sabato 30 maggio 2009

DOMENICA DI PENTECOSTE


DOMENICA DI PENTECOSTE


ANTIFONE
I. I uranì dhiigùnde dhòxan Theù, pìisin dhe chiròn aftù ananghèli to
sterèoma.
Tes presvìes tis Theotòku, Sòter, sòson imàs.

II. Epakùse su Kìrios en imèra thlìpseos, iperaspìse su to ònoma tu Theù Iakòv.
Sòson imàs, Paràklite Agathè, psallondàs si: Allilùia.

III. Kìrie, en ti dhinàmi su effranthìsete o vasilèfs, ke epì to sotirìo su
agalliàsete sfòdhra.

Evloghitòs i, * Christè o Theòs imòn, * o pansòfus tus aliìs anadhìxas, * katapèmpsas aftìs * to Pnèvma to Àghion, * ke dhi’aftòn tin Ikumènin * saghinèfsas. * Filànthrope, dhòxa si.

Isodhikòn

Ipsòthiti Kìrie en ti dhinàmi su, àsomen ke psalùmen tas dhinastìas su. Sòson imàs, Paràklite Agathè, psallondàs si: Allilùia.

Apolitìkion

Evloghitòs i, Christè...
Kontakion

Òte katavàs * tas glòssas sinèchee, * dhiemèrizen èthni o Ìpsistos; * òte tu piròs * tas glòssas dhiènimen, * is enòtita pàndas ekàlese; * ke sinfònos dhoxàzomen * to panàghion Pnèvma.

Trisàghion

Òsi is Christòn evaptìsthite, Christòn enedhìsasthe. Allilùia.

Megalinària

Mi tis fthoràs dhiapìra * kioforìsasan, * ke pandechnìmoni Lògo * sàrka dhanìsasan, * Mìter apìrandhre, * Parthène Theotòke, * dhochìon tu astèktu, * chorìon tu apìru * Plasturgù su, se megalìnomen.


Kinonikòn
To Pnèvma su to agathòn odhighìsi me en ghi efthìa. Allilùia.


Poniamo ora il video con il canto del Megalinario di sopra Mi tis fthoràs. Lo esegue, il canto, il Coro dei Papadhes di Piana degli Albanesi. Per chi volesse ascoltare altri brani della festa di Pentecoste, può cliccare sul sito di musica bizantina nei link a sinistra. Buona Festa!



Riflessione dell'Archimandrita Marco sulla Pentecoste



Riflessioni sulla Pentecoste


Ontologicamente e liturgicamente, la Pentecoste chiude il ciclo pasquale per inaugurare l'economia ecclesiale. Essa è un compimento: quello della promessa, fatta dal Figlio, di mandare da presso il Padre "un altro Consolatore", quando sarebbe stato glorificato nella Santa Trinità. La Pentecoste è anche un inizio: quello della comprensione del mistero di Cristo.
La presenza di Cristo fra gli uomini, sulla terra, si è chiusa con la sua Ascensione; perciò il suo tempo storico, durante il quale aveva annunciato il Regno, è giunto alla fine. "Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra di voi" (Gv 14,25). Adesso comincia un'altra fase della Rivelazione.
"Il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto"(Gv 14,26).
Vediamo perciò due aspetti della festa:

