sabato 19 gennaio 2013



                                       TRIODION
                                KATANYKTIKON

 Si fa memoria della parabola evangelica del pubblicano e del fariseo.       

SABATO — VESPRO
Ufficio del vespro delle domeniche Tono I.
Tono 1.
Non preghiamo, fratelli, * al modo del fariseo: * perché chi si esalta, sarà umiliato˚. * Umiliamoci davanti a Dio, * gridando durante il digiuno come il pubbli­cano: * Sii propi­zio, o Dio, * a noi peccatori˚. 2 volte.
Il fariseo, dominato dalla vanagloria, * e il pubbli­cano, piegato dal pentimento, * si accostarono a te, unico Sovrano: * ma l’uno, per essersi vantato, * fu privato di ciò che aveva di bene; * mentre all’altro, che neppure aveva aperto bocca, * furono elargiti i doni. * Confermami in questo gemere, * o Cristo Dio, * nel tuo amore per gli uomini.
Gloria. Tono pl. 4.
Signore onnipotente, * so quanto possono le lacrime: * esse hanno fatto risalire Ezechia dalle porte della morte˚; * hanno liberato la peccatrice dalle sue colpe inveterate˚; * hanno reso il pubblicano * piú giusto del fariseo˚. * Ed io, annoverandomi tra costoro ti prego: * Abbi pietà di me.
Ora e sempre. Theotokíon, il primo del tono.
Ingresso. Luce gioiosa. Prokímenon: Il Signore ha instaurato il suo regno.
Allo stico, stichirá dall’októichos, alfabetici.
Gloria. Tono pl. 1.
Poiché si sono appesantiti i miei occhi * per le mie   iniqui­tà, * non posso volgermi a guardare la volta del cielo: * ma tu accoglimi nel pentimento, * come il pubblicano, o Salvatore, * e abbi pietà di me.
Ora e sempre. Theotokíon. Stesso tono.
Tu sei tempio e porta˚, * reggia e trono del Re˚, * o Vergine tutta venerabile: * per te il mio Redentore, Cristo Signore, * è apparso, sole di giustizia˚, * a coloro che dormivano nella tenebra˚, * volendo illu­mi­nare quelli che di propria mano * aveva plasmato a sua immagi­ne˚. * Tu dunque, o degna di ogni canto, * che hai con lui famigliarità di madre, * inces­santemente intercedi * per la salvezza delle anime nostre.      
Apolytíkion anastásimon. Gloria. Ora e sempre. Theotokíon e congedo.

DOMENICA DEL PUBBLICANO
ORTHROS
Ufficio dell’órthros delle domeniche,  .
A Il Signore è Dio, apolytíkion anastásimon del tono. Gloria, lo stesso tropario. Ora e sempre, il suo theoto­kíon.
La consueta sticología, i kathísmata dall’októichos, l’ámomos, gli evloghitária, l’ypakoí, gli anavathmí del tono, il pro­kímenon, il vangelo mattutino stabilito, Contemplata la risurrezione di Cristo.
Quindi, dopo il salmo 50 e gli idióme­la del triódion (pp. 58-60), cominciano i canoni, quello anastásimos e il seguente, del triódion.
Canone del triódion. Poema di Giorgio.
Acrostico nei theotokía: Di Giorgio.
Ode 1.: Cantico di Mosè.
Tono pl. 2. Dopo che Israele.
Il Cristo, inducendo tutti con le sue parabole * a corregge­re la propria vita, * solleva il pubblicano * dalla sua umilia­zione, * umiliando il fariseo * che si era innalza­to.
Vedendo che dall’umiliazione * viene una ricompensa che eleva, * mentre dall’innalzarsi, una tremenda caduta, * emula quanto ha di bello il pubblicano * e detesta la malizia farisaica.
Dalla temerità vien svuotato ogni bene, * mentre dall’umiltà vien purificato ogni male: * abbracciamola dunque, o fedeli, * aborrendo davvero tutto ciò che è vanagloria.
