imitando l’umiltà elevante del pubblicano, * e cantando, o fedeli: * Bene­detto tu sei, o Dio, * Dio dei padri nostri˚.   
Ammaestrando i discepoli, * dicevi, o Sovrano, * di non avere un sentire superbo, * insegnando loro ad attener­si invece a ciò che è umile˚, * o Salvatore. * Perciò a te noi fedeli acclamiamo: * Benedetto tu sei, o Dio, * Dio dei padri nostri˚.
Theotokíon.
Noi ti conosciamo come bellezza di Giacobbe˚ * e come divina scala * che egli aveva vista un tempo * protendersi dal basso verso il cielo˚, * o venerabile, * per condurre quaggiú il Dio incarnato, * e portare in alto a loro volta i mortali.
Katavasía.
Tutta rugiadosa * rese l’angelo la fornace * per i santi   fanciulli, * mentre, bruciando i caldei˚, * il comando di Dio persuase il tiranno a gridare: * Benedetto tu sei˚, * Dio dei padri nostri˚.            
Ode 8.: Cantico delle creature.
Dalla fiamma hai fatto scaturire.
Con un animo umile, * il pubblicano, gemendo,   trovò propizio il Signore e fu salvato, * ma decadde paurosamente dalla giustizia * il fariseo dalla lingua magniloquente.
Fuggiamo, o fedeli, * la boria dei propositi del fariseo * e i suoi titoli di purezza, * emulando rettamen­te * l’umiltà e i sentimenti del pubblicano * che hanno ottenuto misericordia.
Pronunciamo, o fedeli, * le parole del pubblicano * nel santo santuario: * O Dio, sii propizio. * Cosí otterremo con lui il perdono, * e saremo sottratti alla rovina del fariseo millantatore.
Emuliamo tutti il gemito del pubblicano, * e accostan­doci a Dio tra calde lacrime, * a lui gridiamo: * O amico degli uomini, * abbiamo peccato: * o pietoso, o compassio­nevole, * siici propizio e salvaci.
Benediciamo il Padre, il Figlio e il santo Spirito.
Dio ascoltò il gemito del pubblicano, * e, giustifican­dolo, * mostrò a tutti * che egli si lascia sempre piegare, * se gli chiediamo il perdono delle colpe * con gemiti e lacrime.
Ora e sempre. Theotokíon.
Non conosco altro soccorso * all’infuori di te: * te io presento a intercedere per me, * o pura, tutta immacola­ta, * te, mediatrice presso colui * che da te è nato: * liberami da ogni pena.
Lodiamo, benediciamo e adoriamo il Signore.
Katavasía.
Dalla fiamma * hai fatto scaturire per i santi la rugia­da˚, * e con l’acqua * hai bruciato il sacrificio del giusto˚: * perché tutto tu compi, o Cristo, * col solo volere; * noi ti sovresaltiamo per tutti i secoli˚.   
Ode 9.: Cantico della Madre-di-Dio e di Zaccaria.
Non è possibile agli uomini.
Avendo ricevuto dal Cristo l’umiltà * come via per la glorificazione, * emuliamo, quale modello di salvezza, * la condotta del pubblicano, * buttando lontano da noi * la boria della superbia, * rendendoci propizio Dio * con un animo umile.
Respingiamo la temerarietà dell’anima, * studiamoci di acquistare con l’umiltà * un animo retto, * non cerchiamo di giustificarci, * aborriamo la gonfia vanagloria, * e insieme al pubblicano * rendiamoci propizio Dio.
Offriamo al Creatore * le suppliche del gemito * come il pubblicano, * evitando le preghiere non gradite del fariseo * e le sue parole millantatrici * che portavano giudizio contro il prossimo: * allora ci attireremo la benevolenza di Dio e la sua luce.
Oppresso da un nugolo di colpe, * ho superato il pubblicano * per eccesso di malizia, * e ho assunto per giunta * la boria millantatrice del fariseo, * renden­domi da ogni parte privo * di qualsiasi bene: * Signore, usami indulgenza.
Rendi degni della tua beatitudine * quanti per te * sono stati poveri nello Spirito˚: * spinti infatti dal tuo coman­do, * ti portiamo uno spirito contrito˚: * o Salva­tore, accogli e salva * quanti a te rendono culto.     