iniziazione all'insegnamento di Cristo (funzione didascalica o pedagogica)
risveglio del ricordo (funzione mnemonica o tradizionale).
Si tratta di renderci consapevoli del contenuto e della portata del Vangelo. Il libro degli Atti, le Lettere apostoliche, non faranno nient'altro che questo.
Il lavoro dei Padri, dei Santi, degli Asceti, dei teologi posteriori, avrà lo stesso scopo. Ora, il contenuto dell'Evangelo si riferisce alla vita; la sua portata mira all'eternità. "Le parole che vi ha detto sono spirito e vita" (Gv 6,63). Perciò la discesa dello Spirito di verità e del Datore di vita nella Pentecoste non è soltanto un fatto, conclusivo ed iniziale insieme, ma è anche qualcosa di permanente. Non si effettua una volta per sempre, ma continua. Non è soltanto un evento che è accaduto in un certo luogo, nell'anno tale e nel mese tale: è ancora (e soprattutto, oserei dire) una realtà costante, da cui dipende sostanzialmente l'esistenza stessa della Chiesa nei secoli. A questo duplice titolo, essa è la festa iniziatica per eccellenza.
"Il Signore ci ha dato il cibo perfetto della nostra natura, lo Spirito Santo, in cui è la vita. E' questo il tema fondamentale della festa" così proclama San Gregorio Nisseno nell'omelia sulla Pentecoste.
La discesa singolare dello Spirito a Gerusalemme, sui discepoli e sui fratelli, è anche l'irradiamento continuo che comunica ai loro discendenti la vita, il soffio, il movimento e l'essere e che fa di essi stirpe di Dio (cfr At 17,25.28), perché Dio si è fatto uomo, partecipando, all'umanità nostra, la sua divinità.
La Pentecoste, in un certo senso, giustifica la Creazione e l'Incarnazione. Come lo Spirito era all'inizio della Genesi, così è stato mediante lo Spirito che la Vergine ha concepito il Cristo. Se il Verbo ha preso carne, mentre è l'uno della Trinità, è perché, secondo il disegno della Sapienza di Dio, i figli adottivi siano resi capaci di essere partecipi dello Spirito del Figlio, che procede dal Padre.
Il soffio iniziale che ne aveva fatte delle persone viventi, le pneumatizza anche perché diventino membra del corpo del Cristo e veicoli dello Spirito.
Così diventano santi, per essere i testimoni della verità del mistero pasquale nel mondo; saranno partecipi e agenti, con gli angeli, della gloria cosmica del Regno. Intanto sono iniziati e ricevono il potere di insegnare. A partire dalla Pentecoste, la tradizione ( come par dhosis = consegna ) della Chiesa comincia a vivere.
Le manifestazioni uniche di Dio Figlio sono come folgori nella storia, senza precedenti. La loro conseguenza, però, è quella diffusione del fuoco inestinguibile che battezza e dell'acqua inesauribile che vivifica (cfr Mt 3,11 e Lc 3,16), fino alla fine dei tempi, quando brucerà la zizzania e la pula della mietitura: quella sarà la seconda Pentecoste, il tempo della parusia del Cristo sulla terra, in cui lo Spirito sarà quel fuoco di cui il Figlio desidera tanto il decisivo ardore (cfr Lc 12,49).
La festa che ci prepariamo a celebrare, è invece la festa delle primizie della mietitura, il cui Archetipo e lo stesso Cristo risorto (cfr Col 1,18); sono le primizie della vita che rimane, non del giudizio che consuma.
Questo carattere permanente della Pentecoste è sentito profondamente dalla coscienza della Chiesa, come lo esprimono i Padri e i Dottori.
Origene ad esempio afferma che: "E' sempre nei giorni della Pentecoste colui che può dire in verità: "Siamo risorti con Cristo", e anche: "con lui ci ha risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù" (cfr Col 3,1; Ef 2,6)". Più di un secolo dopo, gli farà eco San Giovanni Crisostomo:
"Il Cristo ha detto dello Spirito Santo che egli rimarrà con voi nei secoli, così noi possiamo sempre celebrare la Pentecoste".
Analizziamo ora alcune espressioni che troviamo nel testo lucano e che ci aiutano a considerare il mistero nella nostra meditazione.
Gli Atti dicono che i discepoli " ritornarono a Gerusalemme dal monte detto degli Ulivi...salirono al piano superiore... Tutti erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la Madre di Gesù e con i parenti di lui" (At 1,12-14).
Ecco qui alcune condizioni caratteristiche fondamentali dell'essere Chiesa e comunità: salire al piano superiore, la concordia e la preghiera, lo stare insieme con Maria e con i fratelli nella fede.
La Sacra Scrittura vi insiste. Nel momento in cui sta per terminare l'attesa pentecostale, perché compiuta, la prima assemblea cristiana: Maria, gli Apostoli, i parenti, le donne, circa 120 persone, si ritrovano insieme in comunità liturgica (fede e preghiera) e in istanza di epiclesi.
La Parusia dello Spirito Santo farà di questa assemblea la Chiesa.
Per partecipare dello Spirito Santo bisogna salire al piano superiore. Si tratta nel testo lucano di una stanza in alto, ma nell'ottica mistica in cui ci poniamo, possiamo vedere in questa stanza al piano superiore, l'abbandono di ogni sicurezza umana e di ogni nostra presunzione. Ma anche la necessità dell'ascesi e della penitenza per ottenere sempre più il dono dello Spirito Santo.
Lo Spirito è dono che scende e si posa sul simile: il Cristo, e quindi anche sul cristiano, perché questi, grazie all'iniziazione, è reso conforme all'immagine del Figlio. Sappiamo che questa conformità non è giunta alla pienezza, ma che ogni momento essa cresce in noi o che per nostra colpe diminuisce, siamo dunque invitati a lasciare, anzi, a crocifiggere, come afferma Paolo, quella parte di noi stessi: impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordie, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere, che non ci fanno ereditare il Regno di Dio. Noi che siamo di Cristo, siamo chiamati a crocifiggere la nostra carne con i suoi desideri, per poter vivere dei frutti dello Spirito che sono: amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di s‚ (cfr Gal 5,19,24).
Essere poi assidui e concordi nella preghiera. Ciò significa che lo Spirito non può effondersi se non in un contesto di unione fraterna e di assidua preghiera. La preghiera è la condizione del cristiano. Il cristiano, se tale è, non può non avere un colloquio continuo con colui che tutto gli dona, deve essere in continua adorazione, contemplazione. Mi piacere definire il cristiano, come colui che è sempre in estasi. Ma non basta questo genere di preghiera, bisogna che il cristiano sia concorde con gli altri fratelli. Lo Spirito forma la Chiesa, e il cristiano dentro la comunità.
E infine con Maria. Abbiamo iniziato le nostre meditazioni con Maria. Essa è stata l'oggetto del nostro parlare all'inizio, ed essa lo è anche alla fine.
Ella è la maestra, ma anche la discepola che ha raggiunto quello che noi ci sforziamo di raggiungere giorno dopo giorno. E' l'esemplare unico, la totalmente assimilata al Figlio grazie, appunto, all'opera dello Spirito Santo.
Maria Vergine, non è solo la santificata dallo Spirito, essa è anche la prima Pneumat¢phora, cioè la portatrice dello Spirito. Nel brano della visitazione, Luca ci narra questa realtà. Appena la voce della Vergine giunge ad Elisabetta, il bambino salta di gioia nel suo seno, ed Elisabetta è piena di Spirito Santo. Dove c'è Maria, li c'è anche lo Spirito, e dove si reca Maria, lì porta la gioia, perché lo Spirito Santo è la Spirito della gioia.
Maria risalta nella prima Chiesa quale filigrana preziosa di essa, parte integrante del mistero della Chiesa e parte necessaria.
La Chiesa che secondo il Signore accetta di essere senza macchie, né rughe, né alcunché di simile, che accetta di comparire e presentarsi al suo Signore gloriosa, santa ed immacolata, deve guardare intensamente, con fede, speranza ed amore, e con fiducia a Maria Vergine, Madre di Dio, modello perfetto, compiuto, di quanto la Chiesa si avvia ad essere, e vuole essere.
La gioia e la gloria della Madre di Dio sono piene quando anche noi accetteremo, come lei, di essere pieni dello Spirito Santo.
Nello Spirito il Cielo si unisce alla terra, come in Maria poté operare nello Spirito il Verbo, che facendosi carne unì in sé il Cielo eterno con la terra che perisce, trasformando, sempre per mezzo dello Spirito, questa nostra povertà in immortale ricchezza.
Noi siamo destinati alla Gloria, a Dio. Dio è il sovrano augusto e maestoso, che non rinuncia mai, non può rinunciare mai ad alcun suddito del suo regno universale.
Voglio finire con uno stupendo brano tratto dalla letteratura patristica sullo Spirito Santo:
" Lo Spirito è quello in cui noi adoriamo, e mediante il quale noi preghiamo". "Dio è Spirito - dice la Scrittura - , e quanti lo adorano, debbono adorarlo nello Spirito e nella Verità" (Gv 4,23,24). E di nuovo: "Quanto e come noi preghiamo, come si deve, cioè secondo la volontà divina, noi non lo sappiamo. Ma lo stesso Spirito sopravviene ad intercedere per noi con gemiti indicibili" (Rm 8,26), e: "Io pregherò nello Spirito e pregherò anche con la mente" (1 Cor 14,15), ossia con l'intelligenza e con lo Spirito. Dunque, "adorare lo Spirito o pregarlo, appare a me che null'altro sia, se non che Egli presenta a se stesso la preghiera e l'adorazione " (S.Gregorio Nazianzeno).