Volendo che i suoi discepoli * fossero di umile sentire, * il Re dell’universo ammonendo insegnava * ad emulare il gemito del pubblicano * e la sua umiltà.
Gemo come il pubblicano, * e con incessanti lamenti, * o Signore, * mi accosto alla tua amorosa compassione: * sii pietoso anche con me * che vivo ora la mia vita con umiltà.
Theotokíon.
A te affido, Sovrana, * mente, volontà, speranze, * corpo, anima e spirito: * liberami e salvami * da nemici insidiosi e tentazioni, * come pure dalla minaccia futura.
Katavasía.
Dopo che Israele ebbe camminato a piedi nell’abisso * come su terra ferma˚, * vedendo che il faraone inseguito­re * veniva sommerso nel mare˚, * esclamava: * Cantia­mo a Dio un inno di vittoria˚.         
Ode 3.: Cantico di Anna. Non c’è santo come te.
Dal letame delle passioni * l’umile è sollevato, * dalla vetta delle virtú * cade invece paurosamente * chiunque sia di cuore altero: * fuggiamo tali cattive disposizioni.
La vanagloria devasta tesori di giustizia, * mentre l’umiltà disperde il cumulo delle passioni: * concedi dunque, o Salvatore, * che noi, imitando l’umiltà, * abbiamo la sorte del pubblicano.
Come il pubblicano, anche noi, * battendoci il petto, gridiamo compunti: * Sii propizio, o Dio, a noi peccatori! * Cosí anche noi, come lui, * otterremo la remissione.
Diamoci allo zelo, o fedeli, * agendo con mitezza, * vivendo insieme con umiltà, * nel gemito del cuore, * nel pianto e nella preghiera, * per ottenere da Dio il perdono.
Gettiamo via da noi, o fedeli, * l’abnorme gonfiore della millanteria, * la disgustosa temerarietà, * la dete­stabile boria, * e l’impudente durezza del fariseo, * tanto cattiva davanti a Dio.
Theotokíon.
Confidando in te, unico rifugio, * possa io non venir meno alla buona speranza, * ma ottenga il tuo soccorso, o pura, * per non subire danno alcuno * dalle difficoltà.
Katavasía.
Non c’è santo come te, Signore mio Dio˚, * che sollevi la fronte dei tuoi fedeli, * o buono, * e ci rafforzi sulla roccia della tua confessione˚.   
 Káthisma. Tono 4. Presto intervieni.
L’umiltà ha sollevato il pubblicano che, * mesto e confuso per i suoi peccati, * gridava al Creatore il suo * ‘Sii propizio’. * L’alterigia ha invece fatto decadere dalla giu­stizia * lo sciagurato fariseo millantato­re: * emuliamo dunque il bene, * astenendoci dal male.
            Gloria. Un altro tropario, stessa melodia.
L’umiltà ha sollevato e giustificato un tempo * il pubblicano che gridava tra il pianto: * Siimi propizio. * Imitiamolo dunque, tutti noi che siamo caduti * nelle profondità del male; * gridiamo al Salvatore dal profondo del cuore: * Abbiamo peccato, siici propizio, * o solo amico degli uomini.
Ora e sempre. Theotokíon, stessa melodia.
Presto accogli, o Sovrana, * le nostre suppliche, * e presentale al tuo Figlio e Dio, * o Signora tutta imma­colata. * Sciogli le difficoltà di quanti a te accor­ro­no, * sventa le insidie e gli attacchi sfrontati, * o Vergi­ne, * di quanti ora si armano * contro i tuoi servi.
Ode 4. Cantico di Abacuc. Cristo mia forza.
Perfetta via di elevazione * ha reso il Verbo l’umil­tà* umiliando se stesso * sino ad assumere forma di servo˚. * E chiunque imita questa umiltà, * umilian­dosi viene innal­zato.
