domenica 29 aprile 2012



Santo apostolo Giacomo, * intercedi presso il Dio misericordioso * perché conceda alle anime nostre * la remissione delle colpe.

Lunedì 30 Aprile 2012
Si fa memoria:
San Giacomo Apostolo, Fratello di San Giovanni il Teologo (†43)
dal
Sinassario
 Giacomo, fratello dell'evangelista Giovanni, fu uno dei Dodici. Figlio di Zebedeo è detto anche il “Maggiore”, per distinguerlo da Giacomo di Alfeo, detto il “Minore”. Assieme a suo fratello furono chiamati “figli del tuono” per la loro profonda teologia e perché furono grandi predicatori.


Giacomo nacque a Betsaida, come apostolo assisté ai principali miracoli del Signore e, secondo la tradizione, fu il primo tra loro a subire il martirio per decapitazione attorno al 43-44 per volere di Erode Agrippa.

Secoli dopo nacque la leggenda delle sue predicazioni in Spagna.

30 APRILE Memoria del santo apostolo Giacomo, uno dei 12 apostoli, fratello di Giovanni il teologo (sotto Erode Agrippa, ca. 44).


VESPRO

Al Signore, ho gridato, stichirá prosómia del santo.

Tono pl. 4. O straordinario prodigio!

O beato Giacomo che hai veduto Dio, * tu hai súbito accolto l’invito del Verbo, * e non hai tenuto conto del lavoro e del rapporto col padre˚: * abbandonando infatti il tumulto della vita, * sei passato al mare spirituale * e lo hai messo in tumulto con le dottrine della pietà˚ * e il tuo tuonare ultramondano˚, * o beato in Dio.

O beatissimo Giacomo, * servendo a fatti il Verbo, * principe della vita e del secolo futuro˚, * hai realmente privato dei diritti di primogenitura * l’Israele divenuto profanatore * perché considerava dio il ventre˚; * lo hai anche confutato, * spogliato della protezione paterna, * escluso dalla benedizione e dall’eredità˚.

Sei stato fatto capo, o glorioso, * su tutta la terra, * come di te sta scritto˚, * divenendo discepolo di colui che tutto ha creato. * Per il tuo ardentissimo zelo, * sei stato ucciso di spada dagli empi, * o sapientissimo, * per primo sei stato tolto, o beato, * dall’augusta adunanza dei dodici condiscepoli.

Gloria. Tono pl. 4.

Per primo tra i dodici eletti da Dio * hai subíto la morte per il Maestro, * o degno di ogni lode, * ucciso di spada da Erode; * per primo hai bevuto il suo calice, * come ti era stato promesso˚. * Perciò l’amico degli uomini ti ha accolto * come coerede del regno dei cieli˚, * dove intercedi insieme al tuo fratello * per le anime nostre.

Ora e sempre. Della festa.

Allo stico, stichirá della festa.

Gloria. Dell’apostolo. Tono 1.

Apostolo e martire Giacomo, * eletta pecora del buon pastore, * esultante insieme al fratello nei cieli, * chiedi per quanti festeggiano la tua venerabile memoria, * la remissione dei peccati, * e la grande misericordia˚.

Ora e sempre. Della festa. Apolytíkion. Tono 3.

Santo apostolo Giacomo, * intercedi presso il Dio misericordioso * perché conceda alle anime nostre * la remis¬sione delle colpe.

ORTHROS

Káthisma. Tono 1. I soldati a guardia della tua tomba.

Divenuto discepolo di Cristo, * bevendo il suo calice, o sapiente, * come egli ti aveva detto, o beato, * sei stato ucciso di spada, o apostolo Giacomo. * Tutta la Chiesa dunque danza, * festeggiando questa tua santissima memoria, * nella quale noi ti acclamiamo.

E della festa.

Kondákion. Tono 2. Cercando le cose dell’alto.

Udita la divina voce che ti chiamava, * hai lasciato da parte l’amore per il padre * e sei accorso al Cristo, o Giacomo, * insieme al tuo congiunto, o glorioso, * col quale sei stato fatto degno * di vedere la divina trasfigurazione del Signore.

Ikos. Rendi chiara la mia lingua.

Come pescatore di pesci razionali, * con la rete delle tue venerabili preghiere, * o beato, * trai dall’abisso delle colpe la mia povera anima, * già catturata dai piaceri della vita. * Cosí, passando senza deviare il rimanente tempo di vita, * io celebrerò il tuo nome * e glorificherò la vita irreprensibile da te condotta in terra * e per la quale hai anche ottenuto di contemplare sul monte * la divina trasfigurazione del Signore.

Sinassario.

Il 30 di questo stesso mese, memoria del santo e glorioso apostolo Giacomo, fratello di san Giovanni il teologo.

Per la sua santa intercessione, o Cristo Dio, abbi pietà di noi e salvaci. Amen.

Canone dell’apostolo. Poema di Teofane.

Ode 9. Tono pl. 4. Per questo sbigottisce il cielo.

Dopo aver degnamente compiuto la tua corsa˚, * ora, nelle dimore dei santi, o glorioso, * contempli con gioia il triplice fulgore, * e godendo di esso, o sapientissimo, * ricolma di letizia e di gioia, * o beatissimo, con le tue preghiere, * quanti ti celebrano, o Giacomo.

I malfattori, gli assassini, non tolleravano la tua vista, * come già era avvenuto per il tuo maestro: * tu infatti, disprezzando le loro azioni, * li avevi accusati, contrap-ponendo loro la tua condotta˚; * essi uccisero dunque di spada *l’imitatore del Cristo, che fu crocifisso per gli uomini nella carne, * o beatissimo dal divino parlare.

Perí Erode, * punito con piaghe dalla spada celeste˚, * perché quel bruto non si era stancato a forza di uccidere, o Verbo, * i tuoi ministri e discepoli, * da te chiamati apostoli. * Noi dunque, o benefattore, * magnifichiamo stupiti la tua giusta provvidenza.

Onorando gioiosamente la tua memoria, * noi ti acclamiamo, o beato Giacomo, iniziato di Cristo: * cantando il tuo zelo ardente, * il lungo viaggio da te compiuto, * le tue lotte e la tua immolazione, * con fede tutti ti chiamiamo figlio del tuono˚, * luce, giudice e rivelatore di misteri.

Theotokíon.

Ti sei mostrata Madre-di-Dio, o Vergine, * perché hai partorito corporalmente, oltre la natura, * il Verbo buono, * che il Padre, come buono, * ha fatto sgorgare dal suo cuore˚ * prima di tutti i secoli; * e ora noi lo contempliamo trascendente i corpi, * benché di un corpo sia rivestito.

Irmós.

Per questo sbigottisce il cielo˚, * e sono colti da stupore i confini della terra˚: * perché Dio è apparso corporalmente agli uomini, * e il tuo grembo è divenuto piú ampio dei cieli: * te dunque magnificano, Madre-di-Dio˚, * le schiere degli angeli e degli uomini.

Exapostilárion. Tono 2. Sotto gli occhi dei tuoi discepoli.

Divenuto discepolo, o Giacomo, * del Verbo che nella sua compassione si è incarnato, * sei stato annoverato nella cerchia dei corifei: * con loro implora Cristo per noi * che onoriamo la tua santissima memoria.

E della festa.

Alle lodi, stichirá prosómia dell’apostolo.

Tono 4. Come generoso fra i martiri.

Con la canna della grazia * hai tratto i mortali * dall’abisso della vanità, * o degno di ammirazione, * docile, o Giacomo, ai cenni del Maestro * che in tutto aveva illuminato la tua mente * e ti aveva reso apostolo * e venerabile annunciatore ispirato, * o beatissimo, * della sua incomprensibile divinità. 2 volte.

Su di te è scesa l’illuminazione dello Spirito * in forma di fuoco˚, * e ti ha reso, o beato, * divino tabernacolo, * ti ha reso capace di dissipare in breve * la caligine dell’ateismo * e di illuminare il mondo * con lo splendore di sapientissime parole, * o narratore dei divini misteri, * Giacomo, vertice degli apostoli, * testimone oculare di Cristo˚.

Con le folgori dell’annuncio, * hai illuminato, o glorioso, * quanti dormivano nella tenebra dell’ignoranza; * e dopo averli resi, o Giacomo, * figli del Sovrano e Dio, mediante la fede, * hai emulato la passione e la morte di lui, * divenendo erede della gloria, * come sapiente, come annunciatore divino, * come autentico discepolo.

Gloria. Tono pl. 4.

Venite, esaltiamo tutti con salmi ed inni Giacomo, * annunciatore della celeste mistagogia * e ministro del vangelo. * Egli si è infatti rivelato fiume del paradiso spirituale˚, * irrigando con le celesti piogge i solchi delle anime * e rendendole fertili per il Cristo Dio, * il quale, per la sua intercessione, * a tutti dona il perdono e la grande misericordia˚.

Ora e sempre. Della festa.

Grande dossologia. Quindi il resto come di consueto e il congedo.

sabato 28 aprile 2012

DOMENICA IV di PASQUA   29 Aprile 2012
Vangelo di Giovanni (5,1 - 9)
La guarigione del paralitico alla piscina

“Vuoi guarire?” La guarigione del paralitico alla piscina di Betsaida è raccontata solo da Giovanni. Matteo, Marco e Luca raccontano invece della guarigione di un paralitico a Cafarnao.

Giovanni riporta il miracolo della guarigione del paralitico come il terzo compiuto da Gesù dopo le nozze di Cana e dopo quello della guarigione del figlio del funzionario governativo.