Archimandrita Marco

martedì 26 maggio 2009

Fondazione San Demetrio Onlus


La Fondazione S. Demetrio Onlus opera nel settore dell’assistenza alle persone svantaggiate, gestendo il Centro di Prima Accoglienza “Oasi del Viandante” di S. Cristina Gela, che si occupa dell’accoglienza di immigrati, rifugiati e rom, uomini e donne in difficoltà e minori stranieri non accompagnati.


Il servizio è stato, e continua ad essere, un valido supporto per gli immigrati, che si sono spesso avvalsi della sua opera professionale per la gestione di problematiche delicate.

Da quest’anno sarà possibile sostenere la Fondazione S. Demetrio Onlus destinandogli una quota pari al 5 per 1000 dell’Irpef nella dichiarazione dei redditi, come previsto dalla Legge Finanziaria 2009.


Il 5 per 1000 è una quota di imposte a cui lo Stato rinuncia per destinarlo alle organizzazioni no-profit per sostenerle le loro attività.

Sostenere la Fondazione S. Demetrio Onlus significa sostenere una attività che persegue gli obiettivi dell’integrazione, dell’incontro aperto con altre culture e modelli di vita, che garantisce a tutti, italiani e non, la possibilità di vivere una autentica esperienza di accoglienza ed inclusione sociale.

