giovedì 28 febbraio 2013



Ricorderemo

sempre il nostro caro Papa di Roma 

Benedetto XVI 




che per otto anni 

ci ha guidati a scoprire con semplicità e umiltà 

la certezza della nostra fede nel Cristo di 

Nazareth ,morto e risorto che è sempre 

presente nella Chiesa come Buon Pastore.


Crocifissi insieme a Colui che per noi è stato crocifisso


L’umile lavoratore diventato umile pastore.


         
      La liturgia bizantina, nella settimana che precede l’inizio della Quaresima, canta questo tropario: “Digiunando dai cibi, anima mia, senza purificarti dalle passioni, invano ti rallegri per l’astinenza, perché se essa non diviene per te occasione di correzione, sei in odio a Dio come menzognera e ti rendi simile ai ­perfidi demoni che non si cibano mai. Non rendere dunque inutile il digiuno peccando, ma rimani irremovibi­le sotto gli impulsi sregolati, facendo conto di stare presso il Salvatore crocifisso, o meglio di essere croci­fissa insieme a Colui che per te è stato crocifisso, gridando a lui: Ricòrdati di me Signore, quando verrai nel tuo regno”.È un testo che spiega il vero senso del digiuno cristiano e alla fine il tropario presenta il ruolo centrale della croce di Cristo nella vita dei cristiani: “crocifissi insieme a Colui che per noi è stato crocifisso”. 
     Non ho potuto non accostare questo testo alle parole di Benedetto XVI nell’ultima udienza del suo pontificato: “Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso. Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro. San Benedetto, il cui nome porto da Papa, mi sarà di grande esempio in questo. Egli ci ha mostrato la via per una vita, che, attiva o passiva, appartiene totalmente all’opera di Dio”.
         Quando il 19 aprile 2005 Benedetto XVI, da poco eletto alla sede di Pietro nella Chiesa di Roma, si presentò al suo popolo nella loggia della basilica vaticana, si definì come “un umile lavoratore nella vigna del Signore”. Dopo quasi otto anni di quotidiano umile lavoro, spesso strenua fatica, lo vediamo consegnare la vigna arata, potata, curata con amore sponsale ad un altro che dovrà continuarne la coltivazione. Nel pastore –e perché no?- nell’agricoltore Benedetto XVI abbiamo visto quell’amoroso servizio che il profeta Isaia canta per la sua vigna: “Voglio cantare per il mio diletto un cantico d'amore alla sua vigna. Il mio diletto possedeva una vigna su un colle ubertoso.Egli la vangò, la liberò dai sassi e la piantò di viti eccellenti, in mezzo ad essa costruì una torre e vi scavò anche un tino; attese poi che facesse uva, invece produsse uva aspra” Is 5,1-4). Cristo stesso nel vangelo usa questa immagine della vigna per parlare dell'’amore di Dio verso il suo popolo. Come se l’umile lavoratore Joseph Ratzinger, diventato per volontà di Dio ed il voto umano l’umile pastore Benedetto XVI, non avesse voluto fare altro e niente di meno, che vivere in se stesso, incarnare nel suo ministero pastorale, il canto del profeta sulla sua amata vigna.
         Umile lavoratore diventato umile pastore. Lungo il suo pontificato Benedetto XVI ha voluto in qualche modo sparire, farsi piccolo, farsi discreto, ma non per ostensione ma per mostrare Colui che è il vero pastore, incarnato, fattosi uomo per noi. Dall'inizio alla fine del suo ministero pastorale non ha voluto parlare di se stesso, bensì come umile pastore parlare dell'’unico Pastore. Già nella liturgia di inizio di pontificato non volle né presentarsi, né proporre dei programmi, ma presentare il Pastore, colui a chi lui stesso e tutti i simboli di quella liturgia facevano riferimento, e perciò da buon mistagogo ne spiegò la simbologia.
Quando il 1 maggio 2011, domenica di san Tommaso, Giovanni Paolo II per la benevolenza di Dio e per l’autorità apostolica del suo successore nella sede romana, II entrò nell’albo dei beati, la folla accorse di nuovo tra le braccia di piazza San Pietro, quel colonnato che come il grembo di una madre accoglie i figli. E in quei giorni di maggio colpì direi l’umiltà, la discrezione, la presenza quasi silenziosa di Benedetto XVI, come se di forma naturale e convinta avesse voluto mettersi da parte, all’ombra, per lasciar che fosse il predecessore ed amico che riprendesse il suo posto. La vigilia della beatificazione, in quel circo massimo romano gremito di giovani, Benedetto XVI da Castelgandolfo, ancora una volta discreto quasi nascosto guidò, come pastore della diocesi romana, la preghiera conclusiva di quella lunga vigilia. Pero la domenica a piazza San Pietro lui fu veramente il liturgo, che invocò il Nome della Santa Trinità all’inizio della liturgia, che proclamò davanti alla Chiesa e al mondo la santità del nuovo beato, che commentò la Parola di Dio, e sui doni presentati invocò lo Spirito Santo affinché diventassero il Corpo e il Sangue di Cristo. In una celebrazione liturgica concelebrata coi patriarchi delle Chiese Orientali cattoliche ed i padri cardinali, conclusasi con la sua preghiera silenziosa e discreta davanti alla bara del suo predecessore beato Giovanni Paolo II.
         Umile pastore fino alla conclusione del suo pontificato, del suo umile servizio alla Chiesa Cattolica. Dopo aver annunciato in modo dimesso, e usando una lingua forse in molti non più capita, che voleva continuare a portare il peso della croce di Cristo, ma in modo molto diverso, e nelle settimane che hanno susseguito questo annuncio non ha parlato di se stesso bensì umile pastore ha continuato ad annunciare il vero Pastore. Nel suo ultimo incontro con i fedeli in quella piazza San Pietro dalle braccia protese, Pietro ha abbracciato la Chiesa e la Chiesa ha abbracciato Pietro. E nella sua catechesi, ancora una volta discreta ed umile e per questo grande, il pastore –l’umile lavoratore- con la sua parola ha curato con amore per ultima volta la sua amata vigna. E lo ha fatto nel ringraziamento a Dio che guida sempre la Chiesa, nella grande fiducia che il Vangelo è l’unica forza della Chiesa. Convinto che il Signore l’ha guidato nei giorni di sole e di gioia e nei giorni di foschia e di sofferenza; nei giorni in cui il mare è stato sereno e la barca solcava senza difficoltà, e nei giorni in cui le onde l’hanno sbattuta e sembrava che il Signore dormiva. Ma lui, il Signore c’era e c’è, e questa è la nostra fede. Convinti che Dio ci ama e ha dato il suo Figlio per noi. E Benedetto XVI ha ringraziato ancora tante persone che fedelmente hanno collaborato con lui, con spirito di fede e di umiltà; per fare della Chiesa non una organizzazione ma un corpo vivo, comunione di fratelli e sorelle nel Corpo di Cristo che ci unisce tutti. In un amore, ha ancora ricordato Benedetto XVI che delle volte porta a scelte difficili, sempre per il bene della Chiesa. Consapevolezza certa che dal momento della sua accettazione come successore di Pietro nella chiesa di Roma lui, il Papa, non apparteneva più a se stesso bensì a tutti e per sempre nell’abbraccio vicendevole di cui piazza San Pietro in questa ultima udienza è diventata tipo e testimone. Quindi il vignaiolo, il pastore, alla fine diremmo riprende il ruolo di teologo e spiega il mistero della croce, di cui lui non scende bensì rimane in modo nuovo presso il Signore crocifisso. Le parole di Benedetto XVI: “Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso”, ci portano a quelle del tropario iniziale: “… facendo conto di stare presso il Salvatore crocifisso, o meglio di essere croci­fissa insieme a Colui che per te è stato crocifisso”.
         Dal 28 febbraio Benedetto XVI non scende dalla croce ma il suo nascondimento illumina Colui che per noi è appeso alla croce. Nella liturgia bizantina, durante la lettura del vangelo al vespro del Venerdì Santo, l’immagine del crocifisso viene deposta dalla croce, avvolta in un lenzuolo e sepolta sotto l’altare che diventa la tomba da cui sgorga la risurrezione e la vita. In mezzo alla navata comunque rimane sempre, a vista di tutti la croce di Cristo. Benedetto XVI si fa umile, sparisce, lasciando pero in mezzo alla Chiesa la croce vivificante di nostro Signore Gesù Cristo, che è sempre per noi cristiani l’albero della vita che ci porta all’incontro con l’unico vero Pastore della Chiesa.