Un pubblicano, che un giorno pregò Dio, * salendo al tempio con fede, fu giusti­fi­ca­to: * accostan­dosi infatti con gemiti e lacrime * e con cuore contrito˚, * depose tutto il peso dei peccati * con questi atti di propiziazio­ne.          
Theotokíon.
O tutta pura, * a noi che degnamente ti onoriamo, * e magnifichiamo il tuo parto, * dona di cantarti, di glorificarti e dirti beata, * o sola benedetta: * perché tu sei il vanto dei cristiani * e mediatrice accetta presso Dio.
Katavasía.
Non è possibile agli uomini vedere Dio˚ * che le schiere degli angeli non osano fissare˚: * ma grazie a te, o tutta pura, * il Verbo si è mostrato ai mortali incar­nato; * e noi, magnificando lui˚ * insieme con gli eser­citi celesti, * diciamo te beata˚.  
Exapostilárion.
L’eothinón anastásimon, quindi i se­guenti tropari del triódion.
Con i discepoli conveniamo.
Fuggiamo le pessime millanterie del fariseo impariamo invece * l’ottima umiltà del pubblicano, * per venirne innalzati, * gridando con lui a Dio: * Sii propizio ai tuoi servi, * o Cristo Salvatore, * nato dalla Vergine; * poiché volontariamente ti sei sottoposto * anche alla croce˚, * con divina potenza hai risuscitato * insieme a te il tuo mondo.
Theotokíon, stessa melodia.
L’autore del creato e Dio dell’universo * ha assunto carne mortale * dal tuo grembo purissimo, * o Madre-di-Dio degna di ogni canto. * La mia natura tutta corrotta ha rinno­vato * lasciando te, dopo il parto, * quale eri prima del parto. * Per que­sto, con fede, * noi tutti ti salu­tiamo acclamando: * Gioisci, gloria del mondo.
Alle lodi, 4 stichirá anastásima dal­l’októichos. Quindi i seguenti 4 idiómela dal triódion. Tono 1.
Non preghiamo, fratelli, * al modo del fariseo: * perché chi si esalta, sarà umiliato˚. * Umiliamoci davanti a Dio, * gridando durante il digiuno come il pubbli­cano: * Sii propi­zio, o Dio, * a noi peccatori˚.       
Il fariseo, dominato dalla vanagloria, * e il pubbli­cano, piegato dal pentimento, * si accostarono a te, unico Sovrano: * ma l’uno, per essersi vantato, * fu privato di ciò che aveva di bene; * mentre all’altro, che neppure aveva aperto bocca, * furono elargiti i doni. * Confermami in questo gemere, * o Cristo Dio, * nel tuo amore per gli uomini.
Stico: Sorgi, Signore Dio mio, si innalzi la tua mano, non dimenticare i tuoi miseri sino alla fine.
Tono 3.
Poiché hai appreso, o anima, * la differenza tra il pubblicano e il fariseo, * detesta dell’uno le parole superbe, * dell’altro emula la preghiera compunta, * e grida: * O Dio, sii propizio a me peccatore˚, * e abbi pietà di me.   
Stico: Ti confesserò, Signore, con tutto il mio cuore, narrerò tutte le tue meraviglie.
Odiando, o fedeli, * il vanitoso parlare del fariseo, * ed emulando la preghiera compunta del pubblicano, * non coltiviamo sentimenti superbi, * ma umiliando noi stessi˚, * gridiamo con compunzione: * O Dio, perdona i nostri pecca­ti.
Gloria. Tono pl. 4.
Tu hai condannato, Signore, * il fariseo che giustifi­cava se stesso * col vanto che traeva dalle opere, * e hai giustificato il pubblicano * che era di sentimenti modesti * e chiedeva con gemiti la tua benevolenza: * tu infatti non accetti i pensieri superbi, * e non disprezzi i cuori contriti˚. * Anche noi dunque * ci gettiamo umilmente ai tuoi piedi, * davanti a te che hai patito per noi: * Concedici la remissione * e la grande miseri­cordia˚.          
Ora e sempre. Sei piú che benedetta (p. 68). Grande dossologia, tropario e congedo.