Quella odierna è la cosiddetta “domenica di Tommaso”,
il discepolo assente alla prima apparizione di Gesù risorto e rimasto incredulo nonostante la testimonianza dei suoi fratelli. Ora, quando il Risorto si manifesta per la seconda volta, è presente e giunge a credere pienamente, come dimostra la sua straordinaria confessione di fede, che lo porta a invocare Gesù quale “mio Signore e mio Dio”.
Ma Tommaso non va considerato il tipo del discepolo indegno, l’esempio dell’accanito incredulo contro cui puntare il dito accusatore – come hanno fatto e tuttora fanno alcuni predicatori –; egli è piuttosto colui che riassume e rappresenta in sé il faticoso cammino attraverso il quale i discepoli sono giunti alla fede pasquale. Sì, la fede pasquale non è il frutto di un’esaltazione religiosa o psicologica a basso prezzo, ma è una vittoria di Gesù risorto sui dubbi che paralizzano i suoi discepoli e amici! In altre parole, il vangelo odierno vuole indicare a noi un itinerario per giungere a credere, qui e ora, a colui che viene e resta in mezzo a noi, offrendoci la sua pace e donandoci lo Spirito santo; e questo, in particolare, quando siamo riuniti nell’assemblea liturgica, massima epifania della comunità cristiana.
Nei giorni successivi alla morte in croce di Gesù, i discepoli si trovano in casa, “a porte chiuse, per timore dei giudei”, e tuttavia è possibile scorgere in loro un’attesa, suscitata dall’annuncio di Maria di Magdala che ha sconvolto i loro cuori: “Ho visto il Signore!” (Gv 20,18). Gesù prende dunque l’iniziativa e si manifesta loro occupando il posto centrale, quello del Signore veniente; egli mette nei loro cuori impauriti la pace – “Pace a voi!” – e, nel contempo, mostra loro i segni della sua passione e morte: le mani e i piedi trapassati dai chiodi che lo tenevano appeso alla croce, il costato trafitto dal colpo di lancia. Gesù è vivo, è certamente “il Primo, l’Ultimo e il Vivente, colui che era morto ma ora vive per sempre” (cf. Ap 1,17-18); ma il suo aver sofferto fino alla morte non può essere cancellato, e per questo i segni della passione restano indelebili, ben visibili nel suo corpo trasfigurato dalla resurrezione. Alitando poi sui discepoli, con un gesto che denota una nuova creazione (cf. Gen 2,7), il Risorto comunica loro lo Spirito santo e li abilita all’unica missione veramente essenziale: rimettere i peccati, perdonare in nome di Dio, riconciliare tutti gli uomini.
Il quarto vangelo potrebbe chiudersi qui; a questa manifestazione del Risorto manca però Tommaso…Ed ecco che “otto giorni dopo”, dunque nello stesso giorno, il primo della settimana, il giorno del Signore, Gesù si manifesta di nuovo ai discepoli. Questa volta anche Tommaso è presente, è nuovamente unito a quella comunità rinnovata dallo Spirito del Risorto e capace di annunciare la resurrezione; ma è proprio a questo annuncio che egli si era rifiutato di credere: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò”. Tommaso non si fida dei suoi fratelli, vuole avere un rapporto immediato e diretto con il Signore; il vero nome di tale atteggiamento è incredulità, ma ad essa Tommaso non soccombe. Posto infatti davanti a Gesù che lo invita a contemplarlo attraverso i segni della morte: “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato, e non essere più incredulo ma credente”, egli giunge a comprendere, si inginocchia davanti al Risorto per adorarlo e grida: “Mio Signore e mio Dio!”. Il credente ebreo riservava questi appellativi solo a Dio, appunto, ma Tommaso ora li indirizza a Gesù: siamo di fronte alla più alta confessione di fede in Gesù di tutto il Nuovo Testamento…
È faticoso giungere alla fede nella resurrezione, e Tommaso ce lo mostra bene: egli non ha avuto bisogno di “mettere il dito”, eppure ha dovuto vedere con i suoi occhi; ma è grazie a lui se Gesù può pronunciare l’ultima beatitudine: “Beati quelli che pur non avendo visto crederanno!”. I destinatari di queste parole sono tutti i lettori del vangelo, dunque anche noi, chiamati a sperimentare la beatitudine di chi vede Gesù con gli occhi della comunità cristiana, radunata nel giorno del Signore, la domenica, e in ascolto della Parola di Dio contenuta nelle Sante Scritture dell’Antico e del Nuovo Testamento. Ecco dove si incontra il Signore Risorto, perché la resurrezione è esperienza di fede che riposa su un annuncio capace di raggiungerci attraverso la predicazione ecclesiale e la testimonianza di quanto è stato scritto nei libri santi, al fine di suscitare la fede di chi li legge e li medita. Si comprendono dunque le parole con cui, a questo punto, il vangelo può finalmente concludersi: “Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome”. Enzo Bianchi Priore di Bose
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