“ci fu una festa dei giudei” La guarigione del paralitico avviene di sabato nel corso di una celebrazione festiva annuale non precisata.La presenza di Gesù a Gerusalemme fa pensare che si tratti di una delle tre grandi feste ebraiche (Pasqua, Pentecoste, Festa delle Capanne) spesso designate come le feste dei Giudei.

“e Gesù salì a Gerusalemme” La scena di questo brano si apre con Gesù che proviene dalla Galilea e sale a Gerusalemme. Gesù aveva probabilmente affrontato circa tre giorni di cammino in salita, siccome tra la Galilea e Gerusalemme c’è un dislivello di 900 metri.

“In Gerusalemme, presso la porta delle pecore…” La porta delle pecore è la porta attraverso la quale le pecore entravano sulla spianata del tempio per i sacrifici è quindi una porta che conduce al tempio.

“c’è una piscina chiamata in ebraico Betsaida, con cinque portici.” La piscina di Betsaida letteralmente vuol dire Casa della Misericordia si trovava a Gerusalemme e aveva cinque portici. Il numero cinque richiama i cinque libri di Mosè.

La piscina ha un certo collegamento con il tempio.Il tempio è la sede del potere e della sopraffazione, la piscina è la sede del popolo, il luogo della sofferenza.La piscina è dotata di portici come il tempio, sotto i cui portici i rabbini insegnavano al popolo la legge di Mosè.

“Sotto questi portici giaceva una folla di ammalati, ciechi, zoppi, e paralitici in attesa del movimento dell’acqua.” La piscina era un luogo di raccolta di ammalati e infermi che vi andavano in gran numero perché credevano che in quel luogo avrebbero potuto ricevere la loro guarigione.Gli infermi che giacevano sotto i portici erano di tre categorie: ciechi, zoppi, paralitici. Giovanni indica la reale condizione dell’uomo.

Vi è un contrasto tra festa dei giudei che si svolge nel tempio e la moltitudine di gente sofferente. Questi sono esclusi dai festeggiamenti nel tempio.Cristo non va al tempio ma decide di andare da chi è più sofferente.Cristo si allontana da certe forme di religiosità.

“C’era là un uomo infermo da trentotto anni.”L’attenzione del narratore si concentra su uno di quei malati. La sua infermità viene definita dallo stesso termine greco che indicherà la malattia di Lazzaro (astheneia).Questa parola non è usata da Giovanni in nessun altro caso.

Due sono i precetti della carità che il Signore raccomanda: amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e amerai il prossimo tuo come te stesso. Se il numero quaranta significa perfezione della legge e se la legge non si compie se non mediante il duplice precetto della carità, ti fa meraviglia che quell’uomo fosse infermo da quaranta meno due? “ Sant’Agostino “Gesù, vedendolo sdraiato e saputo che da molto tempo si trovava in quella condizione, gli disse: Vuoi guarire?”


Gesù volge lo sguardo verso un uomo che giaceva paralizzato e prende l’iniziativa. L’uomo infermo è affetto da un duplice handicap: da una parte è malato da tanto tempo e ciò fa supporre che la sua malattia fosse incurabile, dall’altra non può approfittare dell’efficacia dell’acqua.

E’ significativo che Gesù, sapendo che da trentotto anni giaceva paralizzato presso la piscina gli abbia chiesto: “Vuoi guarire? “. Questa domanda può essere intesa come un invito ad abbandonare il precedente stile di vita, o anche può sottolineare la necessità di un’adesione consapevole della persona all’opera di guarigione.

“Rispose l’infermo: Signore io non ho nessuno che,quando si agita l’acqua,mi immerge nella piscina:mentre cerco di arrivarci,un altro vi si immerge prima di me.” Quest’uomo vuole cambiare la propria condizione ma è impossibilitato a farlo. Pur vivendo immobilizzato da trentotto anni, non aveva perso la speranza nella guarigione. Però il malato risponde riferendosi all’unica speranza che egli conosce: l’agitazione delle acque nella piscina, unitamente all’attesa di qualcuno che l’aiuti a calarsi dentro. Queste aspettative però sono state deluse da tempo perché non ha nessuno che lo immerga nella piscina.

E’ il più povero tra i poveri! Si sottolinea la sua solitudine, la sua rassegnazione tanto che la gente si disinteressa di lui.

L’acqua della piscina sembra assumere un significato simile al pozzo di Giacobbe.Come quell’acqua non è capace di dissetare definitivamente, così quest’acqua promette una guarigione che non si realizza mai.

Il pozzo di Giacobbe e la piscina di Betsaida sono destinati ad essere sostituiti dall’acqua viva donata da Cristo. Quest’acqua disseta e guarisce!

“ Gli disse Gesù: Alzati, prendi il tuo giaciglio e cammina.

Alzati! Gesù dice tirati su, risorgi, fidati di me che sono venuto a cercarti. Prendi il tuo giaciglio!E questo lo dice per provocare: era sabato e non era permesso alcun lavoro. Infrangi questa legge che condanna il povero nelle regole vuote.

Cammina! Non più paralizzato, il tuo orizzonte sia la strada, la vita fuori, non questa piscina.

L’uomo fu guarito all’istante; prese il suo giaciglio e cominciò a camminare. Il paralitico toccato da Gesù ritorna ad essere padrone della propria vita. Crede, si alza e cammina.

L’incontro con Gesù gli cambia radicalmente la vita: se avesse deciso di non credere sarebbe rimasto nella paralisi.

“Quel giorno era un sabato.” Il miracolo viene compiuto di sabato. Questo provocherà una reazione di ostilità da parte dei giudei che giudicheranno il gesto di Gesù una trasgressione del riposo sabbatico. I giudei governano il popolo mettendo la legge al di sopra del bene della persona. Cristo mette la persona umana al di sopra della legge.

Emerge la differenza tra la potenza misericordiosa e miracolosa di Cristo e la religione legalista formale, persecutoria, incapace di cogliere la divinità di Gesù, di provare gioia di fronte ad un miracolo.

La parola di Cristo solleva da uno stato di paralisi spirituale, la sua misericordia abbraccia il paralitico, così come abbraccia noi anche se non lo meritiamo; la fede in Lui ci permette di superare ostacoli, affrontare sofferenze, lenire dolori, guarire interiormente. Gesù volge lo sguardo verso il paralitico e prende l’iniziativa. Io voglio guarire? Lo voglio veramente?

Gesù dice al paralitico di alzarsi, prendere il giaciglio e camminare e l’infermo lo fa.
Riesco ad ascoltarLo e a fidarmi totalmente di Lui?







venerdì 27 aprile 2012

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA XLIX GIORNATA MONDIALE DI PREGHIERA PER LE VOCAZIONI.
29 APRILE 2012 - IV DOMENICA DI PASQUA

Tema: Le vocazioni dono della Carità di Dio

Cari fratelli e sorelle! la XLIX Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, che sarà celebrata il 29 aprile 2012, quarta domenica di Pasqua, ci invita a riflettere sul tema: Le vocazioni dono della Carità di Dio.
La fonte di ogni dono perfetto è Dio Amore - Deus caritas est -: «chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui» (1 Gv 4,16). La Sacra Scrittura narra la storia di questo legame originario tra Dio e l’umanità, che precede la stessa creazione. San Paolo, scrivendo ai cristiani della città di Efeso, eleva un inno di gratitudine e lode al Padre, il quale con infinita benevolenza dispone lungo i secoli l’attuarsi del suo universale disegno di salvezza, che è disegno d’amore. Nel Figlio Gesù - afferma l’Apostolo - Egli «ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità» (Ef 1,4). Noi siamo amati da Dio “prima” ancora di venire all’esistenza! Mosso esclusivamente dal suo amore incondizionato, Egli ci ha “creati dal nulla” (cfr 2Mac 7,28) per condurci alla piena comunione con Sé.

Preso da grande stupore davanti all’opera della provvidenza di Dio, il Salmista esclama: “Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato, che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?” (Sal 8,4-5). La verità profonda della nostra esistenza è, dunque, racchiusa in questo sorprendente mistero: ogni creatura, in particolare ogni persona umana, è frutto di un pensiero e di un atto di amore di Dio, amore immenso, fedele, eterno (cfr Ger 31,3). La scoperta di questa realtà è ciò che cambia veramente la nostra vita nel profondo. In una celebre pagina delle Confessioni, sant’Agostino esprime con grande intensità la sua scoperta di Dio somma bellezza e sommo amore, un Dio che gli era stato sempre vicino, ma al quale finalmente apriva la mente e il cuore per essere trasformato: “Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai. Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Eri con me, e non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te. Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza, e respirai e anelo verso di te, gustai e ho fame e sete; mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace” (X, 27.38). Con queste immagini, il Santo di Ippona cerca di descrivere il mistero ineffabile dell’incontro con Dio, con il Suo amore che trasforma tutta l’esistenza.
Si tratta di un amore senza riserve che ci precede, ci sostiene e ci chiama lungo il cammino della vita e ha la sua radice nell’assoluta gratuità di Dio. Riferendosi in particolare al ministero sacerdotale, il mio predecessore, il Beato Giovanni Paolo II, affermava che «ogni gesto ministeriale, mentre conduce ad amare e a servire la Chiesa, spinge a maturare sempre più nell’amore e nel servizio a Gesù Cristo Capo, Pastore e Sposo della Chiesa, un amore che si configura sempre come risposta a quello preveniente, libero e gratuito di Dio in Cristo» (Esort. ap. Pastores dabo vobis, 25). Ogni specifica vocazione nasce, infatti, dall’iniziativa di Dio, è dono della Carità di Dio! È Lui a compiere il “primo passo” e non a motivo di una particolare bontà riscontrata in noi, bensì in virtù della presenza del suo stesso amore «riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo» (Rm 5,5).