P. Manuel Nin
Pontificio Collegio Greco
Roma

martedì 26 febbraio 2013


                           Cenni biografici


della Serva di Dio Madre Macrina Raparelli (1893-1970)
               
               La sera del 26 febbraio 1970 con l’invocazione sulle labbra, 
                         colma di meriti, andò incontro al Signore


All’ombra del Monastero di Santa Maria Odigitria di Grottaferrata il 2 Aprile 1893 nacque la SdD Madre Macrina (al secolo Elena Raparelli) da una famiglia profondamente cristiana.
Terza di nove figli, venne battezzata il gior­no 5 dello stesso mese nella Chiesa dell'Abbazia, che in seguito avrebbe frequentata con grande assiduità. Due anni dopo nacque Agnese che fu sorella e collaboratrice e sostenitrice dell'Opera che il Signore doveva loro affi­dare.
I loro confessori furono, prima P. Massimo Passamonti, stimato da tutti per la sua santità, Padre Antonio Rocchi, un san­to monaco che esigeva molto eser­cizio di virtù, ma il vero formatore e la vera guida spirituale fu Padre Nilo Borgia, monaco di grande virtù e santi­tà.
P. Nilo, costatando l'impegno sempre crescente nella vita spirituale, permise loro di emettere il voto di castità che fecero con la ferma decisione di rimanervi fedeli per sempre.
Un giorno Elena che aveva maturato da tempo dentro di sé l’idea della fondazione gli disse: "Noi vogliamo fondare una Istituzione di rito Bizantino per i popoli Orientali e per gli Albanesi". Era il segno che P. Nilo attendeva dal Signore.
Poiché P. Nilo fu mandato in Albania, prima di partire, pregò San Luigi Orione, del quale era molto amico, a voler ospitare Elena ed Agnese in una delle Comunità da lui istituite, affinché si formassero alla vita religiosa. Così nel maggio del 1919 le due sorelle andarono a Monte Mario (Roma). Si temprarono a quei sacrifici materiali e spirituali che avrebbero dovuto affrontare in seguito.
Il favore dimostrato da Mons. Isaia Papadopulos, Assessore della Congregazione per le Chiese Orientali, fece ben sperare Padre Nilo di avviare l’Opera, ma le prove e le contrarietà non mancarono.  Fu, infine, l' Arciprete di Mezzojuso, Papàs Onofrio Buccola, ad accettare il gruppo di "Signorine" nella sua Parrocchia. Il 2 luglio 1921 Elena ed Agnese Raparelli, quindi, partiro­no da Roma. Arrivate a Palermo, andarono ad osse­quiare l'Arcivescovo, il Cardinale Alessandro Lualdi, che le accolse come un vero padre e le benedisse inco­raggiandole nell' Opera intrapresa.
A Mezzojuso cominciò il loro apostolato tra stenti e sacrifici enormi. La casa era povera e malandata, ma aveva più loca­li per le opere caritative ed assistenziali. A lei e alla sorella ben presto si aggiunsero altre così  che Elena e le compagne iniziarono un intenso servizio di missione; si cominciò ad assiste­re persone anziane, ad accogliere le orfane di guerra a cui venivano impartite lezioni di ricamo, taglio e cuci­to; si dava la refezione alle mamme ed ai bambini sot­to il patrocinio dell'O.N.M.I. (Opera Nazionale Maternità ed Infanzia). Si istituì l'asilo per i bambini, un laboratorio di ricamo per le ragazze ed in seguito si ebbero le colonie estive che continuarono per diversi anni anche nella casa di nuova costruzione in via SS. Crocifisso e nelle altre case della Congregazione. Furono loro affidate le prime bambine povere come collegiali; per Elena ciò fu di grande gioia perché aveva una propensione alla cura dell’infanzia bisognosa.
Nel maggio 1925 il Cardinale Lualdi, Arcivescovo di Palermo, durante la sua visita pastorale fatta a Mezzojuso, visitò anche la nuova comunità religiosa. Si compiacque molto del risveglio religioso in mezzo al popolo per l'azione missionaria svolta da queste sorelle, le benedisse e si degnò chia­mare la nuova Istituzione "Suore Basiliane Figlie di S. Macrina", nominando Superiora Generale Elena, che da quel momento fu da tutte chiamata "Madre".
Il decreto di approvazione canonica della giovane Congregazione giunse però solo il 19 luglio 1930, proprio nella festa di S. Macrina. Così il 30 luglio successivo poté essere emessa la Professione religiosa delle prime sorelle: Elena divenne Macrina.  Il giorno successivo si celebrò il primo Capitolo Generale. Come  Superiora Generale  risultò eletta all’unanimità lei, Madre Macrina Raparelli, che divenne l’esempio e la guida della Istituzione. La sua vita di preghiera era il suo cibo spiri­tuale quotidiano e lo inculcava nelle sue figlie spirituali  per progredire nelle virtù religiose: "Fate bene le pratiche di pietà, non trascurate l' adorazio­ne, la lettura spirituale, ecc. altrimenti viene meno lo spirito religioso e si va indietro; state attente anche alle giovani, che preghino assai".
Ella desiderò assodare lo scopo della Congregazione che era quello di andare verso l'Oriente cristiano con l'opera e con la preghiera, con l’esempio e col lavoro di carità per unirsi ai  fratelli nello spirito, nella mente nella volontà e nel cuore.
Madre Macrina aveva un’attenzione particolare poi per gli ammalati ed i sofferenti. Stava vicino a tutte e gioiva come una mamma quando le sue figlie si comportavano bene e lavoravano generosamente nel campo del Signore, mentre soffri­va molto quando qualcuna tentennava o usciva dalla Congregazione.
Sotto la sua direzione solerte la Congregazione si estese a molte comunità italo-albanesi di Calabria e di Sicilia.
Nel gennaio del 1970 si rivelò il male che le comportò tanta sofferenza ed in breve tempo la condusse alla morte. Nella sofferenza seppe rivelare le sue doti materne e la piena fiducia nell’ accettazione della volontà di Dio. “chi fa la volontà di Dio sta sempre bene”, soleva ripetere.
Il 23 febbraio, Papàs Damiano Como, Papàs Vito Stassi e Papàs Ignazio Parrino le conferirono in modo solenne l'Unzione degli infermi. La Madre seguì attentamente la celebrazione partecipando alle pre­ghiere con molta devozione e serenità.
La sera del 26 febbraio con l’invocazione sulle labbra, colma di meriti, andò incontro al Signore. La salma esposta fu meta di un continuo pellegrinaggio di persone andavano a salutare la “Madre”.
Il giorno 28 febbraio a Mezzojuso vi furono i solenni fune­rali celebrati da Sua Eccellenza Mons. Giuseppe Perniciaro, Vescovo di Piana degli Albanesi, con grande partecipazione di clero anche calabrese, di alunni, ex-alunni, autorità e di gente, che aveva avuto modo di sperimentare la sua bontà e carità.
La sua fama di santità diffusa portò il 25 Febbraio 1974 alla traslazione della salma nella chiesa del SS. Crocifisso presso la Casa Madre della Congregazione delle Figlie di Santa Macrina.