Si è innalzato il giusto fariseo, * ed è caduto in basso; * ma il pubblica­no, gravato da un cumulo di mali, * si umilia e viene risollevato, * giustificato contro ogni speranza.
La temerarietà produce indigenza di virtú * traendola dalla loro stessa ab­bondanza, * mentre a sua volta l’umiltà * guada­gna la giustizia * proprio con l’estrema indigenza di questa: * possiamo anche noi acquisirla!
Già avevi detto, Sovrano, * che tu resisti agli orgogliosi, * mentre concedi la tua grazia agli umili˚, * o Salvatore: * su noi che ci umiliamo, * manda dunque la tua grazia.
Sempre guidandoci alla divina elevazione, * il Salva­to­re e Sovrano, come mezzo per elevarci, * ci ha indicato l’umiltà: * egli ha infatti lavato con le proprie mani * i piedi dei discepo­li˚.
Theotokíon.
Tu che hai partorito, o Vergine, * la luce inaccessi­bile˚, * dirada la tenebra della mia anima * con lo splen­dore che colma di luce, * e guida la mia vita * sui sentie­ri della salvezza.
Katavasía.
Cristo, mia forza˚, * Dio e Signore! * Cosí la sacra Chiesa divinamente canta, * levando il grido da animo puro˚, * facendo festa nel Signore.  
Ode 5.: Cantico di Isaia. Col tuo divino fulgore.
Studiamoci di imitare le virtú del fariseo, * e di emulare l’umiltà del pubblicano, * ma detestando, in entrambi, ciò che è male: * tanto la folle temerità quanto la sozzura delle colpe.
La corsa della giustizia * si è dimostrata vana per il fariseo, * che l’ha compiuta unendovi la presun­zione; * il contrario accade per il pubbli­cano, * che si è preso l’umil­tà * come com­pagna della virtú che innalza.
Il fariseo presumeva * di correre nelle virtú come un auriga, * ma a piedi il pubblicano superò * quel carro deviante, * gareggiando con esso ottimamente, * perché aveva aggiogato l’umiltà al gemito.
Poiché tutti abbiamo dispiegata davanti alla mente * la parabola del pubblicano, * venite, emuliamolo con lacrime, * presentando a Dio uno spirito contrito˚, * chiedendo la remissione dei peccati.   
Quanti abbiamo senno, * respingiamo lontano da noi * l’atteggiamento funesto, * orgoglioso, miserabile, arrogan­te, * altero e superbo del fariseo, * per non essere spogliati della divina grazia.
Theotokíon.
Manda, o buona, lo scettro di potenza * a tutti noi che in te ci rifugiamo, * dandoci di dominare in mezzo a tutti i nemici˚, * e sottraendoci a ogni danno.      
Katavasía.
Col tuo divino fulgore, * o buono, * rischiara, ti prego, * le anime di quanti con amore * vegliano per te dai primi albori˚, * perché conoscano te, Verbo di Dio, * che vera­mente sei Dio * e che ci richiami dal buio delle colpe.
Ode 6.: Cantico di Giona. Vedendo il mare della vita.
Il pubblicano e il fariseo * hanno corso contemporaneamente * nello stadio della vita, * ma l’uno, dominato dalla teme­rità, * ha fatto un vergognoso naufragio, * mentre l’altro è stato salvato dall’umiltà.
Noi che affrontiamo la dura corsa della vita, * imitiamo i fervidi sentimenti del pubblicano, * fuggiamo l’abominevole boria del fariseo, * e vivremo.
Emuliamo la condotta di Gesú Salvatore * e la sua umiltà, * noi che desideriamo ottenere * l’eterna dimora della gioia, * abitando nella regione dei viventi˚.
Hai mostrato, o Sovrano, ai tuoi discepoli * l’umiltà che innalza: * cinto ai fianchi il grembiule, * hai lavato loro i piedi˚ * e li hai predisposti ad imitare la tua condotta.