In ogni tempo, alla sorgente della chiamata divina c’è l’iniziativa dell’amore infinito di Dio, che si manifesta pienamente in Gesù Cristo. Come ho scritto nella mia prima Enciclica Deus caritas est, «di fatto esiste una molteplice visibilità di Dio. Nella storia d’amore che la Bibbia ci racconta, Egli ci viene incontro, cerca di conquistarci - fino all’Ultima Cena, fino al Cuore trafitto sulla croce, fino alle apparizioni del Risorto e alle grandi opere mediante le quali Egli, attraverso l’azione degli Apostoli, ha guidato il cammino della Chiesa nascente. Anche nella successiva storia della Chiesa il Signore non è rimasto assente: sempre di nuovo ci viene incontro - attraverso uomini nei quali Egli traspare; attraverso la sua Parola, nei Sacramenti, specialmente nell’Eucaristia» (n. 17).

L’amore di Dio rimane per sempre, è fedele a se stesso, alla «parola data per mille generazioni» (Sal 105,8). Occorre, pertanto, riannunciare, specialmente alle nuove generazioni, la bellezza invitante di questo amore divino, che precede e accompagna: esso è la molla segreta, è la motivazione che non viene meno, anche nelle circostanze più difficili.

Cari fratelli e sorelle, è a questo amore che dobbiamo aprire la nostra vita, ed è alla perfezione dell’amore del Padre (cfr Mt 5,48) che ci chiama Gesù Cristo ogni giorno! La misura alta della vita cristiana consiste infatti nell’amare “come” Dio; si tratta di un amore che si manifesta nel dono totale di sé fedele e fecondo. Alla priora del monastero di Segovia, in pena per la drammatica situazione di sospensione in cui egli si trovava in quegli anni, San Giovanni della Croce risponde invitandola ad agire secondo Dio: «Non pensi ad altro se non che tutto è disposto da Dio; e dove non c’è amore, metta amore e raccoglierà amore» (Epistolario, 26).

Su questo terreno oblativo, nell’apertura all’amore di Dio e come frutto di questo amore, nascono e crescono tutte le vocazioni. Ed è attingendo a questa sorgente nella preghiera, con l’assidua frequentazione della Parola e dei Sacramenti, in particolar modo dell’Eucaristia, che è possibile vivere l’amore verso il prossimo nel quale si impara a scorgere il volto di Cristo Signore (cfr Mt 25,31-46). Per esprimere il legame inscindibile che intercorre tra questi “due amori” – l’amore verso Dio e quello verso il prossimo - scaturiti dalla medesima sorgente divina e ad essa orientati, il Papa San Gregorio Magno usa l’esempio della pianticella: «Nel terreno del nostro cuore [Dio] ha piantato prima la radice dell’amore verso di Lui e poi si è sviluppato, come chioma, l’amore fraterno» (Moralium Libri, sive expositio in Librum B. Job, Lib. VII, cap. 24, 28; PL 75, 780D).

Queste due espressioni dell’unico amore divino, devono essere vissute con particolare intensità e purezza di cuore da coloro che hanno deciso di intraprendere un cammino di discernimento vocazionale verso il ministero sacerdotale e la vita consacrata; ne costituiscono l’elemento qualificante. Infatti, l’amore per Dio, di cui i presbiteri e i religiosi diventano immagini visibili - seppure sempre imperfette - è la motivazione della risposta alla chiamata di speciale consacrazione al Signore attraverso l’Ordinazione presbiterale o la professione dei consigli evangelici. Il vigore della risposta di san Pietro al divino Maestro: «Tu lo sai che ti voglio bene» (Gv 21,15), è il segreto di una esistenza donata e vissuta in pienezza, e per questo ricolma di profonda gioia.

L’altra espressione concreta dell’amore, quello verso il prossimo, soprattutto verso i più bisognosi e sofferenti, è la spinta decisiva che fa del sacerdote e della persona consacrata un suscitatore di comunione tra la gente e un seminatore di speranza. Il rapporto dei consacrati, specialmente del sacerdote, con la comunità cristiana è vitale e diventa anche parte fondamentale del loro orizzonte affettivo. Al riguardo, il Santo Curato d’Ars amava ripetere: «Il prete non è prete per sé; lo è per voi» (Le curé d’Ars. Sa pensée – Son cœur, Foi Vivante, 1966, p. 100).
Cari Fratelli nell’episcopato, cari presbiteri, diaconi, consacrati e consacrate, catechisti, operatori pastorali e voi tutti impegnati nel campo dell’educazione delle nuove generazioni, vi esorto con viva sollecitudine a porvi in attento ascolto di quanti all’interno delle comunità parrocchiali, delle associazioni e dei movimenti avvertono il manifestarsi dei segni di una chiamata al sacerdozio o ad una speciale consacrazione. È importante che nella Chiesa si creino le condizioni favorevoli affinché possano sbocciare tanti “sì”, quali generose risposte alla chiamata di amore di Dio.
Sarà compito della pastorale vocazionale offrire i punti di orientamento per un fruttuoso percorso. Elemento centrale sarà l’amore alla Parola di Dio, coltivando una familiarità crescente con la Sacra Scrittura e una preghiera personale e comunitaria attenta e costante, per essere capaci di sentire la chiamata divina in mezzo a tante voci che riempiono la vita quotidiana. Ma soprattutto l’Eucaristia sia il “centro vitale” di ogni cammino vocazionale: è qui che l’amore di Dio ci tocca nel sacrificio di Cristo, espressione perfetta di amore, ed è qui che impariamo sempre di nuovo a vivere la “misura alta” dell’amore di Dio. Parola, preghiera ed Eucaristia sono il tesoro prezioso per comprendere la bellezza di una vita totalmente spesa per il Regno.
Auspico che le Chiese locali, nelle loro varie componenti, si facciano “luogo” di attento discernimento e di profonda verifica vocazionale, offrendo ai giovani e alle giovani un saggio e vigoroso accompagnamento spirituale. In questo modo la comunità cristiana diventa essa stessa manifestazione della Carità di Dio che custodisce in sé ogni chiamata. Tale dinamica, che risponde alle istanze del comandamento nuovo di Gesù, può trovare eloquente e singolare attuazione nelle famiglie cristiane, il cui amore è espressione dell’amore di Cristo che ha dato se stesso per la sua Chiesa (cfr Ef 5,32). Nelle famiglie, «comunità di vita e di amore» (Gaudium et spes, 48), le nuove generazioni possono fare mirabile esperienza di questo amore oblativo. Esse, infatti, non solo sono il luogo privilegiato della formazione umana e cristiana, ma possono rappresentare «il primo e il miglior seminario della vocazione alla vita di consacrazione al Regno di Dio» (Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 53), facendo riscoprire, proprio all’interno della famiglia, la bellezza e l’importanza del sacerdozio e della vita consacrata. I Pastori e tutti i fedeli laici sappiano sempre collaborare affinché nella Chiesa si moltiplichino queste «case e scuole di comunione» sul modello della Santa Famiglia di Nazareth, riflesso armonico sulla terra della vita della Santissima Trinità.

Con questi auspici, imparto di cuore la Benedizione Apostolica a voi, Venerati Fratelli nell’episcopato, ai sacerdoti, ai diaconi, ai religiosi, alle religiose e a tutti i fedeli laici, in particolare ai giovani e alle giovani che con cuore docile si pongono in ascolto della voce di Dio, pronti ad accoglierla con adesione generosa e fedele.
Dal Vaticano, 18 ottobre 2011
BENEDETTO XVI













XLIX Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni

29 Aprile 2012

Nella quarta Domenica di Pasqua, 29 Aprile 2012, domenica del Buon Pastore, si celebra la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, proposta alla Chiesa universale con profetica intuizione, da Papa Paolo VI nel 1964. Il tema che il S. Padre Benedetto XVI propone in questa quarantanovesima Giornata mondiale per la riflessione e la preghiera delle comunità cristiane è: "Le vocazioni dono della carità di Dio" (Deus caritas est, n.17). Ciò significa riscoprire la gratuità del dono di ogni vocazione e di ogni chiamata a vivere la propria vita nel segno della Beatitudine e dell'Amore, in continuità con quanto afferma Gesù nel vangelo di Matteo: "Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date" (Mt 10,8). Lo slogan scelto dal Centro Nazionale Vocazioni della Conferenza Episcopale Italiana è: "Rispondere all' Amore... si può" Esso si propone come invito a vivere con creatività, responsabilità e fedeltà la propria vocazione. E' un grande inno all'amore, che riecheggia in tante pagine bibliche, e che si esprime nelle due grandi espressioni e modalità dell'amore: la vita di coppia e la verginità donata nel ministero ordinato del Sacerdote o nella Vita consacrata. Sono due espressioni dell'Amore che si innestano sullo stesso tronco dalle radici profonde, che attingono fecondità dalla sorgente viva che è Gesù, e come due rami fioriti si liberano in alto per cercare gli spazi inifiniti del Cielo. Brani biblici di riferimento: 1 Gv 4,19; Cantico dei Cantici 8, 6-7; Geremia 20,7.



martedì 24 aprile 2012

‎25 APRILE Memoria del santo apostolo ed evangelista Marco




O Shejti Apostull e Vangjejtar Mark, lutu lipisiarit Perëndì sa të na falënjë shpirtravet t’anë ndëjèsën e mëkatëvet.

Tue marrë prej s’larti Hirin e Shpirtit >Shejt, klr sglidhur të dredhurat e Retorëvet , o Apostull,e ke marrë në rrietë gjithë popujitë, o i lëvduashëm Mark, e ja fale t’inë Zoti, tue ligjëruar Vangjegjin të hjynushëm.