sabato 16 febbraio 2013


                               17 FEBBRAIO 2013 

 I Domenica di Quaresima  
dell'ORTODOSSIA   

                 
                  S. Teodoro Tirone megalomartire









PRIMA ANTIFONA





O Kìrios evasìlevsen, evprèpian enedhìsato, enedhìsato o Kìrios dhìnamin ke periezòsato.
Il Signore regna, si è rivestito di splendore, il Signore si è ammantato di fortezza e se n’è cinto.












SECONDA ANTIFONA

Exomologhisàsthosan to Kirìo ta elèi aftù, ke ta thavmàsia aftù tis iìs ton anthròpon.
Celebrino il Signore per le sue misericordie e per le sue meraviglie a favore dei figli degli uomini.

Sòson imàs, Iiè Theù, o anastàs ek nekròn, psallondàs si: Allilùia.
O Figlio di Dio, che sei risorto dai morti, salva noi che a te cantiamo: Alliluia.

TERZA ANTIFONA

Enesàtosan aftòn i uranì ke i ghi, thàlassa ke pànda ta èrponda en aftì.
Lo lodino i cieli e la terra, il mare e tutto ciò che in esso si trova.

Tin àchrandon ikòna su proskinùmen Agathè, etùmeni sinchòrisin ton ptesmàton imòn, Christè o Theòs, vulìsi gar ivdhòkisas sarkì anelthìn en to stavrò, ìna rìsi us èplasas ek tis dhulìas tu ecthrù, òthen evcharìstos voòmen si: charàs eplìrosas ta pànda, o Sotìr imòn, paraghenòmenos is to sòse ton kòsmon.
La tua immacolata icona veneriamo, o buono, chiedendo perdono per le nostre colpe, o Cristo Dio, perché volontariamente, nel tuo beneplacito, sei salito nella carne sulla croce per liberare dalla schiavitù del nemico coloro che avevi plasmato. Per questo a te gridiamo grati: Hai colmato di gioia l’universo, o Salvatore nostro, quando sei venuto per salvare il mondo.

TROPARI

Ton sinànarchon Lògon Patrì ke Pnèvmati, ton ek Parthènu techthènda is sotirìan imon, animnìsomen pistì ke proskinìsomen; òti ivdhòkise sarkì, anelthìn en to stavrò, ke thànaton ipomìne, ke eghìre tus tethneòtas, en ti endhòxo Anastàsi aftù.

Cantiamo, fedeli, e adoriamo il Verbo coeterno al Padre ed allo Spirito, partorito dalla Vergine a nostra salvezza: perché nella carne ha voluto salire sulla croce, sottoporsi alla morte e risuscitare i morti con la sua risurrezione gloriosa.

 Μέγαν εύρατο εv τοίς κιvδύvοις, σέ υπέρμαχοv η οικουμένη, Αθλοφόρε τά έθνη τροπούμενον. Ως ούν Λυαίου καθείλες τήν έπαρσιν, εν τώ σταδίω θαρρύvας τόν Νέστορα, ούτως Άγιε, Μεγαλομάρτυς Δημήτριε, Χριστόν τόν Θεόν ικέτευε, δωρήσασθαι ημίν τό μέγα έλεος.
Apolytíkion del santo. Tono 3.
Il mondo ha trovato in te nei pericoli,* o vittorioso,* un grande difensore che mette in rotta le genti. * Come dun que hai abbattuto la boria di Lieo, * inco­raggiando Ne store nello stadio, * cosí, o santo Megalomartire Demetrio, * supplica Cristo * perché ci doni la grande misericordia˚.