Il fariseo viveva tra le virtú, * e il pubblicano tra le colpe. * Ma il primo si sobbarcò quella folle umiliazione * che viene dall’orgoglio, * mentre l’altro, mostrandosi di umile sentire, * fu esaltato.
Theotokíon.
Creato nudo grazie alla semplicità * e alla vita non artifici­a­le, * il nemico mi avvolse nella doppiezza della trasgressione * e nella pesantezza carnale: * ma ora per la tua mediazione, o Vergine, * io vengo salvato.
Katavasía.
Vedendo il mare della vita sollevarsi * per i marosi delle tentazioni˚, * accorro al tuo porto sereno e grido: * Fa’ risalire dalla corruzione la mia vita˚, * o miseri­cordio­sissimo.           
 Kondákion. Tono 3. Ti sei manifestato oggi.
Fuggiamo il superbo parlare del fariseo, * e impariamo l’elevatezza * delle parole umili del pubblicano, * gridando pentíti: * Salvatore del mondo, * sii propizio ai tuoi servi.
            Altro kondákion. Tono 4. La Vergine oggi.
Come il pubblicano, * offriamo gemiti al Signore, * e    gettiamoci ai suoi piedi * quali peccatori davanti al Sovrano: * egli vuole infatti la salvezza di tutti gli uomini˚ * e concede la remissione a tutti quelli che si pentono, * perché per noi si è incarnato, * lui che è Dio, coeterno al Padre.
Ikos. Betlemme ha aperto l’Eden.
Umiliamoci tutti, o fratelli: * con gemiti e lamenti * percuotiamo la nostra coscienza, * affinché si possa comparire innocenti, o fedeli, * al giudizio eterno, * e ottenere remissione: * là è infatti il vero riposo, * che noi ora supplichiamo di vedere; * di là sono fuggiti dolore, tristezza˚ * e gemiti profondi, * nel mirabile Eden * di cui Cristo è creatore, * lui che è Dio, coeter­no al Padre. 
Sinassario del minéo, poi il seguente:
Lo stesso giorno di domenica, si fa memoria della parabola evangelica del pubblicano e del fariseo.
Per l’intercessione di tutti i tuoi santi che hanno compiuto opere grandi, o Cristo Dio nostro, abbi pietà di noi e salvaci. Amen.
Ode 7.: Cantico dei tre fanciulli. Tutta rugiadosa.
Esaltandosi per le sue opere di giustizia, * il fariseo incappò paurosamente * nei lacci della vanaglo­ria, * con la sua smodata millanteria; * mentre il pubblicano, * agilmen­te solleva­to dall’ala dell’umiltà, * giunse vicino a Dio.
Servendosi di umili modi come di una scala, * il pubbli­ca­no fu sollevato alle altezze del cielo; * mentre il misero fariseo, * innalzato dalla fallace leggerezza della millan­teria, * incontrò le profondità dell’ade.
L’ingannatore, quando insidia i giusti, * li depreda con sentimenti di vanagloria, * mentre lega i peccatori * con i lacci della disperazione: * ma noi che emuliamo il pubbli­cano, * sforziamoci di sottrarci a entrambi questi mali.
Nella nostra preghiera, * gettiamoci davanti a Dio, * con lacrime e con gemiti ardenti, * imitando l’umiltà elevante del pubblicano, * e cantando, o fedeli: * Bene­detto tu sei, o Dio, * Dio dei padri nostri˚.   
Ammaestrando i discepoli, * dicevi, o Sovrano, * di non avere un sentire superbo, * insegnando loro ad attener­si invece a ciò che è umile˚, * o Salvatore. * Perciò a te noi fedeli acclamiamo: * Benedetto tu sei, o Dio, * Dio dei padri nostri˚.
Theotokíon.