VITA
 San Marco Evangelista sec. I
Ebreo di origine, nacque probabilmente fuori della Palestina, da famiglia benestante. San Pietro, che lo chiama «figlio mio», lo ebbe certamente con sè nei viaggi missionari in Oriente e a Roma, dove avrebbe scritto il Vangelo. Oltre alla familiarità con san Pietro, Marco può vantare una lunga comunità di vita con l'apostolo Paolo, che incontrò nel 44, quando Paolo e Barnaba portarono a Gerusalemme la colletta della comunità di Antiochia. Al ritorno, Barnaba portò con sè il giovane nipote Marco, che più tardi si troverà al fianco di san Paolo a Roma. Nel 66 san Paolo ci dà l'ultima informazione su Marco, scrivendo dalla prigione romana a Timoteo: «Porta con te Marco. Posso bene aver bisogno dei suoi servizi». L'evangelista probabilmente morì nel 68, di morte naturale, secondo una relazione, o secondo un'altra come martire, ad Alessandria d'Egitto. Gli Atti di Marco (IV secolo) riferiscono che il 24 aprile venne trascinato dai pagani per le vie di Alessandria legato con funi al collo. Gettato in carcere, il giorno dopo subì lo stesso atroce tormento e soccombette. Il suo corpo, dato alle fiamme, venne sottratto alla distruzione dai fedeli. Secondo una leggenda due mercanti veneziani avrebbero portato il corpo nell'828 nella città della Venezia. (Avvenire)
Patronato: Segretarie
  • Etimologia: Marco = nato in marzo, sacro a Marte, dal latino
    Emblema: Leone
    Martirologio Romano: Festa di san Marco, Evangelista, che a Gerusalemme dapprima accompagnò san Paolo nel suo apostolato, poi seguì i passi di san Pietro, che lo chiamò figlio; si tramanda che a Roma abbia raccolto nel Vangelo da lui scritto le catechesi dell’Apostolo e che abbia fondato la Chiesa di Alessandria. 
    La figura dell’evangelista Marco, è conosciuta soltanto da quanto riferiscono gli Atti degli Apostoli e alcune lettere di s. Pietro e s. Paolo; non fu certamente un discepolo del Signore e probabilmente non lo conobbe neppure, anche se qualche studioso lo identifica con il ragazzo, che secondo il Vangelo di Marco, seguì Gesù dopo l’arresto nell’orto del Getsemani, avvolto in un lenzuolo; i soldati cercarono di afferrarlo ed egli sfuggì nudo, lasciando il lenzuolo nelle loro mani.
    Quel ragazzo era Marco, figlio della vedova benestante Maria, che metteva a disposizione del Maestro la sua casa in Gerusalemme e l’annesso orto degli ulivi.
    Nella grande sala della loro casa, fu consumata l’Ultima Cena e lì si radunavano gli apostoli dopo la Passione e fino alla Pentecoste. Quello che è certo è che fu uno dei primi battezzati da Pietro, che frequentava assiduamente la sua casa e infatti Pietro lo chiamava in senso spirituale “mio figlio”.

    Discepolo degli Apostoli e martirio

    Nel 44 quando Paolo e Barnaba, parente del giovane, ritornarono a Gerusalemme da Antiochia, dove erano stati mandati dagli Apostoli, furono ospiti in quella casa; Marco il cui vero nome era Giovanni usato per i suoi connazionali ebrei, mentre il nome Marco lo era per presentarsi nel mondo greco-romano, ascoltava i racconti di Paolo e Barnaba sulla diffusione del Vangelo ad Antiochia e quando questi vollero ritornarci, li accompagnò.
    Fu con loro nel primo viaggio apostolico fino a Cipro, ma quando questi decisero di raggiungere Antiochia, attraverso una regione inospitale e paludosa sulle montagnae del Tauro, Giovanni Marco rinunciò spaventato dalle difficoltà e se ne tornò a Gerusalemme.
    Cinque anni dopo, nel 49, Paolo e Barnaba ritornarono a Gerusalemme per difendere i Gentili convertiti, ai quali i giudei cristiani volevano imporre la legge mosaica, per poter ricevere il battesimo.
    Ancora ospitati dalla vedova Maria, rividero Marco, che desideroso di rifarsi della figuraccia, volle seguirli di nuovo ad Antiochia; quando i due prepararono un nuovo viaggio apostolico, Paolo non fidandosi, non lo volle con sé e scelse un altro discepolo, Sila e si recò in Asia Minore, mentre Barnaba si spostò a Cipro con Marco.
    In seguito il giovane deve aver conquistato la fiducia degli apostoli, perché nel 60, nella sua prima lettera da Roma, Pietro salutando i cristiani dell’Asia Minore, invia anche i saluti di Marco; egli divenne anche fedele collaboratore di Paolo e non esitò di seguirlo a Roma, dove nel 61 risulta che Paolo era prigioniero in attesa di giudizio, l’apostolo parlò di lui, inviando i suoi saluti e quelli di “Marco, il nipote di Barnaba” ai Colossesi; e a Timoteo chiese nella sua seconda lettera da Roma, di raggiungerlo portando con sé Marco “perché mi sarà utile per il ministero”.
    Forse Marco giunse in tempo per assistere al martirio di Paolo, ma certamente rimase nella capitale dei Cesari, al servizio di Pietro, anch’egli presente a Roma. Durante gli anni trascorsi accanto al Principe degli Apostoli, Marco trascrisse, secondo la tradizione, la narrazione evangelica di Pietro, senza elaborarla o adattarla a uno schema personale, cosicché il suo Vangelo ha la scioltezza, la vivacità e anche la rudezza di un racconto popolare.
    Affermatosi solidamente la comunità cristiana di Roma, Pietro inviò in un primo momento il suo discepolo e segretario, ad evangelizzare l’Italia settentrionale; ad Aquileia Marco convertì Ermagora, diventato poi primo vescovo della città e dopo averlo lasciato, s’imbarcò e fu sorpreso da una tempesta, approdando sulle isole Rialtine (primo nucleo della futura Venezia), dove si addormentò e sognò un angelo che lo salutò: “Pax tibi Marce evangelista meus” e gli promise che in quelle isole avrebbe dormito in attesa dell’ultimo giorno.
    Secondo un’antichissima tradizione, Pietro lo mandò poi ad evangelizzare Alessandria d’Egitto, qui Marco fondò la Chiesa locale diventandone il primo vescovo.
    Nella zona di Alessandria subì il martirio, sotto l’imperatore Traiano (53-117); fu torturato, legato con funi e trascinato per le vie del villaggio di Bucoli, luogo pieno di rocce e asperità; lacerato dalle pietre, il suo corpo era tutta una ferita sanguinante.
    Dopo una notte in carcere, dove venne confortato da un angelo, Marco fu trascinato di nuovo per le strade, finché morì un 25 aprile verso l’anno 72, secondo gli “Atti di Marco” all’età di 57 anni; ebrei e pagani volevano bruciarne il corpo, ma un violento uragano li fece disperdere, permettendo così ad alcuni cristiani, di recuperare il corpo e seppellirlo a Bucoli in una grotta; da lì nel V secolo fu traslato nella zona del Canopo.

    Il Vangelo

    Il Vangelo scritto da Marco, considerato dalla maggioranza degli studiosi come “lo stenografo” di Pietro, va posto cronologicamente tra quello di s. Matteo (scritto verso il 40) e quello di s. Luca (scritto verso il 62); esso fu scritto tra il 50 e il 60, nel periodo in cui Marco si trovava a Roma accanto a Pietro.
    È stato così descritto: “Marco come fu collaboratore di Pietro nella predicazione del Vangelo, così ne fu pure l’interprete e il portavoce autorizzato nella stesura del medesimo e ci ha per mezzo di esso, trasmesso la catechesi del Principe degli Apostoli, tale quale egli la predicava ai primi cristiani, specialmente nella Chiesa di Roma”. 
    Il racconto evangelico di Marco, scritto con vivacità e scioltezza in ognuno dei sedici capitoli che lo compongono, seguono uno schema altrettanto semplice; la predicazione del Battista, il ministero di Gesù in Galilea, il cammino verso Gerusalemme e l’ingresso solenne nella città, la Passione, Morte e Resurrezione.
    Tema del suo annunzio è la proclamazione di Gesù come Figlio di Dio, rivelato dal Padre, riconosciuto perfino dai demoni, rifiutato e contraddetto dalle folle, dai capi, dai discepoli. Momento culminante del suo Vangelo, è la professione del centurione romano pagano ai piedi di Gesù crocifisso: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio”, è la piena definizione della realtà di Gesù e la meta cui deve giungere anche il discepolo. 