Ti ipermàcho stratigò ta nikitìria, os litrothìsa, ton dhinòn evcharistìria, anagràfo si i pòlis su, Theotòke. All’òs èchusa to kràtos aprosmàchiton, ek pandìon me kindhìnon eleftèroson, ìna kràzo si: Chère, Nimfi anìmfevte.

A te, conduttrice di schiere che mi difendi, io, la tua città, grazie a te riscattata da tremende sventure, o Madre di Dio, dedico questi canti di vittoria in rendimento di grazie. E tu che possiedi l’invincibile potenza, liberami da ogni specie di pericolo, affinché a te io acclami: Gioisci, sposa senza nozze.

EPISTOLA

Benedetto sei tu, o Signore, Dio dei Padri nostri, e lodato e glorificato è il tuo nome nei secoli.
Poiché sei giusto in tutto ciò che hai fatto; e tutte le tue opere sono vere e rette le tue vie.

Lettura dalla Lettera di S. Paolo Apostolo agli Ebrei (11,24-26.32-40)

Fratelli, per fede Mosè, divenuto adulto, rifiutò di esser chiamato figlio della figlia del faraone, preferendo essere maltrattato con il popolo di Dio piuttosto che godere per breve tempo del peccato. Questo perché stimava l’obbrobrio di Cristo ricchezza maggiore dei tesori d’Egitto; guardava infatti alla ricompensa.
E che dirò ancora? Mi mancherebbe il tempo, se volessi narrare di Gedeone, di Barak, di Sansone, di Iefte, di Davide, di Samuele e dei profeti, i quali per fede conquistarono regni, esercitarono la giustizia, conseguirono le promesse, chiusero le fauci dei leoni, spensero la violenza del fuoco, scamparono al taglio della spada, trovarono forza dalla loro debolezza, divennero forti in guerra, respinsero invasioni di stranieri. Alcune donne riacquistarono per risurrezione i loro morti. Altri poi furono torturati, non accettando la liberazione loro offerta, per ottenere una migliore risurrezione. Altri, infine, subirono scherni e flagelli, catene e prigionia. Furono lapidati, torturati, segati, furono uccisi di spada, andarono in giro coperti di pelli di pecora e di capra, bisognosi, tribolati, maltrattati – di loro il mondo non era degno! –, vaganti per i deserti, sui monti, tra le caverne e le spelonche della terra.
Eppure, tutti costoro, pur avendo ricevuto per la loro fede una buona testimonianza, non conseguirono la promessa: Dio aveva in vista qualcosa di meglio per noi, perché essi non ottenessero la perfezione senza di noi.

Mosè e Aronne tra i suoi sacerdoti, e Samuele tra quanti invocano il suo nome.

Invocavano il Signore ed egli rispondeva, parlava loro da una colonna di nubi.

VANGELO (Gv. 1,43-51)

In quel tempo Gesù aveva stabilito di partire per la Galilea; incontrò Filippo e gli disse: “Seguimi”. Filippo era di Betsàida, la città di Andrea e di Pietro. Filippo incontrò Natanaèle e gli disse: “Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nàzaret”. Natanaèle esclamò: “Da Nàzaret può mai venire qualcosa di buono?”. Filippo gli rispose: “Vieni e vedi”. Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: “Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità”. Natanaèle gli domandò: “Come mi conosci?”. Gli rispose Gesù: “Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico”. Gli replicò Natanaèle: “Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!”. Gli rispose Gesù: “Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, credi? Vedrai cose maggiori di queste!”. Poi gli disse: “In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo”.

MEGALINARIO

Epì si chèri, kecharitomèni, pàsa i ktìsis, anghèlon to sìstima ke anthròpon to ghènos, ighiasmène naè ke paràdhise loghikè, parthenikòn kàvchima, ex is Theòs esarkòthi ke pedhìon ghègonen o pro eònon ipàrchon Thèos imòn. Tin gar sin mìtran thrònon epìise ke tin sin gastèra platitèran uranòn apirgàsato. Epì si chèri, kecharitomèni, pàsa i ktìsis. Dhoxa si.
In te si rallegra, o piena di grazia, tutto il creato, la schiera degli angeli e la stirpe degli uomini, o tempio santificato, paradiso razionale, vanto verginale: da te è divenuto bambino il nostro Dio, che è prima dei secoli. Poiché il tuo seno egli ha fatto suo trono, e ha reso il tuo grembo più vasto dei cieli. In te si rallegra, o piena di grazia, tutto il creato: gloria a te.

MEGALINARIO DI SAN BASILIO IL GRANDE

Tòn uranonfàndora tu Christù, mìstin tu Dhèspotu tòn fostìra tòn fainòn tòn ek Kesarìas ke Kappadhòkon chòras, Vasìlion ton mègan, pàndes imnìsomen.
Onoriamo tutti il celeste rappresentante di Cristo, l’iniziato ai misteri del Signore, l’astro splendente da Cesarea e dalla regione di Cappadocia, il grande Basilio.




DOMENICA dell’ORTODOSSIA



Sì fa memoria del ripristino del culto delle sante e venerabili icone.

SABATO        VESPRO

Tij të pakuptuashëm çë vien më par’se  illi menatës tue shkë1kjìer   nga gjiri shpirtullo   të Prindít  Profetrat, o Zot  , nga Shpirti jit   të frímëzuarë parathonë se ka t’lehesh tue marrë mishë nga Virgjëra tue u bashkuar njerëzëvet,tue u par mbi dhet. Paj 'tire,o Lipisiar, të dritës t'ënde bej të mirë ata të parrëfíeshmen Ngjallie t’ënde çë këndojën.