I modelli per la dichiarazione dei redditi CUD, 730 e UNICO contengono uno spazio dedicato al 5 per 1000.


Si può destinare il 5 per 1000 alla Fondazione S. Demetrio Onlus con 2 passaggi:

1. Ponendo la propria firma nel riquadro “Sostegno del volontariato, delle associazioni non lucrative di utilità sociale, delle associazioni di promozione sociale, delle associazione riconosciute che operano nei settori di cui all’art. 10, c.1, lett. a), del D. Lgs. N. 460 del 1997”;


2. Riportando nell’apposito spazio il numero di codice fiscale della Fondazione:


97228970824

La quota dell’ imposta sul reddito sarà così devoluta ai progetti della Fondazione S. Demetrio a tutela delle persone svantaggiate.






Don Vincenzo Cosentino

Presidente

sabato 23 maggio 2009

Domenica 24 Maggio 2009


VII DOMENICA DOPO PASQUA

DOMENICA DEI SANTI PADRI DEL I CONCILIO DI NICEA


ANTIFONE: della festa dell'Ascensione


TROPARI

1) Anghelikè Dhinàmis (Tono VI)
2) Anelìfthis en dhòxi (dell'Ascensione)
3)Yperdhedhòxasmenos i Christè o Theòs (dei Padri)
4) Mègan èvrato (di san Demetrio)
5) Tin ipèr imòn pliròsas ( dell'Ascensione)

LETTURE:
Apostolo: Atti 20, 16-18.28-36
Vangelo: Gv 17, 1-13

Kinonikòn dell'Ascensione.

giovedì 21 maggio 2009

L'ascensione nella tradizione bizantina.



L'Ascensione nella tradizione bizantina

Tu che per me come me ti sei fatto povero

di Manuel Nin

L'Ascensione del Signore, celebrata il quarantesimo giorno dopo la Risurrezione, è una delle grandi feste comuni a tutte le Chiese cristiane. Nella tradizione bizantina, nel mercoledì precedente si celebra l'apodosi (conclusione) della Pasqua riprendendo ancora una volta i testi dell'ufficiatura pasquale. La festa dell'Ascensione, poi, si prolunga per una settimana nell'ottava.
I tropari della festa sono molto belli e teologicamente profondi. Come accade spesso nella liturgia bizantina, sono vere sintesi della fede della Chiesa. Così il primo tropario del vespro riassume la professione di fede del concilio di Calcedonia (451) in Cristo vero Dio e vero uomo: "Il Signore è asceso ai cieli per mandare il Paraclito nel mondo. I cieli hanno preparato il suo trono, le nubi il carro su cui salire; stupiscono gli angeli vedendo un uomo al di sopra di loro. Il Padre riceve colui che dall'eternità nel suo seno dimora".
Uomo al di sopra degli angeli, colui che dall'eternità è nel seno del Padre. Il quinto dei tropari del vespro riprende il tema della kènosis del Verbo di Dio con una immagine poetica molto bella e toccante: "Tu che per me come me ti sei fatto povero". È Cristo che nella sua incarnazione assume volontariamente tutta la povertà della natura umana, per poi glorificarla pienamente nella sua ascensione. Ancora altri due tropari del vespro propongono una rilettura cristologica del salmo 23, che nella liturgia della notte di Pasqua era collegato alla discesa di Cristo nell'Ade e oggi invece all'Ascensione: "Lo Spirito Santo ordina a tutti i suoi angeli: Alzate, principi, le vostre porte. Genti tutte, battete le mani, perché Cristo è salito dove era prima. Mentre tu ascendevi, o Cristo, dal Monte degli Ulivi, le schiere celesti che ti vedevano, si gridavano l'un l'altra: Chi è costui? E rispondevano: È il forte, il potente, il potente in battaglia; costui è veramente il Re della gloria".
In diversi tropari troviamo delle espressioni toccanti per la loro umanità che servono a indicare la divinità del Verbo di Dio: "Tu che, senza separarti dal seno paterno, o dolcissimo Gesù, hai vissuto sulla terra come uomo, oggi dal Monte degli Ulivi sei asceso nella gloria: e risollevando, compassionevole, la nostra natura caduta, l'hai fatta sedere con te accanto al Padre". Sono parole che ci ricollegano al canto dei Lamenti del Sabato Santo. Inoltre troviamo il tema della glorificazione della nostra natura umana caduta e redenta.
Per quanto riguarda il mattutino, ricordiamo alcuni tropari di Romano il Melode: "Compiuta l'economia a nostro favore, e congiunte a quelle celesti le realtà terrestri, sei asceso nella gloria, o Cristo Dio nostro, senza tuttavia separarti in alcun modo da quelli che ti amano; ma rimanendo inseparabile da loro, dichiari: Io sono con voi, e nessuno è contro di voi. Lasciate sulla terra ciò che è della terra, abbandonate ciò che è di cenere alla polvere e poi venite, eleviamoci, leviamo in alto occhi e mente, alziamo lo sguardo e i sensi verso le porte celesti, pur essendo mortali; immaginiamo di andare al Monte degli Ulivi e di vedere il Redentore portato da una nube: di là infatti il Signore è asceso ai cieli; di là, lui che ama donare, ha distribuito doni ai suoi apostoli, consolandoli come un padre, confermandoli, guidandoli come figli e dicendo loro: Non mi separo da voi: io sono con voi e nessuno è contro di voi".
Di questa realtà della nostra fede offre anche una lettura chiara l'icona della festa. L'immagine è divisa in due parti ben distinte: nella parte superiore si vede Cristo su un trono, immobile nella sua gloria, sostenuto da due angeli. Nella parte inferiore la Madre di Dio, gli apostoli e due angeli in bianche vesti. L'icona dell'Ascensione contempla Cristo nel suo innalzarsi, sostenuto dagli angeli, ma allo stesso tempo è anche l'icona del ritorno glorioso di Cristo, che "tornerà un giorno allo stesso modo". Dall'Ascensione e fino al suo ritorno Cristo presiede la Chiesa, come vediamo nell'icona. L'atteggiamento di Maria è sempre quello della preghiera. Essa non guarda in alto, ma la Chiesa, per ricordarle la necessità della veglia, della preghiera agli apostoli e a tutti noi. In attesa del ritorno del Signore.