    Le vicende delle sue reliquie - Patrono di Venezia

    La chiesa costruita al Canopo di Alessandria, che custodiva le sue reliquie, fu incendiata nel 644 dagli arabi e ricostruita in seguito dai patriarchi di Alessandria, Agatone (662-680), e Giovanni di Samanhud (680-689).
    E in questo luogo nell’828, approdarono i due mercanti veneziani Buono da Malamocco e Rustico da Torcello, che s’impadronirono delle reliquie dell’Evangelista minacciate dagli arabi, trasferendole a Venezia, dove giunsero il 31 gennaio 828, superando il controllo degli arabi, una tempesta e l’arenarsi su una secca.
    Le reliquie furono accolte con grande onore dal doge Giustiniano Partecipazio, figlio e successore del primo doge delle Isole di Rialto, Agnello; e riposte provvisoriamente in una piccola cappella, luogo oggi identificato dove si trova il tesoro di San Marco. 
    Iniziò la costruzione di una basilica, che fu portata a termine nell’832 dal fratello Giovanni suo successore; Dante nel suo memorabile poema scrisse. “Cielo e mare vi posero mano”, ed effettivamente la Basilica di San Marco è un prodigio di marmi e d’oro al confine dell’arte. 
    Ma la splendida Basilica ebbe pure i suoi guai, essa andò distrutta una prima volta da un incendio nel 976, provocato dal popolo in rivolta contro il doge Candiano IV (959-976) che lì si era rifugiato insieme al figlio; in quell’occasione fu distrutto anche il vicino Palazzo Ducale. 
    Nel 976-978, il doge Pietro Orseolo I il Santo, ristrutturò a sue spese sia il Palazzo che la Basilica; l’attuale ‘Terza San Marco’ fu iniziata invece nel 1063, per volontà del doge Domenico I Contarini e completata nei mosaici e marmi dal doge suo successore, Domenico Selvo (1071-1084).
    La Basilica fu consacrata nel 1094, quando era doge Vitale Falier; ma già nel 1071 s. Marco fu scelto come titolare della Basilica e Patrono principale della Serenissima, al posto di s. Teodoro, che fino all’XI secolo era il patrono e l’unico santo militare venerato dappertutto.
    Le due colonne monolitiche poste tra il molo e la piazzetta, portano sulla sommità rispettivamente l’alato Leone di S. Marco e il santo guerriero Teodoro, che uccide un drago simile ad un coccodrillo.
    La cerimonia della dedicazione e consacrazione della Basilica, avvenuta il 25 aprile 1094, fu preceduta da un triduo di penitenza, digiuno e preghiere, per ottenere il ritrovamento delle reliquie dell’Evangelista, delle quali non si conosceva più l’ubicazione.
    Dopo la Messa celebrata dal vescovo, si spezzò il marmo di rivestimento di un pilastro della navata destra, a lato dell’ambone e comparve la cassetta contenente le reliquie, mentre un profumo dolcissimo si spargeva per la Basilica.
    Venezia restò indissolubilmente legata al suo Santo patrono, il cui simbolo di evangelista, il leone alato che artiglia un libro con la già citata scritta: “Pax tibi Marce evangelista meus”, divenne lo stemma della Serenissima, che per secoli fu posto in ogni angolo della città ed elevato in ogni luogo dove portò il suo dominio.
    San Marco è patrono dei notai, degli scrivani, dei vetrai, dei pittori su vetro, degli ottici; la sua festa è il 25 aprile, data che ha fatto fiorire una quantità di detti e proverbi. 

    Autore: Antonio Borrelli


25 APRILE Memoria del santo apostolo ed evangelista Marco.


VESPRO

Celebriamo degnamente, o fedeli, * lo scrittore delle parole ispirate * e grande patrono dell’Egitto, * gridando: * O sapiente Marco, * con i tuoi insegnamenti e la tua intercessione, * guidaci tutti, come apostolo, * alla vita senza tempeste.

Sei stato compagno di viaggio dello ‘strumento d’elezione’˚ * e con lui hai attraversato tutta la Macedonia; * giunto a Roma, sei divenuto gradito interprete di Pietro˚; * sei infine pervenuto al riposo * dopo aver degnamente lottato in Egitto, * o sapientissimo Marco.

Hai irrigato con le piogge luminose del vangelo * le anime riarse e inaridite; * perciò oggi, o divino Marco, * Alessandria gioiosamente festeggia con noi la tua memoria, * e con venerazione esalta le tue reliquie.

Altri prosómia. Stesso tono.

Ottimo Marco, * tu hai bevuto al torrente di delizie˚: * irrompi come dall’Eden, chiarissimo fiume di pace, * irrorando con i flutti del tuo annuncio evangelico il volto della terra˚, * irrigando le assemblee della Chiesa con dottrine ispirate.

O Marco ispirato, * Mosè un tempo ha sommerso nel mare gli egiziani˚, * ma tu, o sapientissimo, * li hai tratti dal mare dell’inganno, * con la potenza di colui che emigrò un giorno fra loro col corpo˚, * abbattendo a braccio alzato˚ * i loro idoli fatti da mano d’uomo.

O Marco sacratissimo, * a contatto con la luce dello Spirito * sei divenuto tutto spirituale; * e ora, o felicissimo, * deificato per adozione da perseveranti slanci verso il Sovrano * e da beatissime irradiazioni luminose, * hai trovato quanto avevi lungamente bramato, * il principio e il termine del mistero.

Gloria. Tono pl. 2.

La grazia è stata effusa sulle tue labbra˚, * o apostolo Marco, * e sei divenuto pastore della Chiesa di Cristo, * per insegnare alle pecore razionali * a credere nella Trinità con-sustanziale in Deità una.

Ora e sempre. Della festa.

Allo stico, stichirá prosómia dell’apostolo.

Tono 1. Martiri degni di ogni lode.

O Marco sapiente in Dio, * sei divenuto stilo di scriba sapiente * che scrive veloce˚, * per redigere, ispirato, il racconto dell’incarnazione di Cristo, * e chiaramente esporre le parole di eterna vita: * supplica che in essa siano iscritti quanti ti celebrano, * quanti onorano la tua gloriosa memoria.

Stico: Per tutta la terra è uscita la sua voce e sino ai confini del mondo le sue parole.

O Marco degno di ogni lode, * hai percorso la terra recando il vangelo, * dissipando, a guisa di sole, tutto il buio del politeismo * con gli splendori della fede. * Chiedi dunque per le anime nostre * il dono della pace e della grande misericordia˚.

Stico: I cieli narrano la gloria di Dio, e il firmamen¬to annuncia l’opera delle sue mani.

O apostolo Marco, * tu hai portato l’annuncio * là dove prima sovrabbondava la stoltezza dell’empietà, * fugando la tenebra dell’Egitto * con la luce delle tue parole, * o felicissimo araldo di Dio. * Chiedi dunque per le anime nostre * il dono della pace e della grande misericordia˚.

Gloria. Tono pl. 4.

Venite, esaltiamo tutti con salmi ed inni Marco, * araldo della celeste mistagogia * e ministro del vangelo. * Egli si è infatti rivelato fiume del paradiso spirituale˚, * irrigando con le celesti piogge i solchi delle anime * e rendendole fertili per il Cristo Dio, * il quale, per la sua intercessione, * a tutti dona il perdono e la grande misericordia˚.

Ora e sempre. Della festa. Apolytíkion. Tono 3.

Santo apostolo ed evangelista Marco, * intercedi presso il Dio misericordioso * perché conceda alle anime nostre * la remissione delle colpe.

ORTHROS

Káthisma del santo.

Tono 1. I soldati a guardia della tua tomba.

Asceso alla vetta delle virtú, o divino Marco, * hai fatto risuonare per noi grandi misteri di salvifiche dottrine, * divenuto araldo di Dio. * Con fede, dunque, noi ti imploriamo, * o beatissimo, * di liberarci da ogni tribolazione, * da peccati e pericoli.

Gloria. Un altro. Tono 4. Ti sei manifestato oggi.

Avendoti come grande astro, o glorioso, * rischiarata dai raggi dei tuoi insegnamenti, * la Chiesa a te grida: * Gioisci, o beatissimo apostolo del Signore.

Ora e sempre. Della festa.

Kondákion. Tono 2. Cercando le cose dell’alto.

Ricevuta dall’alto la grazia dello Spirito, * hai sciolto i sofismi intricati dei rètori, * o apostolo, * e, prese nella rete tutte le genti, * o Marco celebrato, * le hai condotte al tuo Sovrano, * con l’annuncio del divino vangelo.

Ikos. Rendi chiara la mia lingua.

Divenuto discepolo del corifeo degli apostoli, * con lui hai annunciato il Cristo Figlio di Dio, * confermando sulla roccia della verità * quanti barcollavano nell’errore. * Su di essa conferma anche me, * e guida i passi della mia anima, * affinché, liberato dai lacci del nemico, * ti dia gloria senza impedimento, * perché tu hai illuminato tutti, * o Marco sapiente, * con l’annuncio del divino vangelo.

Un altro. Tono 4. Presto intervieni.

Compagno di viaggio di Pietro, * e con lui sacro ministro del Verbo, * sei divenuto anche sapiente vate, * o apostolo. * Hai cosí messo per iscritto * il divino vangelo del Salvatore, * quale celeste iniziato, o Marco. * Noi dunque, o evangelista, * ti onoriamo con amore.

Sinassario.

Il 25 dello stesso mese, memoria del santo apostolo ed evangelista Marco.

Per l’intercessione del tuo santo, o Cristo Dio, abbi pietà di noi e salvaci. Amen.

Canone del santo. Tono 1.

Ode 9. Irmós.

Il roveto ardente che non si consumava˚ ci ha mostrato una figura del tuo parto puro. * Estingui ora, ti preghiamo, * la fornace delle tentazioni * che infuria contro di noi, * affinché, o Madre-di-Dio, * incessantemente ti magnifichiamo˚.

Tropari.

Giunto all’irraggiungibile sorgente * della luce trisolare, * o divino vate, * piú puramente e chiaramente godi * della deificazione che trascendente ogni comprensione, * in incessante danza con gli angeli, * o sacratissimo.

Compagno di Pietro * nell’insegnamento e nel divino annuncio, * con lui vivi nelle celesti tende, * o beato dal divino parlare; * e con lui tu intercedi per noi, * o apostolo Marco.