I profeti ispìrati dal tuo Spirito, Signore, * avevano preannunciato che tu, l'inafferrabile, * rifulso senza   principìo, prima della stella del mattino , * dal grembo immateriale e incorporeo del Genitore, * saresti divenuto bambino, * assumendo carne da donna ignara di nozze, * unendoti agli uomini * e mostrandoti a quanti sono sulla terra. * Grazie a loro, concedi pietoso la tua illuminazione * a quanti cantano la tua augusta e ìneffabile risurrezione.
Tue të ligjëruar me fíalën e ‘tire   Profetrat   e tue nderuar me veprat e ‘tire fituan  ata të pasosmen gjellë. Tue kjëndruar nd’anëzë  kriesës a mos i përmiseshëm më  se Tij Krionjësit pruarën jetën e ‘tire  te mësimet  e Vangjejit e u bashkuan-me pesimet t’atë , nga ata të para-lajmëruarë. Paj ‘tire o i vetëmí Lipisiar ,bën-na të mirë të shkojëm të pakjëruashmë stadhiin e  përkories.

I profeti dal divino parlare, * annunciandoti con la parola e onorandoti con le opere, * hanno raccolto il frutto della vita senza fine: * avendo infatti perseverato, o Sovrano, * nel rifiutare il culto alla creatura * al posto di te, il Creatore , * hanno abbandonato il mondo conforme al vangelo, * e sono divenuti conformi alla tua passione che avevano infatti preannunciata,Per le loro preghiere, rendici degni di affrontare irreprensibili lo stadio della continenza, * o unico misericordiosissimo*

Tue klënë i papërshkruashëm  paj të naturës hjynore ,te të sprasmet motë deshe si njerì të   ishe shkruar   mìshët  t'anë tue marrë.  Tue u mishëruar  të kësaj naturë more gjithë vehtìt .Andai fitirën t'ënde çë na përshkruan  glasimin t'ënt   na si përkét puthìëm te dashuria jote tue u mfortsuar  e kemi dhuratën   e shëndeties  tue ndjekur të hjynushmet tradhitë të apostojvet.

Tu che per la tua divina natura non puoi essere circoscritto,* ti sei degnato di venire circoscritto: * assumendo infatti la carne, * ne hai accettato tutte le proprietà. * Noi dunque dipingendo la figura che intende rappresentarti, * rendiamo omaggio a tali immagini in vista di colui a cui rimandano, * innalzandoci all'amore per te, * e ne attingiamo la grazia delle guarigioni, seguendo le divine tradizioni degli apostoli.

Një stolì shum’e çmuashme   te ikonët  t’shejte Klisha pati   e Shpëtuesìt Zoti Krisht, të Mëmës të t'in’zoti   të gjithë Shejtravet.Tue i dëftuar lart   Ajò shëlkjen me një të lambarisur   të hjìeshëm, eretikëvet shtipet ushtría   përzënjse. E me haré  ajo lëvdòn Perëndini njeridashës çë për atë deshi me-hir të duroj pesime .

La Chiesa di Cristo ha riottenuto a suo preziosissimo ornamento * l'esposizione piena di gioia delle venerabili e sante icone * del Cristo Salvatore, della Madre-di-Dio e di tutti i santi, * quale preziosissimo ornamento: * essa ne viene per grazia rallegrata e illuminata, * respinge, scacciandola, la turba degli eretici * ed esultando glorifica il Dio amico degli uomini * che per lei ha sopportato la volontaria passione . 
Gloria. Tono pl. 2.       lëvdì ….
           
Hiri i të vërtetës lambarisi. Çëdò  kle parafitëruar si në hjé sot nbaronet haptas. Shi’ Klisha stoliset ne një stolì kjìellí me fitírën si njeri të Krishtít çë Arka e deshëmìs kishë parafitëruar. Ajo mban fén e vërtetë sa na t'Atij çë proskjinìsiëm të kemi edhé ikonën pa dre gabimi. Turp për ata çë ngë kanë këtë besë,lëvdì për ne çë Ikonën e të njerëzuarit me lutësì proskjinisiëm si fitira e ‘tij e jo si nj’etrë Perëndi Si e puthíëm,le të thomi: o i Madh'in’Zot,shpëtò popullin t'ënt e bekò trazhgimin t'ënt.
La grazia della verità nuovamente risplende. * Ciò che un tempo era prefigurato nell'ombra, * ora si è apertamente compiuto: * poiché ecco, la Chiesa si riveste dell'icona corporea dei Cristo * come di ultramondano abbigliamento, * delineando la figura della tenda della testimonianza', * e tiene  salda la fede ortodossa, * affinché possedendo anche l'icona di colui a cui rendiamo culto, * non ci accada di sviarci. * Si rivestano di vergogna quanti cosí non credono : * per noi è   infatti gloria * la forma di colui che si è incarnato, * è piamente venerata, non idolatrata. * Offrendole il nostro omaggio, * gridiamo, o fedeli: * 0 Dio salva il tuo popolo, e benedici la tua eredità'.
nanì …të zërit

Ora e sempre. Theotokíon, il primo del tono. Ingresso. Luce gioiosa. Prokímenon.

  Apostiha  të zëtir

1ëvdì ... z. i 2.

Na çë u kemì larguar nga errësirat e palutësìs e çë drita e njohies na ka dritur, le t’këndojëm msalme me duartrokitie. Lëvdia jonë e të falurit nderi t'anë ngjipen nga in'Zot e përpara Ikonëvet të shejte të Krishtit e të Mëmës s’tin’Zoti e të gjithë Shejtravet le t’përmísemi me ponì tue rreshtur palutësin e atíreve çë ngë kanë besën e vërtetë,pse shën Vasijì e tha: “nderi çë i bënet Ikonës dëréjtonet Atij çë te Ikona ë përfakjësuar”Paj të parkalesivet të Mëmës e dëlirë e paj të gjithë Shejtravet të lutemi,o Krisht Perëndìa jinë t’na japësh të madhen lipìsì .
           
Quanti dall’empietà siamo passati alla pietà e siamo stati illuminati dalla luce della conoscenza,battiamo le mani come dice il salmo,offrendo a dio una lode grata;e veneriamo con onore le sacre icone del Cristo,della tutta pura e di tutti i santi,poste alle pareti,su tavole e su sacri arredi,respingendo la religione empia dei non ortodossi.L’onore dato alle icone,infatti,ë rivolto al prototipo come dice Basilio ,chiediamo dunque che per l’intercessione dell’immacolata Madre tua,o Cristo Dio nostro,e per l’intercessione di tutti i santi,ci sia data la grande misericordia.