(©L'Osservatore Romano - 21 maggio 2009)
L'Archimandrita Manuel Nin, OSB, è attualmente Rettore del Pontificio Collegio Greco di Roma

mercoledì 20 maggio 2009

Giovedì 21 maggio 2009: Festa dell'Ascensione del Signore.



L'Ascensione del Signore

Sinassario: il Giovedì della Sesta Settimana dopo Pasqua, festeggiamo l'Ascensione del Signore, Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo.
Assiso alla destra del Padre, O Verbo, tu concedi ai tuoi iniziati fede più certa.
O tu che sei asceso nella gloria, O Cristo Dio nostro, abbi pietà di noi. Amin.

Antifone:


I.Pànda ta èthni, krotìsate chìras, alalàxate to Theò en fonì agalliàseos.
II. Mègas Kìrios, ke enetòs sfòdhra, en pòli tu Theù imòn, en òri aghìo aftù. Sòson imàs, Iiè Theù, o en dhòxi analifthìs af ’imòn is tus uranùs, psallondàs si: Allilùia.
III. Akùsate tàfta, pànda ta èthni, enotìsasthe, pàndes i katikùndes tin ikumènin.


Tropario: Anelìfthis en dhòxi, * Christè o Theòs imòn, * charopiìsas tus Mathitàs * ti epanghelìa tu Aghìu Pnèvmatos, * veveothèndon aftòn * dhià tis evlòghìas, * òti si i o Iiòs tu Theù, * o Litrotìs tu kòsmu.


Isodhikòn
Anèvi o Theòs en alalagmò, Kìrios en fonì sàlpingos. Sòson imàs, Iiè Theù, o en dhòxi analifthìs af ’imòn is tus uranùs, psalondàs si: Allilùia.


Apolitìkion
Anelìfthis en dhòxi.... come sopra


Kontàkion
Tin ipèr imòn * pliròsas ikonomìan, * ke ta epì ghis * enòsas tis uranìis,anelìfthis en dhòxi, Christè o Theòs imòn, * udhamòthen chorizòmenos, * allà mènon adhiàstatos, * ke voòn tis agapòsi se: * egò imì meth’ìmòn, * ke udhìs kath’ìmòn.


Megalinàrion
Se tin ipèr nun * ke lògon mitèra Theù * tin en chròno ton àchronon * afràstos kiìsasan, * i pistì omofrònos * megalìnomen.


Kinonikòn
Anèvi o Theòs en alalagmò, Kìrios en fonì sàlpingos. Allilùia

Tropari in italiano:

Sei asceso nella gloria, o Cristo Dio nostro, rallegrando i discepoli con la promessa del Santo Spirito: essi rimasero confermati dalla tua benedizione, perchè tu sei il Figlio di Dio, il Redentore del mondo.

Compiuta l'economia a nostro favore, e congiunte a quelle celesti le realtà terrestri, sei asceso nella gloria, o Cristo Dio nostro, senza tuttavia separarti in alcun modo da quelli che ti amano; ma rimanendo inseparabile da loro dichiari: Io sono con voi, e nessuno è contro di voi.

sabato 16 maggio 2009

Inaugurazione del Monumento a Padre Giorgio Guzzetta.