Hai proclamato con tutta pietà, * o Marco sapientissimo, * illuminato dal fulgore della grazia, * la luce triplicemente unificata, * e unitariamente triplice, in modo straordinario. * Noi dunque ti imploriamo: * prega sempre per noi.

Theotokíon.

Marco, il venerabile apostolo, * è stato dato come pontefice agli egiziani, * tra i quali era emigrato come bambino, * incarnato dalla pura Vergine Madre-di-Dio, * il Signore della gloria˚, * che noi magnifichiamo e celebriamo.

Katavasía. Illúminati, illúminati.

Exapostilárion. O Verbo, luce immutabile.

Tu, ricco dell’adozione a figlio da parte dell’apostolo Pietro, * per questo, primo tra tutti, * hai redatto per gli egiziani, o Marco, * il vangelo col quale illumini il mondo.

E della festa.

Alle lodi, stichirá prosómia dell’apostolo.

Tono 1. Martiri degni di ogni lode.

Il fulgido luminare d’Egitto, * il nobilissimo Marco, * sapientissimo annunciatore del Verbo, * divino redattore del vangelo, * sia oggi da noi esaltato con canti * e con melodie divine: * egli infatti intercede per noi presso Cristo * perché siano donate alle anime nostre * la pace e la grande misericordia˚.

Divenuto scrittore delle divine dottrine di Cristo, * hai illuminato tutta la terra, * annunciando la sua incarnazione, * la divina passione, l’augusta risurrezione, * e l’ascensione al Padre, * o sapientissimo, * attirando cosí le genti, o apostolo, * alla conoscenza della verità.

Docile seguace del divino Pietro, * o Marco apostolo del Signore, * tu, o sapientissimo, * persuadendo con le dottrine di lui, * hai illuminato i popoli con la grazia del santo Spirito, * e rischiarando la mente degli egiziani, * hai messo ordine anche nella loro città.

Gloria. Tono pl. 2.

La grazia è stata effusa sulle tue labbra˚, * o apostolo Marco, * e sei divenuto pastore della Chiesa di Cristo, * per insegnare alle pecore razionali * a credere nella Trinità consustanziale in Deità una.

Ora e sempre. Della festa.

Quindi il resto come di consueto e il congedo.

lunedì 23 aprile 2012

San Giorgio: un culto universale


La devozione popolare del Santo è una delle più radicate da Oriente ad Occidente
                                                                 di Pietro Barbini

ROMA, lunedì, 23 aprile 2012 (ZENIT.org) – Ricorre oggi la memoria liturgica di San Giorgio martire, il “Santo guerriero” rispettato e venerato come profeta dai musulmani e nei riti siri e bizantini, “megalomartire” per la Chiesa Russa ortodossa, patrono di Inghilterra, Portogallo, Lituania, Etiopia e Georgia e protettore della Catalogna e dei Rom.
Nel 1952 fu dichiarato patrono della Cavalleria militare di Francia, nel 1956 della Cavalleria d’Italia e dello Scautismo internazionale e nel 1996 delle "Guardie Particolari Giurate".
Il suo nome è invocato contro i serpenti velenosi, la peste, la lebbra e la sifilide e, nei paesi slavi, contro le streghe. Il culto è attestato a partire dal IV secolo, ne sono prova le numerosissime chiese a lui dedicate in Medio Oriente, Africa ed Europa.
Solo in Italia 21 comuni portano il suo nome e sono centinaia le città di cui è il Santo protettore, tra le quali Ferrara, Reggio Calabria e Campobasso. A Venezia gli sono dedicate ben 2 isole, San Giorgio Maggiore e San Giorgio in Alga, dove nel 1397 venne fondato l'ordine dei Canonici Regolari, nel quale si formarono i futuri papi Eugenio IV e Gregorio XII e san Lorenzo Giustiniani.
Nei secoli l’esistenza del Santo fu più volte messa in discussione, e tutt’ora i suoi detrattori lo classificano come una semplice leggenda cristiana, senza alcuna valenza storica. In realtà, nonostante il voluto mistero sulla sua storicità, esistono molti documenti che attestano l’esistenza di San Giorgio. Tra questi si è soliti citare, per le informazioni relative alla vita e al martirio, la Passio Georgii, un’opera biografica considerata apocrifa dal Decretum gelasianum del 496.
In realtà questa non è l’unica fonte: il testo più antico, infatti, è un’epigrafe greca del 368, rinvenuta in Eacea di Batanea, che ricorda una “casa dei santi e trionfanti martiri Giorgio e Compagni”. Esistono poi molte altre Passiones greche, latine e orientali, che narrano la vita, i miracoli e il martirio del santo, e innumerevoli omelie, inni e lodi, in particolare il sermone di San Pier Damiani e la Legenda sanctorum delfrate domenicano Jacopo da Varazze, arcivescovo di Genova.
Un altro avvenimento importante, di cui gli storici non hanno fatto menzione, sono gli esami scientifici sulle ossa del Santo, compiuti dall’Istituto di Antropologia dell’Università di Bologna, che hanno confermato l’esistenza di “un giovane poco più che ventenne, alto 1,65-67 mt, del periodo paleocristiano”, un risultato che confermerebbe inequivocabilmente la sua esistenza.
Da questi documenti sappiamo che San Giorgio nacque in Cappadocia nell’anno 282-83, da una nobile famiglia e che ebbe un’educazione cristiana. Dopo la morte dei genitori si trasferì in Palestina, arruolandosi nell’esercito dell’imperatore Diocleziano dove, grazie al valore dimostrato, ebbe importanti riconoscimenti fino a diventare ufficiale delle sue milizie.
Sempre sotto Diocleziano, subì il martirio nel 303 dopo essersi professato cristiano. Si racconta che l’imperatore consegnò San Giorgio a Daciano, re dei persiani, il quale lo sottopose ad ogni forma di tortura possibile: percosse, ustione, smembramento. Patì indicibili sofferenze alle quali resistette con coraggio e fede, resuscitando da morte per ben tre volte, come gli predisse il Signore apparsogli in carcere.
Prima di morire definitivamente per decapitazione chiese a Dio la conversione dei suoi carnefici e lo implorò di concedere protezione a chi avesse invocato il suo nome. Si racconta anche delle numerose conversioni avvenute nel corso del suo martirio, di soldati, ufficiali e, addirittura, della moglie di Daciano.
Moltissimi miracoli, prima e dopo morte, furono operati da San Giorgio, come quando fece fiorire e fruttificare 22 sedie di legno, o quando entrò in un tempio pagano distruggendo gli idoli di pietra presenti con il soffio del suo alito. Si dice poi che risuscitò diciassette persone, tra cui 2 morte da 460 anni, che battezzò e fece poi sparire. Le sue reliquie si trovano in una cripta sotto la chiesa di rito Geco-Ortodosso a Lydda, in Israle.
In modo particolare, il Santo è noto per la leggenda con il drago, postuma la sua morte, sorta al tempo delle Crociate e influenzata probabilmente da una falsa interpretazione di un'immagine dell'imperatore cristiano Costantino, in cui il sovrano schiacciava col piede un enorme drago.
Nel Medioevo, la leggenda divenne il simbolo della lotta del bene contro il male, che il mondo della cavalleria fece proprio, in quanto rispecchiava appieno i loro principi e valori. La fantasia popolare poi, nel corso dei secoli, ha ricamato a lungo le sue gesta, e nel tempo sono sorte una serie di leggende e miti sull’uccisione di ulteriori draghi, come in Istria.
Si narra, infine, che il santo apparve ai crociati, soprattutto nei momenti più difficili - come ad esempio la sanguinosa battaglia di Antiochia nel 1089 - guidandoli alla vittoria. Oggigiorno, in molte città, il santo viene festeggiato con solenni processioni e vere e proprie sagre paesane.





VITA DI S.GIORGIO,GRANDE MARTIRE


Cappadocia sec. III - † Lydda (Palestina), 303 ca.

Giorgio, il cui sepolcro è a Lidda (Lod) presso Tel Aviv in Israele, venne onorato, almeno dal IV secolo, come martire di Cristo in ogni parte della Chiesa. La tradizione popolare lo raffigura come il cavaliere che affronta il drago, simbolo della fede intrepida che trionfa sulla forza del maligno. La sua memoria è celebrata in questo giorno anche nei riti siro e bizantino. (Mess. Rom.)
Patronato: Arcieri, Cavalieri, Soldati, Scout, Esploratori/Guide AGESCI
Etimologia: Giorgio = che lavora la terra, dal greco
Emblema: Drago, Palma, Stendardo
Martirologio Romano: San Giorgio, martire, la cui gloriosa lotta a Diospoli o Lidda in Palestina è celebrata da tutte le Chiese da Oriente a Occidente fin dall’antichità. Per avere un’idea del diffusissimo culto che il santo cavaliere e martire Giorgio, godé in tutta la cristianità, si danno alcuni dati. Nella sola Italia vi sono ben 21 Comuni che portano il suo nome; Georgia è il nome di uno Stato americano degli U.S.A. e di una Repubblica caucasica; sei re di Gran Bretagna e Irlanda, due re di Grecia e altri dell’Est europeo, portarono il suo nome.

È patrono dell’Inghilterra, di intere Regioni spagnole, del Portogallo, della Lituania; di città come Genova, Campobasso, Ferrara, Reggio Calabria e di centinaia di altre città e paesi. Forse nessun santo sin dall’antichità ha riscosso tanta venerazione popolare, sia in Occidente che in Oriente; chiese dedicate a s. Giorgio esistevano a Gerusalemme, Gerico, Zorava, Beiruth, Egitto, Etiopia, Georgia da dove si riteneva fosse oriundo; a Magonza e Bamberga vi erano delle basiliche; a Roma vi è la chiesa di S. Giorgio al Velabro che custodisce la reliquia del cranio del martire palestinese; a Napoli vi è la basilica di S. Giorgio Maggiore; a Venezia c’è l’isola di S. Giorgio.