Nanì..0 çudhì e re…z.i 2 


Fítirën t ‘ënde , o i mirëth na ponisiëm tue lipur ndëjesën e fajvet t’anë, o Zoti,Krisht Perëndi,pse Ti deshe vet, vetì  t' ishe ne kurmin viérrë mbë kríkjë, sa t’na liroje nga robëria e armikut.Andai tue dhënë hir Tij po thërresiëm: Na mbushe të gjithë me haré,o Shpëtonësi jinë,posa jerdhe të liroje jetën.
            La tua immacolata icona veneriamo,o buono,chiedendo perdono per le nostre colpe,o Cristo Dio,perché volontariamente,nel tuo beneplacito,sei salito nella carne sulla croce per liberare dalla schiavitù del nemico coloro che avevi plasmato.Per questo a te griadiamo grati : Hai colmato di gioia l’universo,o Salvatore nostro,quando sei venuto per salvare il mondo.

martedì 12 febbraio 2013


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE
BENEDETTO XVI
PER LA QUARESIMA 2013
 
Credere nella carità suscita carità
«Abbiamo conosciuto e creduto l'amore che Dio ha in noi»  
(1 Gv 4,16)

Cari fratelli e sorelle,
la celebrazione della Quaresima, nel contesto dell’Anno della fede, ci offre una preziosa occasione per meditare sul rapporto tra fede e carità: tra il credere in Dio, nel Dio di Gesù Cristo, e l’amore, che è frutto dell’azione dello Spirito Santo e ci guida in un cammino di dedizione verso Dio e verso gli altri.
1. La fede come risposta all'amore di Dio.
Già nella mia prima Enciclica ho offerto qualche elemento per cogliere lo stretto legame tra queste due virtù teologali, la fede e la carità. Partendo dalla fondamentale affermazione dell’apostolo Giovanni: «Abbiamo conosciuto e creduto l'amore che Dio ha in noi» (1 Gv 4,16), ricordavo che «all'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva... Siccome Dio ci ha amati per primo (cfr 1 Gv 4,10), l'amore adesso non è più solo un ”comandamento”, ma è la risposta al dono dell'amore, col quale Dio ci viene incontro» (Deus caritas est, 1). La fede costituisce quella personale adesione – che include tutte le nostre facoltà – alla rivelazione dell'amore gratuito e «appassionato» che Dio ha per noi e che si manifesta pienamente in Gesù Cristo. L’incontro con Dio Amore che chiama in causa non solo il cuore, ma anche l’intelletto: «Il riconoscimento del Dio vivente è una via verso l'amore, e il sì della nostra volontà alla sua unisce intelletto, volontà e sentimento nell'atto totalizzante dell'amore. Questo però è un processo che rimane continuamente in cammino: l'amore non è mai “concluso” e completato» (ibid., 17). Da qui deriva per tutti i cristiani e, in particolare, per gli «operatori della carità», la necessità della fede, di quell'«incontro con Dio in Cristo che susciti in loro l'amore e apra il loro animo all'altro, così che per loro l'amore del prossimo non sia più un comandamento imposto per così dire dall'esterno, ma una conseguenza derivante dalla loro fede che diventa operante nell'amore» (ibid., 31a). Il cristiano è una persona conquistata dall’amore di Cristo e perciò, mosso da questo amore - «caritas Christi urget nos» (2 Cor 5,14) –, è aperto in modo profondo e concreto all'amore per il prossimo (cfr ibid., 33). Tale atteggiamento nasce anzitutto dalla coscienza di essere amati, perdonati, addirittura serviti dal Signore, che si china a lavare i piedi degli Apostoli e offre Se stesso sulla croce per attirare l’umanità nell’amore di Dio.
«La fede ci mostra il Dio che ha dato il suo Figlio per noi e suscita così in noi la vittoriosa certezza che è proprio vero: Dio è amore! ... La fede, che prende coscienza dell'amore di Dio rivelatosi nel cuore trafitto di Gesù sulla croce, suscita a sua volta l'amore. Esso è la luce – in fondo l'unica – che rischiara sempre di nuovo un mondo buio e ci dà il coraggio di vivere e di agire» (ibid., 39). Tutto ciò ci fa capire come il principale atteggiamento distintivo dei cristiani sia proprio «l'amore fondato sulla fede e da essa plasmato» (ibid., 7).
2. La carità come vita nella fede
Tutta la vita cristiana è un rispondere all'amore di Dio. La prima risposta è appunto la fede come accoglienza piena di stupore e gratitudine di un’inaudita iniziativa divina che ci precede e ci sollecita. E il «sì» della fede segna l’inizio di una luminosa storia di amicizia con il Signore, che riempie e dà senso pieno a tutta la nostra esistenza. Dio però non si accontenta che noi accogliamo il suo amore gratuito. Egli non si limita ad amarci, ma vuole attiraci a Sé, trasformarci in modo così profondo da portarci a dire con san Paolo: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me (cfr Gal 2,20).
Quando noi lasciamo spazio all’amore di Dio, siamo resi simili a Lui, partecipi della sua stessa carità. Aprirci al suo amore significa lasciare che Egli viva in noi e ci porti ad amare con Lui, in Lui e come Lui; solo allora la nostra fede diventa veramente «operosa per mezzo della carità» (Gal 5,6) ed Egli prende dimora in noi (cfr 1 Gv 4,12).
La fede è conoscere la verità e aderirvi (cfr 1 Tm 2,4); la carità è «camminare» nella verità (cfr Ef4,15). Con la fede si entra nell'amicizia con il Signore; con la carità si vive e si coltiva questa amicizia (cfr Gv 15,14s). La fede ci fa accogliere il comandamento del Signore e Maestro; la carità ci dona la beatitudine di metterlo in pratica (cfr Gv 13,13-17). Nella fede siamo generati come figli di Dio (cfr Gv 1,12s); la carità ci fa perseverare concretamente nella figliolanza divina portando il frutto dello Spirito Santo (cfr Gal 5,22). La fede ci fa riconoscere i doni che il Dio buono e generoso ci affida; la carità li fa fruttificare (cfr Mt 25,14-30).
3. L'indissolubile intreccio tra fede e carità