Domenica 17 Maggio alle ore 11.30, sarà inaugurato in Piazza Vittorio Emanuele il Monumento in Onore di Padre Giorgio Guzzetta. Interverranno all'inaugurazione varie autorità sia civili che religiose. E' un momento importante per ricordare questa nobila figura di uomo e di sacerdote di Piana. Se ancora oggi, manteniamo la nostra lingua, il nostro Rito, dobbiamo dire grazie a Padre Giorgio Guzzetta!


Pubblichiamo una sua breve biografia ripresa da: http://www.oratoriosanfilippo.org/giorgio-guzzetta.html

Giorgio Guzzetta nacque a Piana dei Greci (oggi, Piana degli Albanesi, sede della eparchia cattolica di rito greco) il 23 aprile 1682 da una famiglia di povere condizioni economiche ed entrò nel seminario dell’arcidiocesi di Monreale da cui dipendevano ecclesiasticamente quelle colonie di Albanesi che, nel corso del XV-XVI secolo, si erano rifugiate per motivi politici in Sicilia.



Di intelligenza vivacissima, dopo aver compiuto studi di lettere presso la scuola dei Gesuiti di Trapani, si addottorò in Teologia nel fiorente seminario, suscitando l’ammirazione dell’Arcivescovo Card. Del Giudice, che lo volle nella sua corte come traduttore di greco classico. La prospettiva di una brillante carriera, e la proposta di accompagnare il Cardinale in Spagna, non distolsero il chierico dalla chiamata ad una vita sacerdotale vissuta nella semplicità e nella piena dedizione apostolica.



Entrò così nella Congregazione dell’Oratorio di Palermo, rinunciando al rito greco per ricevere l’ordinazione sacerdotale e potersi dedicare con amore alle tradizioni culturali e religiose della sua gente albanese. Ventiquattrenne, vi fu accolto nel dicembre 1706 e l’anno seguente riceveva l’ordinazione sacerdotale, con la dote lasciata in amministrazione ai Padri dell’Oratorio dall’abate Prenestino. La sua scelta, convinta e generosa, non fu immune, nei primi anni, da tormenti: fantasmi di fallimento lo inquietavano, impressione di aver sbagliato e di non poter giovare a nessuno. Una seconda “conversione” attendeva il giovane prete: rinunciare a se stesso fino in fondo, anche ai suoi progetti di bene, per fidarsi unicamente di Dio.



Uscito dal deserto faticoso, gli si spalancarono gli orizzonti della predicazione e del ministero della Confessione, nei quali la sua maturazione spirituale e la costante unione con Dio nella preghiera diedero frutti copiosi, fecondati dalla grazia divina che aveva concesso a P. Giorgio anche il dono della chiaroveggenza nella direzione delle coscienze ed un paternità tenerissima e forte.



Nel 1716 poté pensare di aiutare apostolicamente la sua terra: nacque per sua iniziativa l’Oratorio di Piana, con sacerdoti celibi di rito greco che si dedicavano, in uno stile di ammirevole povertà, quale era quello di quel popolo, ad istruire ed educare la gioventù. Nel 1734 potè raggiungere la meta di un desiderio coltivato nel cuore fin dagli anni della adolescenza: quello di un seminario greco-albanese in cui i futuri preti, fino ad allora costretti a frequentare i Seminari latini della Sicilia, potessero essere istruiti nelle tradizioni e nello splendore del culto bizantino.



Il Seminario fu fondato in Palermo: i Gesuiti vi davano lezioni, e gli Oratoriani curavano la parte spirituale; i frutti furono notevoli e l’istituzione proseguì nei secoli. L’intento di P. Guzzetta nei confronti della sua comunità di rito orientale, che pur presentava ormai un aspetto di faticosa sopravvivenza, fu di affidarle una missione di impressionante attualità: lavorare per l’Unità dei cristiani nel Vicino Oriente, anche attraverso una organizzazione ecclesiastica propria. Non vide P. Guzzetta l’Eparchia di Piana degli Albanesi, che sarà eretta solo nel 1937, ma intanto, a cinquant’anni dalla sua morte, la Santa Sede istituiva permanentemente un Vescovo ordinante di rito greco per la Sicilia.


Uomo di cultura e di notevole esperienza pedagogica, P. Guzzetta comprendeva l’importanza della formazione. Per questo caldeggiava anche l’istituzione di un ramo Orientale della Compagnia di Gesù che avrebbe potuto dedicarsi all’impegno di Collegi nel Vicino Oriente e tra le comunità orientali allora presenti nei domini greci della Repubblica Veneta, come pure tra quelle comunità cristiane d’Oriente che egli sapeva non essersi mai separate da Roma, ma solo lontane per la mancanza di comunicazione e la necessità di appoggiarsi alle Chiese separate dell’Impero Turco.