Vari Ordini cavallereschi portano il suo nome e i suoi simboli, fra i più conosciuti: l’Ordine di S. Giorgio, detto “della Giarrettiera”; l’Ordine Teutonico, l’Ordine militare di Calatrava d’Aragona; il Sacro Ordine Costantiniano di S. Giorgio, ecc.

È considerato il patrono dei cavalieri, degli armaioli, dei soldati, degli scouts, degli schermitori, della Cavalleria, degli arcieri, dei sellai; inoltre è invocato contro la peste, la lebbra e la sifilide, i serpenti velenosi, le malattie della testa, e particolarmente nei paesi alle pendici del Vesuvio, contro le eruzioni del vulcano.

Il suo nome deriva dal greco ‘ghergós’ cioè ‘agricoltore’ e lo troviamo già nelle ‘Georgiche’ di Virgilio e fu portato nei secoli da persone celebri in tutti i campi, oltre a re e principi, come Washington, Orwell, Sand, Hegel, Gagarin, De Chirico, Morandi, il Giorgione, Danton, Vasari, Byron, Simenon, Bernanos, Bizet, Haendel, ecc.

In Italia è diffuso anche il femminile Giorgia, Giorgina; in Francia è Georges; in Inghilterra e Stati Uniti, George; Jörg e Jürgens in Germania; Jorge in Spagna e Portogallo; Gheorghe in Romania; Yorick in Danimarca; Yuri in Russia. La Chiesa Orientale lo chiama il “Megalomartire” (il grande martire).

Detto tutto questo, si può capire come il suo culto così diffuso in tutti i secoli, abbia di fatto superato le perplessità sorte in seno alla Chiesa, che in mancanza di notizie certe e comprovate sulla sua vita, nel 1969 lo declassò nella liturgia ad una memoria facoltativa; i fedeli di ogni luogo dove è venerato, hanno continuato comunque a tributargli la loro devozione millenaria.

La sua figura è avvolta nel mistero, da secoli infatti gli studiosi cercano di stabilire chi veramente egli fosse, quando e dove sia vissuto; le poche notizie pervenute sono nella “Passio Georgii” che il ‘Decretum Gelasianum’ del 496, classifica tra le opere apocrife (supposte, non autentiche, contraffatte); inoltre in opere letterarie successive, come “De situ terrae sanctae” di Teodoro Perigeta del 530 ca., il quale attesta che a Lydda (Diospoli) in Palestina, oggi Lod presso Tel Aviv in Israele, vi era una basilica costantiniana, sorta sulla tomba di san Giorgio e compagni, martirizzati verosimilmente nel 303, durante la persecuzione di Diocleziano (detta basilica era già meta di pellegrini prima delle Crociate, fino a quando il sultano Saladino (1138-1193) la fece abbattere).

La notizia viene confermata anche da Antonino da Piacenza (570 ca.) e da Adamnano (670 ca) e da un’epigrafe greca, rinvenuta ad Eraclea di Betania datata al 368, che parla della “casa o chiesa dei santi e trionfanti martiri Giorgio e compagni”.

I documenti successivi, che sono nuove elaborazioni della ‘passio’ leggendaria sopra citata, offrono notizie sul culto, ma sotto l’aspetto agiografico non fanno altro che complicare maggiormente la leggenda, che solo tardivamente si integra dell’episodio del drago e della fanciulla salvata da s. Giorgio.

La ‘passio’ dal greco, venne tradotta in latino, copto, armeno, etiopico, arabo, ad uso delle liturgie riservate ai santi; da essa apprendiamo come già detto senza certezze, che Giorgio era nato in Cappadocia ed era figlio di Geronzio persiano e Policronia cappadoce, che lo educarono cristianamente; da adulto divenne tribuno dell’armata dell’imperatore di Persia Daciano, ma per alcune recensioni si tratta dell’armata di Diocleziano (243-313) imperatore dei romani, il quale con l’editto del 303, prese a perseguitare i cristiani in tutto l’impero.

Il tribuno Giorgio di Cappadocia allora distribuì i suoi beni ai poveri e dopo essere stato arrestato per aver strappato l’editto, confessò davanti al tribunale dei persecutori, la sua fede in Cristo; fu invitato ad abiurare e al suo rifiuto, come da prassi in quei tempi, fu sottoposto a spettacolari supplizi e poi buttato in carcere. Qui ha la visione del Signore che gli predice sette anni di tormenti, tre volte la morte e tre volte la resurrezione.

E qui la fantasia dei suoi agiografi, spazia in episodi strabilianti, difficilmente credibili: vince il mago Atanasio che si converte e martirizzato; viene tagliato in due con una ruota piena di chiodi e spade; risuscita operando la conversione del ‘magister militum’ Anatolio con tutti i suoi soldati che vengono uccisi a fil di spada; entra in un tempio pagano e con un soffio abbatte gli idoli di pietra; converte l’imperatrice Alessandra che viene martirizzata; l’imperatore lo condanna alla decapitazione, ma Giorgio prima ottiene che l’imperatore ed i suoi settantadue dignitari vengono inceneriti; promette protezione a chi onorerà le sue reliquie ed infine si lascia decapitare.

Il culto per il martire iniziò quasi subito, come dimostrano i resti archeologici della basilica eretta qualche anno dopo la morte (303?) sulla sua tomba nel luogo del martirio (Lydda); la leggenda del drago comparve molti secoli dopo nel Medioevo, quando il trovatore Wace (1170 ca.) e soprattutto Jacopo da Varagine († 1293) nella sua “Leggenda Aurea”, fissano la sua figura come cavaliere eroico, che tanto influenzerà l’ispirazione figurativa degli artisti successivi e la fantasia popolare.

Essa narra che nella città di Silene in Libia, vi era un grande stagno, tale da nascondere un drago, il quale si avvicinava alla città, e uccideva con il fiato quante persone incontrava. I poveri abitanti gli offrivano per placarlo, due pecore al giorno e quando queste cominciarono a scarseggiare, offrirono una pecora e un giovane tirato a sorte.

Un giorno fu estratta la giovane figlia del re, il quale terrorizzato offrì il suo patrimonio e metà del regno, ma il popolo si ribellò, avendo visto morire tanti suoi figli, dopo otto giorni di tentativi, il re alla fine dovette cedere e la giovane fanciulla piangente si avviò verso il grande stagno.

Passò proprio in quel frangente il giovane cavaliere Giorgio, il quale saputo dell’imminente sacrificio, tranquillizzò la principessina, promettendole il suo intervento per salvarla e quando il drago uscì dalle acque, sprizzando fuoco e fumo pestifero dalle narici, Giorgio non si spaventò, salì a cavallo e affrontandolo lo trafisse con la sua lancia, ferendolo e facendolo cadere a terra.

Poi disse alla fanciulla di non avere paura e di avvolgere la sua cintura al collo del drago; una volta fatto ciò, il drago prese a seguirla docilmente come un cagnolino, verso la città. Gli abitanti erano atterriti nel vedere il drago avvicinarsi, ma Giorgio li rassicurò dicendo: ”Non abbiate timore, Iddio mi ha mandato a voi per liberarvi dal drago: Abbracciate la fede in Cristo, ricevete il battesimo e ucciderò il mostro”.

Allora il re e la popolazione si convertirono e il prode cavaliere uccise il drago facendolo portare fuori dalla città, trascinato da quattro paia di buoi. La leggenda era sorta al tempo delle Crociate, influenzata da una falsa interpretazione di un’immagine dell’imperatore cristiano Costantino, trovata a Costantinopoli, dove il sovrano schiacciava col piede un drago, simbolo del “nemico del genere umano”.

La fantasia popolare e i miti greci di Perseo che uccide il mostro liberando la bella Andromeda, elevarono l’eroico martire della Cappadocia a simbolo di Cristo, che sconfigge il male (demonio) rappresentato dal drago. I crociati accelerarono questa trasformazione del martire in un santo guerriero, volendo simboleggiare l’uccisione del drago come la sconfitta dell’Islam; e con Riccardo Cuor di Leone (1157-1199) san Giorgio venne invocato come protettore da tutti i combattenti.

Con i Normanni il culto del santo orientale si radicò in modo straordinario in Inghilterra e qualche secolo dopo nel 1348, re Edoardo III istituì il celebre grido di battaglia “Saint George for England”, istituendo l’Ordine dei Cavalieri di San Giorgio o della Giarrettiera.
In tutto il Medioevo la figura di s. Giorgio, il cui nome aveva tutt’altro significato, cioè ‘agricoltore’, divenne oggetto di una letteratura epica che gareggiava con i cicli bretone e carolingio. Nei Paesi slavi assunse la funzione addirittura ‘pagana’ di sconfiggere le tenebre dell’inverno, simboleggiate dal drago e quindi di favorire la crescita della vegetazione in primavera; una delle tante metamorfosi leggendarie di quest’umile martire, che volle testimoniare in piena libertà, la sua fede in Cristo, soffrendo e donando infine la sua giovane vita, come fecero in quei tempi di sofferenza e sangue, tanti altri martiri di ogni età, condizione sociale e in ogni angolo del vasto impero romano.
San Giorgio è onorato anche dai musulmani, che gli diedero l’appellativo di ‘profeta’. Enrico Pepe sacerdote, nel suo volume ‘Martiri e Santi del Calendario Romano’, conclude al 23 aprile giorno della celebrazione liturgica di s. Giorgio, con questa riflessione: “Forse la funzione storica di questi santi avvolti nella leggenda è di ricordare al mondo una sola idea, molto semplice ma fondamentale, il bene a lungo andare vince sempre il male e la persona saggia, nelle scelte fondamentali della vita, non si lascia mai ingannare dalle apparenze”.