Alla luce di quanto detto, risulta chiaro che non possiamo mai separare o, addirittura, opporre fede e carità. Queste due virtù teologali sono intimamente unite ed è fuorviante vedere tra di esse un contrasto o una «dialettica». Da un lato, infatti, è limitante l'atteggiamento di chi mette in modo così forte l'accento sulla priorità e la decisività della fede da sottovalutare e quasi disprezzare le concrete opere della carità e ridurre questa a generico umanitarismo. Dall’altro, però, è altrettanto limitante sostenere un’esagerata supremazia della carità e della sua operosità, pensando che le opere sostituiscano la fede. Per una sana vita spirituale è necessario rifuggire sia dal fideismo che dall'attivismo moralista.
L’esistenza cristiana consiste in un continuo salire il monte dell’incontro con Dio per poi ridiscendere, portando l'amore e la forza che ne derivano, in modo da servire i nostri fratelli e sorelle con lo stesso amore di Dio. Nella Sacra Scrittura vediamo come lo zelo degli Apostoli per l’annuncio del Vangelo che suscita la fede è strettamente legato alla premura caritatevole riguardo al servizio verso i poveri (cfr At 6,1-4). Nella Chiesa, contemplazione e azione, simboleggiate in certo qual modo dalle figure evangeliche delle sorelle Maria e Marta, devono coesistere e integrarsi (cfrLc 10,38-42). La priorità spetta sempre al rapporto con Dio e la vera condivisione evangelica deve radicarsi nella fede (cfr Catechesi all’Udienza generale del 25 aprile 2012). Talvolta si tende, infatti, a circoscrivere il termine «carità» alla solidarietà o al semplice aiuto umanitario. E’ importante, invece, ricordare che massima opera di carità è proprio l’evangelizzazione, ossia il «servizio della Parola». Non v'è azione più benefica, e quindi caritatevole, verso il prossimo che spezzare il pane della Parola di Dio, renderlo partecipe della Buona Notizia del Vangelo, introdurlo nel rapporto con Dio: l'evangelizzazione è la più alta e integrale promozione della persona umana. Come scrive il Servo di Dio Papa Paolo VI nell'Enciclica Populorum progressio, è l'annuncio di Cristo il primo e principale fattore di sviluppo (cfr n. 16). E’ la verità originaria dell’amore di Dio per noi, vissuta e annunciata, che apre la nostra esistenza ad accogliere questo amore e rende possibile lo sviluppo integrale dell’umanità e di ogni uomo (cfr Enc. Caritas in veritate, 8).
In sostanza, tutto parte dall'Amore e tende all'Amore. L'amore gratuito di Dio ci è reso noto mediante l'annuncio del Vangelo. Se lo accogliamo con fede, riceviamo quel primo ed indispensabile contatto col divino capace di farci «innamorare dell'Amore», per poi dimorare e crescere in questo Amore e comunicarlo con gioia agli altri.
A proposito del rapporto tra fede e opere di carità, un’espressione della Lettera di san Paolo agli Efesini riassume forse nel modo migliore la loro correlazione: «Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo» (2, 8-10). Si percepisce qui che tutta l'iniziativa salvifica viene da Dio, dalla sua Grazia, dal suo perdono accolto nella fede; ma questa iniziativa, lungi dal limitare la nostra libertà e la nostra responsabilità, piuttosto le rende autentiche e le orienta verso le opere della carità. Queste non sono frutto principalmente dello sforzo umano, da cui trarre vanto, ma nascono dalla stessa fede, sgorgano dalla Grazia che Dio offre in abbondanza. Una fede senza opere è come un albero senza frutti: queste due virtù si implicano reciprocamente. La Quaresima ci invita proprio, con le tradizionali indicazioni per la vita cristiana, ad alimentare la fede attraverso un ascolto più attento e prolungato della Parola di Dio e la partecipazione ai Sacramenti, e, nello stesso tempo, a crescere nella carità, nell’amore verso Dio e verso il prossimo, anche attraverso le indicazioni concrete del digiuno, della penitenza e dell’elemosina.
4. Priorità della fede, primato della carità
Come ogni dono di Dio, fede e carità riconducono all'azione dell'unico e medesimo Spirito Santo (cfr 1 Cor 13), quello Spirito che in noi grida «Abbà! Padre» (Gal 4,6), e che ci fa dire: «Gesù è il Signore!» (1 Cor 12,3) e «Maranatha!» (1 Cor 16,22; Ap 22,20).
La fede, dono e risposta, ci fa conoscere la verità di Cristo come Amore incarnato e crocifisso, piena e perfetta adesione alla volontà del Padre e infinita misericordia divina verso il prossimo; la fede radica nel cuore e nella mente la ferma convinzione che proprio questo Amore è l'unica realtà vittoriosa sul male e sulla morte. La fede ci invita a guardare al futuro con la virtù della speranza, nell’attesa fiduciosa che la vittoria dell'amore di Cristo giunga alla sua pienezza. Da parte sua, la carità ci fa entrare nell’amore di Dio manifestato in Cristo, ci fa aderire in modo personale ed esistenziale al donarsi totale e senza riserve di Gesù al Padre e ai fratelli. Infondendo in noi la carità, lo Spirito Santo ci rende partecipi della dedizione propria di Gesù: filiale verso Dio e fraterna verso ogni uomo (cfr Rm 5,5).
Il rapporto che esiste tra queste due virtù è analogo a quello tra due Sacramenti fondamentali della Chiesa: il Battesimo e l'Eucaristia. Il Battesimo (sacramentum fidei) precede l'Eucaristia (sacramentum caritatis), ma è orientato ad essa, che costituisce la pienezza del cammino cristiano. In modo analogo, la fede precede la carità, ma si rivela genuina solo se è coronata da essa. Tutto parte dall'umile accoglienza della fede («il sapersi amati da Dio»), ma deve giungere alla verità della carità («il saper amare Dio e il prossimo»), che rimane per sempre, come compimento di tutte le virtù (cfr 1 Cor 13,13).
Carissimi fratelli e sorelle, in questo tempo di Quaresima, in cui ci prepariamo a celebrare l’evento della Croce e della Risurrezione, nel quale l’Amore di Dio ha redento il mondo e illuminato la storia, auguro a tutti voi di vivere questo tempo prezioso ravvivando la fede in Gesù Cristo, per entrare nel suo stesso circuito di amore verso il Padre e verso ogni fratello e sorella che incontriamo nella nostra vita. Per questo elevo la mia preghiera a Dio, mentre invoco su ciascuno e su ogni comunità la Benedizione del Signore!
Dal Vaticano, 15 ottobre 2012  
BENEDICTUS PP. XVI

© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana

Vie nuove

La migliore e più trasparente comprensione della Chiesa di Benedetto XVI avviene nel momento di massimo stupore e sconcerto dei più: quando il Papa ha deciso di lasciare il pontificato e ritirarsi a pregare. La sua ponderata e libera decisione - come accade per tutte quelle che aprono vie nuove nella storia - oggetto di attenzione e commenti appassionati e vari nel mondo intero, sigilla la coerenza tra dottrina e pratica cristiana dell'attuale Pontefice. La Chiesa di Benedetto XVI è una Chiesa della fede cristiana. Non fede generica né astratta o ideologica, ma in una persona concreta e storica, Gesù di Nazaret, che si decide di seguire liberamente. Egli resta la sintesi perfetta dell'amore di Dio per l'uomo che i credenti devono tradurre nell'amore reale, concreto per il prossimo. Questa direttrice spiega Ratzinger nella sua continuità di pensiero e azione: come teologo, vescovo, cardinale e Papa.
E' stato una sorpresa alla sua elezione quando ispirandosi al padre del monachesimo in occidente, scelse il nome di Benedetto per rilanciare l'attualità della sua regola di vita incentrata sul principio che nulla deve essere anteposto a Cristo. Da papa, Ratzinger ha sempre diffuso e incoraggiato questa regola come riferimento primario di ogni cristiano a ogni livello di responsabilità. E alla luce di questa norma egli si era definito da subito dopo l'elezione un umile operaio nella vigna del Signore.
Benedetto XVI sorprese ancora con la sua prima enciclica dedicata all'amore di Dio, considerato con l'amore per il prossimo il distintivo di quanti credono al vangelo.
Tante altre sono state le sorprese dell'agire controcorrente di questo Pontefice fino all'ultima: uscire di scena con sconcertante dignità e naturalezza, cosciente che la barca di Pietro è guidata anzitutto dallo Spirito di Dio. Da maestro della fede è così passato a testimone della credibilità delle promesse di Dio al quale merita dedicare la vita intera.
L'eredità di Benedetto XVI è grande già ora. Ma decantata nel tempo, apparirà ancora più preziosa e compresa di quanto non lo sia stata finora. Cercare di spiegarla buttandola nel mezzo di oscure manovre da cui difendersi, sarebbe far torto alla trasparenza intellettuale del Papa. Come non coglie il segnale alto del suo gesto chi pensare alla sua rinuncia come a un'evasione dalla responsabilità.
I momenti difficili della Chiesa che non sono mancati neppure nei suoi otto anni di pontificato, li ha affrontati e superati con pieno affidamento a Dio e avviando a soluzione questioni annose ricevute in eredità.
La rinuncia di Benedetto XVI avviene nell'Anno della fede e nel cinquantesimo anniversario dell'inizio del concilio Vaticano II. Non è una casuale coincidenza, ma un segno dei tempi, che il pontefice ha letto per il bene della Chiesa. Joseph Ratzinger, da giovane teologo ha dato molto alla riuscita del concilio contribuendo a elaborare importanti testi della storica assise. In seguito si è adoperato in ogni modo per ricomporre i conflitti accesi intorno all'interpretazione dell'evento conciliare, prospettando da Papa la via della riforma della Chiesa. Il concilio non ha inteso cambiare la fede cristiana ma ripensarla in un linguaggio aggiornato e comprensibile nel mondo di oggi. Papa Benedetto lo ha fatto con tolleranza, semplicità e coerenza ricorrendo perfino alle tecniche di comunicazione più innovative pur di annunciare Gesù Cristo a tutti - si pensi al Cortile dei gentili - e in particolare alle nuove generazioni. Ha avuto a cuore il futuro della fede cristiana sulla terra e per questo ha creduto necessario fare un passo che cambierà molte cose.
c.d.c.


(©L'Osservatore Romano 13 febbraio 2013)

ORARIO 
DELLE 
CELEBRAZIONI 
DELLA 
SANTA E GRANDE QUARESIMA 2013


LUNEDI -VENERDI   
Ore   8,30  : Mattutino -Orthoros-    

MARTEDI’ 
Ore 18.00: Compieta -Apodipnon-

MERCOLEDI’
Ore 18.00: Divina Liturgia della Projasmena

GIOVEDI’
Ore 18.00: Compieta- Apodipnon-

VENERDI’
 Ore 18.00: Divina Liturgia della Projasmena

SABATO
Ore 18.00: vespro nella Chiesa dell'Odigitria in P.zza V.Emanuele

DOMENICA
Ore 07.30: Divina Liturgia di S. Basilio
Ore 10.30: Divina Liturgia di S. Basilio

giovedì 7 febbraio 2013

Avviso

Quarantore nella Chiesa della Madre di Dio
" Odigitria "
p.zza V. Emanuele in Piana degli Albanesi 
dal 7-10 Febbraio 2013 




con seguente orario:

Alle ore 16,00 Ora Santa
Alle ore 18,00 Vespro

venerdì 1 febbraio 2013



AVVISO



All'alba del nuovo giorno che inizia, 

oggi 1° febbraio 2013 , 

si è addormentato nel Signore Cristo Risorto

 il Rev.mo Papas Stefano Plescia del Clero 

dell'Eparchia di Piana degli Albanesi.

Domani 2 Febbraio ,festa dell'Ypapantí del 

Signore, Dio e Salvatore nostro Gesú Cristo, 

Si celebra il funerale nella Chiesa 

M.SS.Odigitria in Piana degli Albanesi 

alle ore 9,30.




Se Ti ja ngjallia, gjella e prëhia e të ndëjemëvet 

shërbëtorit vellau t'ën P.Steu,

 o Krisht Perëndia 


jinë e na të jepiëm lëvdi tij bashkë me Atin t’ënt të 


pazënë fill e bashkë me gjithë shejtin e të 

mirë e gjellëdhënës Shpirtin t’ënt nani e për gjithëmonë 


e për jetë të jetëvet.

Amin.


Jipi prëhien, o Zot, shpirtin të vdekurit p.Steut, në vent 

shejt e në horë të të drejtevët , prite mirr 

o Shelbues, e jipi prëhi. 


Amin


Eterna sia la sua memoria!