Noi ti conosciamo come bellezza di Giacobbe˚ * e come divina scala * che egli aveva vista un tempo * protendersi dal basso verso il cielo˚, * o venerabile, * per condurre quaggiú il Dio incarnato, * e portare in alto a loro volta i mortali.
Katavasía.
Tutta rugiadosa * rese l’angelo la fornace * per i santi   fanciulli, * mentre, bruciando i caldei˚, * il comando di Dio persuase il tiranno a gridare: * Benedetto tu sei˚, * Dio dei padri nostri˚.            
Ode 8.: Cantico delle creature.
Dalla fiamma hai fatto scaturire.
Con un animo umile, * il pubblicano, gemendo,   trovò propizio il Signore e fu salvato, * ma decadde paurosamente dalla giustizia * il fariseo dalla lingua magniloquente.
Fuggiamo, o fedeli, * la boria dei propositi del fariseo * e i suoi titoli di purezza, * emulando rettamen­te * l’umiltà e i sentimenti del pubblicano * che hanno ottenuto misericordia.
Pronunciamo, o fedeli, * le parole del pubblicano * nel santo santuario: * O Dio, sii propizio. * Cosí otterremo con lui il perdono, * e saremo sottratti alla rovina del fariseo millantatore.
Emuliamo tutti il gemito del pubblicano, * e accostan­doci a Dio tra calde lacrime, * a lui gridiamo: * O amico degli uomini, * abbiamo peccato: * o pietoso, o compassio­nevole, * siici propizio e salvaci.
Benediciamo il Padre, il Figlio e il santo Spirito.
Dio ascoltò il gemito del pubblicano, * e, giustifican­dolo, * mostrò a tutti * che egli si lascia sempre piegare, * se gli chiediamo il perdono delle colpe * con gemiti e lacrime.
Ora e sempre. Theotokíon.
Non conosco altro soccorso * all’infuori di te: * te io presento a intercedere per me, * o pura, tutta immacola­ta, * te, mediatrice presso colui * che da te è nato: * liberami da ogni pena.
Lodiamo, benediciamo e adoriamo il Signore.
Katavasía.
Dalla fiamma * hai fatto scaturire per i santi la rugia­da˚, * e con l’acqua * hai bruciato il sacrificio del giusto˚: * perché tutto tu compi, o Cristo, * col solo volere; * noi ti sovresaltiamo per tutti i secoli˚.   
Ode 9.: Cantico della Madre-di-Dio e di Zaccaria.
Non è possibile agli uomini.
Avendo ricevuto dal Cristo l’umiltà * come via per la glorificazione, * emuliamo, quale modello di salvezza, * la condotta del pubblicano, * buttando lontano da noi * la boria della superbia, * rendendoci propizio Dio * con un animo umile.
Respingiamo la temerarietà dell’anima, * studiamoci di acquistare con l’umiltà * un animo retto, * non cerchiamo di giustificarci, * aborriamo la gonfia vanagloria, * e insieme al pubblicano * rendiamoci propizio Dio.
Offriamo al Creatore * le suppliche del gemito * come il pubblicano, * evitando le preghiere non gradite del fariseo * e le sue parole millantatrici * che portavano giudizio contro il prossimo: * allora ci attireremo la benevolenza di Dio e la sua luce.
Oppresso da un nugolo di colpe, * ho superato il pubblicano * per eccesso di malizia, * e ho assunto per giunta * la boria millantatrice del fariseo, * renden­domi da ogni parte privo * di qualsiasi bene: * Signore, usami indulgenza.
Rendi degni della tua beatitudine * quanti per te * sono stati poveri nello Spirito˚: * spinti infatti dal tuo coman­do, * ti portiamo uno spirito contrito˚: * o Salva­tore, accogli e salva * quanti a te rendono culto.     
Un pubblicano, che un giorno pregò Dio, * salendo al tempio con fede, fu giusti­fi­ca­to: * accostan­dosi infatti con gemiti e lacrime * e con cuore contrito˚, * depose tutto il peso dei peccati * con questi atti di propiziazio­ne.          