Vita dei Santi e Beati ,Autore: Antonio Borrelli




domenica 22 aprile 2012


Si lironjes i shklavevet e i te vapkjevet ndihmetar , i te semurevet jatrua, i rregjeravet perluftar, o  flamuar i mundesis deshmòr i Math o i Shen Gjekje, lutu ti Krishtit Perendi te na ruanje shpirtrat t'ane.
23 APRILE Memoria del santo e glorioso megalomartire Giorgio, il trionfatore.

VESPRO

Dopo il salmo introduttivo e la prima stasi di Beato l’uomo (ss. 1-8), al Signore, ho gridato, stichirá prosómia del santo.

Tono 4. Aftómelon.

Come generoso fra i martiri, * noi oggi riuniti ti acclamiamo, * o Giorgio vittorioso: * perché hai compiuto la corsa, * hai conservato la fede˚, * e hai ricevuto da Dio la corona della vittoria: * pregalo di liberare dalla corruzione e dai pericoli * quanti celebrano con fede * la tua memoria sempre venerabile.

Con animo coraggioso, * ti sei fiduciosamente gettato nella lotta, * come un leone, o glorioso, * trascurando il corpo che dovrà corrompersi, * dandoti piuttosto sapiente cura * dell’anima incorruttibile. * Da molte speci di pene sei stato provato, * o Giorgio, * come oro purificato sette volte.

Hai patito col Salvatore, * e con la morte, o glorioso, * volontariamente ne hai imitato la morte: * per questo con lui regni sfolgorante, * avendo rivestito la splendente porpora del tuo sangue, * adorno dello scettro delle tue lotte * e insigne per la corona della vittoria, * per i secoli senza fine, * o megalomartire Giorgio.

Stringendoti alla corazza della fede˚, * allo scudo della grazia * e alla lancia della croce, * sei divenu¬to, Giorgio, * imprendibile per gli avversari, * e come principe divino, * messe in rotta le falangi dei demoni, * fai coro insieme agli angeli; * e ricolmando i fedeli di cure, * li santifichi e li salvi * quando vieni invocato.

Ti riconosciamo astro dalla luce copiosa, * splendente nel firmamento come sole, * ti acclamiamo perla preziosissima, * pietra rilucente, * figlio del giorno˚, * generoso fra i martiri, * difensore dei fedeli nei pericoli: * e celebriamo la tua memoria, * o Giorgio trionfatore.

Quando navigo nel mare, * quando cammino per la via, * quando dormo nella notte, * custodiscimi; * quando sono desto, salvami, * beatissimo Giorgio, * e guidami a fare la volontà del Signore, * affinché nel giorno del giudizio io, * che mi rifugio sotto la tua protezione, * trovi il perdono per quanto avrò commesso in vita.

Gloria. Tono pl. 2.

Hai vissuto in modo degno del tuo nome, * soldato Giorgio55 ; * infatti, prendendo sulle spalle la croce di Cristo, * hai lavorato con arte la terra * resa desolata dall’inganno diabolico, * e, sradicato il culto degli idoli pieno di spine, * hai piantato il tralcio della fede ortodossa. * Perciò tu fai sgorgare guarigioni * per i fedeli di tutta la terra, * e sei divenuto giusto agricoltore della Triade. * Intercedi, ti preghiamo, * per la pace del mondo * e la salvezza delle anime nostre.

Ora e sempre. Della festa corrente.

Ingresso, Luce gioiosa, il prokímenon del giorno e le letture.

Lettura della profezia di Isaia (43,9-14).

Cosí dice il Signore: Tutte le genti si sono riunite insieme, e si riuniranno dei capi di mezzo a loro. Chi proclamerà fra loro queste cose, o chi vi farà udire ciò che è sin dal principio? Producano i loro testimoni, si giustifichino e dicano il vero. Siate miei testimoni: e anch’io, il Signore Dio, sono testimone, insieme al servo che mi sono scelto, affinché conosciate, crediate in me, e comprendia¬te che Io Sono. Prima di me non ci fu altro Dio, né ci sarà dopo. Io sono Dio, e non c’è salvatore all’infuori di me. Io ho proclamato e ho salvato; io ho rimproverato, e non c’era fra voi dio straniero: voi siete miei testimoni, e io sono il Signore Dio. Dal principio io sono, e non c’è chi sfugga dalle mie mani; io agirò, e chi lo impedirà? Cosí dice il Signore Dio, colui che vi redime, il santo d’Israele.

Lettura del libro della Sapienza di Salomone (3,1-9).

Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, e nessun tormento può toccarle. Parve agli occhi degli stolti che moris¬sero, e fu considerato un danno il loro esodo, e una rovina la loro dipartita: ma essi sono nella pace. Infatti, anche se agli occhi degli uomini vengono castigati, la loro speranza è piena di immortalità. Un poco corretti, riceveranno grandi benefici, perché Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé.

Come oro nel crogiuolo li ha saggiati, e come olocausto li ha accettati. Nel tempo in cui saranno visitati risplenderanno, e correranno qua e là come scintille nella stoppia. Giudicheranno genti e domineranno popoli, e regnerà su di loro il Signore per sempre. Quelli che confidano in lui comprende¬ranno la verità, e coloro che sono fedeli nell’amore dimoreranno presso di lui: perché grazia e misericordia sono per i suoi santi, ed egli visita i suoi elet¬ti.

Lettura del libro della Sapienza di Salomone (5,15-6,3).

I giusti vivono in eterno, la loro mercede è nel Signore e l’Altissimo si prende cura di loro. Per questo riceveranno il nobile regno e lo splendido diadema dalla mano del Signo¬re, poiché egli con la sua destra li copre e col suo braccio li protegge. Prenderà come armatura la sua gelosia e armerà la creazione per far vendetta dei nemici. Rivestirà la corazza della giustizia e cingerà come elmo un giudizio verace. Prenderà come scudo invincibile la santità; aguzzerà come spada la sua collera severa: il mondo combatterà insieme con lui contro gli insensati.

Scoccheranno gli infallibili dardi dei fulmini, e come da un arco ben teso, dalle nubi voleranno al bersaglio, e dalla fionda saranno scagliati chicchi di grandine pieni di furore. Infurierà contro di loro l’acqua del mare, i fiumi li sommergeranno senza pietà. Si leverà contro di loro un vento impetuoso e li disperderà come un uragano. L’iniquità renderà deserta tutta la terra e le cattive azioni rovesceranno il trono dei potenti. Ascoltate dunque, o re, e comprendete; imparate, giudici dei confini della terra; porgete l’orecchio, voi che dominate le moltitudini e che vi gloria¬te del gran numero dei vostri popoli: il vostro potere vi è stato dato dal Signore, e la vostra sovranità dall’Altissimo.

Allo stico, stichirá prosómia del santo.

Tono 4. Tu che sei stato chiamato dall’Altissimo.

Celebrano i popoli con canti e inni * la tua memoria ovunque celebrata, o Giorgio: * nobile e luminosa ha infatti brillato, * adorna di gloria e grazia multiformi; * per questo anche le angeliche schiere tripudiano. * Applaudono i martiri insieme agli apostoli * per i trofei delle tue lotte, o martire, * e celebrano il Salvatore, * Cristo Dio nostro, che ti ha glorificato: * e tu pregalo di salvare e illuminare * le anime nostre.

Stico: Il giusto fiorirà come palma, si moltiplicherà come cedro del Libano.

Rivestito dell’armatura di Cristo, o Giorgio˚, * sei stato trovato da quanti non ti cercavano, * acceso di zelo per Cristo; * e coprendo di scherno la seduzione distruttrice degli dèi vani, * gridavi agli empi: * Io milito per il Cristo mio Re, * per questo né belve, né ruote, né fuoco, né spada * possono separarmi dall’amore del Cristo Dio nostro˚. * Pregalo dunque di salvare e illuminare * le anime nostre.

Stico: Per i santi che sono nella sua terra, il Signore ha reso mirabili, in loro, tutte le sue volontà.

Disprezzando i molteplici strumenti di tortura, * gli svariati tormenti e la terribile catapulta, * o Giorgio coronato, * hai compiuto come martire * la corsa della vita pia. * Perciò noi intrecciamo per la tua fulgidissima memoria * ghirlande fiorite di canti, * e baciamo con fede le tue venerabili reliquie. * Tu che, tutto luminoso, * stai davanti al trono del Cristo Dio nostro, * supplicalo di salvare e illuminare * le anime nostre.

Gloria. Tono 4. Dello Studita.

Acclamiamo spiritualmente, fratelli, * l’acciaio spiri¬tu¬ale della costanza, * il celebrato martire Giorgio, * che i pericoli hanno foggiato, * ardente per Cristo, * e i tormenti hanno temprato, * mentre pene multi¬formi ne hanno consumato il corpo, * per natura corruttibile: * l’amore vinceva infatti la natura, * persua¬dendo l’amante a passare, tramite la morte, * all’amato Cristo Dio, * Salvatore delle anime nostre.

Ora e sempre. Della festa. Apolytíkion. Tono 4.

Come liberatore dei prigionieri, * protettore dei poveri, * medico degli infermi, * difensore dei re, * o megalomartire Giorgio trionfatore, * intercedi presso il Cristo Dio * per la salvezza delle anime nostre.