Provato da una lunga malattia che lo rese cieco e dalla fatica degli anni, P. Giorgio si spense il 21 novembre del 1756. Le sue spoglie incorrotte rimasero, fino al 1954, nella Chiesa oratoriana dell’Olivella a Palermo. Ora riposano nella Cattedrale dell’Eparchia in Piana degli Albanesi, dove il processo di beatificazione in questi ultimi tempi ha decisamente ripreso il suo cammino.

VI DOMENICA DI PASQUA: del Cieco nato.


Domenica del Cieco Nato


Antifone di Pasqua


Tropari:


1) Ton Sinanarchon Logon (tono V)

2) Mègan èvrato (di San Demetrio)

3) I kie en tàfo (di Pasqua)



Trisaghion: Osi is Christòn evaptìsthite


Letture:

Apostolo: Atti 16, 16-34

Vangelo: Gv 9, 1-38


Megalinarion: O Anghellos evòa


Kinonikòn: Sòma Christhù metalàvete.


sabato 9 maggio 2009

Domenica 10 Maggio 2009

V DOMENICA DI PASQUA: DOMENICA DELLA SAMARITANA
Antifone: di Pasqua
Tropari:
1) To fedhròn (Tono IV)
2) Mesusis tis eortìs ( Mezza Pentecoste)
3) Mègan èvrato ( San Demetrio)
4) I kie en tafò (Pasqua)
Trisaghion: Osi is Christòn evaptìshtite
Letture:
Apostolo: Atti 11, 19-30
Vangelo: Gv 4, 5-42
Megalinarion: O Anghelos evòa
Kinonikòn: Soma Christù metalàvete

martedì 5 maggio 2009

La Festa di Mezza Pentecoste.