Theotokíon.
O tutta pura, * a noi che degnamente ti onoriamo, * e magnifichiamo il tuo parto, * dona di cantarti, di glorificarti e dirti beata, * o sola benedetta: * perché tu sei il vanto dei cristiani * e mediatrice accetta presso Dio.
Katavasía.
Non è possibile agli uomini vedere Dio˚ * che le schiere degli angeli non osano fissare˚: * ma grazie a te, o tutta pura, * il Verbo si è mostrato ai mortali incar­nato; * e noi, magnificando lui˚ * insieme con gli eser­citi celesti, * diciamo te beata˚.  
Exapostilárion.
L’eothinón anastásimon, quindi i se­guenti tropari del triódion.
Con i discepoli conveniamo.
Fuggiamo le pessime millanterie del fariseo impariamo invece * l’ottima umiltà del pubblicano, * per venirne innalzati, * gridando con lui a Dio: * Sii propizio ai tuoi servi, * o Cristo Salvatore, * nato dalla Vergine; * poiché volontariamente ti sei sottoposto * anche alla croce˚, * con divina potenza hai risuscitato * insieme a te il tuo mondo.
Theotokíon, stessa melodia.
L’autore del creato e Dio dell’universo * ha assunto carne mortale * dal tuo grembo purissimo, * o Madre-di-Dio degna di ogni canto. * La mia natura tutta corrotta ha rinno­vato * lasciando te, dopo il parto, * quale eri prima del parto. * Per que­sto, con fede, * noi tutti ti salu­tiamo acclamando: * Gioisci, gloria del mondo.
Alle lodi, 4 stichirá anastásima dal­l’októichos. Quindi i seguenti 4 idiómela dal triódion. Tono 1.
Non preghiamo, fratelli, * al modo del fariseo: * perché chi si esalta, sarà umiliato˚. * Umiliamoci davanti a Dio, * gridando durante il digiuno come il pubbli­cano: * Sii propi­zio, o Dio, * a noi peccatori˚.       
Il fariseo, dominato dalla vanagloria, * e il pubbli­cano, piegato dal pentimento, * si accostarono a te, unico Sovrano: * ma l’uno, per essersi vantato, * fu privato di ciò che aveva di bene; * mentre all’altro, che neppure aveva aperto bocca, * furono elargiti i doni. * Confermami in questo gemere, * o Cristo Dio, * nel tuo amore per gli uomini.
Stico: Sorgi, Signore Dio mio, si innalzi la tua mano, non dimenticare i tuoi miseri sino alla fine.
Tono 3.
Poiché hai appreso, o anima, * la differenza tra il pubblicano e il fariseo, * detesta dell’uno le parole superbe, * dell’altro emula la preghiera compunta, * e grida: * O Dio, sii propizio a me peccatore˚, * e abbi pietà di me.   
Stico: Ti confesserò, Signore, con tutto il mio cuore, narrerò tutte le tue meraviglie.
Odiando, o fedeli, * il vanitoso parlare del fariseo, * ed emulando la preghiera compunta del pubblicano, * non coltiviamo sentimenti superbi, * ma umiliando noi stessi˚, * gridiamo con compunzione: * O Dio, perdona i nostri pecca­ti.
Gloria. Tono pl. 4.
Tu hai condannato, Signore, * il fariseo che giustifi­cava se stesso * col vanto che traeva dalle opere, * e hai giustificato il pubblicano * che era di sentimenti modesti * e chiedeva con gemiti la tua benevolenza: * tu infatti non accetti i pensieri superbi, * e non disprezzi i cuori contriti˚. * Anche noi dunque * ci gettiamo umilmente ai tuoi piedi, * davanti a te che hai patito per noi: * Concedici la remissione * e la grande miseri­cordia˚.          
Ora e sempre. Sei piú che benedetta (p. 68). Grande dossologia, tropario e congedo.


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