LA FESTA DI MEZZO PENTECOSTE

MESOPENTIKOSTI


Pochi sono coloro che si recano in Chiesa in tale giorno e la maggior parte addirittura non conosce neanche che il Mercoledì dopo la Domenica del Paralitico, la Chiesa celebra una grande festa, la Mezza Pentecoste. Ma una volta la festa di Mesopentikostis(questo il suo nome greco) era una grande festa della Grande Chiesa di Costantinopoli e una folla immensa vi si radunava. Una prima notizia di questa festa la troviamo in una relazione del Regno d'ordine (Cap. 26) di Costantino Porfyrogenito che ci dice che tale festa veniva celebrata fin dall'anno 903 nella chiesa di San Mokiou a Costantinopoli. Vi è una descrizione dettagliata della gloriosa celebrazione, che occupa tutta la pagina ed è determinata dalla nota taxis bizantina, come l'imperatore di mattina prendeva parte alle celebrazioni ufficiali recandosi dal suo palazzo nella chiesa San Mokiou, dove si celebrava tale funzione presieduta dal Patriarca. Era usanza che l’imperatore alla fine delle celebrazioni invitasse a pranzo il Patriarca. E nei nostri odierni libri liturgici vediamo presenti le tracce del vecchio splendore di cui godeva questa festa. Infatti la festa viene presentata come despotica, con i suoi tropari e con il suo doppio canone al mattutino, opere dei grandi innografi Teofane ed Andrea di Creta, con letture proprie, con la sua permanenza tra due domeniche e soprattutto con la sua ottava diremo oggi come le altre grandi feste despotiche dell’anno liturgico. Ma quale è il tema di questa festa particolare? Non ingloba possiamo dire una realtà storicizzata dal racconto evangelico. La questione è chiaramente festiva e teorica. Il Mercoledì della Mezza Pentecoste, cade 25 giorni dopo la Pasqua e 25 giorni prima della festa di Pentecoste. Segna la metà del periodo dei 50 giorni festivi dopo la Pasqua. È cioè una sosta, una fermata. Questo lo indica molto bene il primo stichiron del vespro della festa: Eccoci giunti alla metà dei giorni che iniziano con la salvifica resurrezione e ricevono il loro sigillo con la divina pentecoste. Questo giorno risplende dai fulgori che riceve da entrambe, congiunge le due feste, ed è venerabile perché annuncia la gloria dell’ascensione del Signore. Senza avere quindi un proprio tema questo giorno unisce i temi, della Pasqua da una parte e della Discesa dello Spirito Santo dall’altra, e anticipa potremmo dire, la gloria dell’Ascensione del Signore, che si festeggerà fra 15 giorni esatti. Certamente questo stare in mezzo alle due grandi feste, ci porta alla mente anche l’aggettivo particolare del Signore in lingua ebraica e cioè Messia. Messia in greco la maggior parte delle volte è tradotto con Cristo. Ma foneticamente la parola ebraica ci riporta lo stare in mezzo in greco. Così sia nei tropari che nel sinassario del giorno, questa etimologia di cui parlavamo sopra diventa motivo di presentare Cristo, come Messia, Mediatore tra Dio e l’uomo, mediatore e riconciliatore del mondo con l’eterno Padre. Per questo motivo, osserva lo Xanthopulos nel Suo Sinassario, festeggiamo la Mezzapentecoste, inneggiando il Cristo quale Messia. Anche la lettura della pericope vangelica del giorno rinforza questo pensiero di cui sopra (Gv 7, 14-30). Nel mezzo della festa della Pasqua giudaica Cristo sale al tempio ed insegna. Il suo insegnamento provoca ammirazione, ma anche fa nascere una controversia tra lui e le persone ed i maestri del tempio. È il messia Gesù o non lo è? L’insegnamento di Gesù proviene da Dio o no? Sorge quindi una nuova questione: il Cristo è maestro. Colui che non ha mai ricevuto frequentato una scuola diremmo oggi, ha la pienezza della saggezza, perché è la Sapienza-Sofia di Dio che ha creato il mondo. Proprio questo dialogo ha ispirato gran parte dell’innografia di questa festa. Colui che insegna al tempio, nel mezzo dei maestri del popolo giudaico, nel mezzo della festa, è il Messia, è il Cristo, il Verbo di Dio. Colui che viene contraddetto dai presunti saggi del suo popolo, è la Sapienza di Dio. Prendiamo ad esempio uno dei tropari più caratteristici, il doxastikon degli aposticha del Vespro: A metà della festa, mentre tu insegnavi, o Salvatore, dicevano i giudei: Come può costui conoscere le Scritture senza aver studiato? Ignoravano che tu sei la Sapienza che ha ordinato il mondo. Gloria a Te!
Poche righe più in basso nel Vangelo di Giovanni, subito dopo la pericope che contiene il dialogo del Signore con i Giudei nel mezzo della festa, segue un simile dialogo, che ebbe luogo tra Cristo ed i Giudei, l’ultimo giorno della grande festa, cioè a Pentecoste. Questo inizia con una grande frase del Signore Se qualcuno ha sete venga a me e beva, chi crede in me come dice la Scrittura, dal suo grembo scorreranno fiumi d’acqua viva ( Gv, 7, 37-38). E continua l’evangelista questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui ( Gv, 7, 39). Non ha importanza che queste parole il Signore non le ha preferite durante la Mezzopentecoste ma alcuni giorni dopo. Grazie ad una figura poetica sono state messe in bocca al Signore nel discorso di Mezzopentecoste. D’altronde l’attinenza con il discorso della festa è molto evidente. Non potrebbe trovarsi più caratteristica l’immagine dell’opera di insegnamento di Cristo. Nell’assetato genere umano l’insegnamento di Cristo viene come acqua viva, come fiume di grazia che ristora la faccia della terra. Cristo è la fonte della grazia, dell’acqua della vita eterna, che ristora e disseta le anime provate degli uomini, che cambia gli assetati in fonti, da cui scorreranno fiumi di acqua viva. Anzi, diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna ( Gv 4,14) disse alla Samaritana. Che ha cambiato il deserto del mondo in un paradiso piantato da Dio di alberi sempreverdi irrorati dalle acque dello Spirito Santo. Questo tema ha ispirato anche la poesia ecclesiastica ed ha ornato la festa odierna con inni ineguagliabili. Ne scegliamo uno, tra i più caratteristici, il kathisma dopo la terza ode del Mattutino: Stando nel mezzo del tempio, a metà della festa con voce ispirata gridavi: Chi ha sete venga a me e beva, perché chi beve alla mia divina sorgente farà sgorgare dal suo seno i fiumi delle mie dottrine. Chi crede in me, inviato dal divino Genitore, con me sarà glorificato. Per questo a te acclamiamo: Gloria a Te, o Cristo Dio, perché hai copiosamente riversato sui tuoi servi i flutti del tuo amore per gli uomini. Questa in sintesi è la festa di Mezzopentecoste.
(Liberamente tradotto dal greco dal diacono Rosario S., e preso dalla rivista della Metropoli di Kesariani)


TROPARI DELLA FESTA

A metà della festa pasquale, disseta, o Salvatore, l'anima mia assetata con l'acqua della pietà, poiché Tu stesso hai detto a tutti: Chi ha sete venga a me, e beva. Tu sei la fonte della vita, o Cristo Dio, sia gloria a Te.


O creatore e signore di tutte le cose, o Cristo Dio, a metà della festività legale, dicevi a quelli che ti stavano attorno: Venite a me ed attingete le acque dell'immortalità. Per cui noi ci prostriamo davanti a Te e con fede gridiamo: Donaci la misericordia, Tu infatti sei la sorgente della nostra vita