venerdì 24 maggio 2013

Sabato a Palermo la beatificazione di don Pino Puglisi, 
ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993
                                 Tr a s f u s i o n e di speranza

                           di VINCENZO BERTOLONE*

         Viviamo un tempo in cui il cristianesimo sembra non riscaldare più molti cuori ed è minacciato da sfide visibili e da un silenzio indifferente. Eppure, nonostante tutto, esso vive e si rigenera. Anche nel sangue dei martiri. Lo ricorda la beatificazione di don Pino Puglisi. Esito felice di una causa giunta all’approdo finale dopo aver dato risposta a due interrogativi basilari: davvero è stato assassinato in odio alla fede? 
            Nessun altro motivo può essere addotto a giustificazione del suo omicidio? Quello di don Puglisi non fu un crimine come tanti altri, ma un attocontro la fede che egli professava e contro il ministero sacerdotale che esercitava. Egli fu assassinato perchésacerdote testimone della verità della fede, dell’unicità di Dio, della salvezza delle anime, della sacralità della vita, della dignità della persona umana. Tutto scritto in una vita, quella di Pino Puglisi, breve ma radiosa.Come il sorriso che ne diventa la nota distintiva e che scioglie i ghiacci e il peccato, al punto che il suo sicario, Salvatore Grigoli, una volta saltato il fosso, spiegherà d’aver sceltodi cambiare registro e di voler collaborare con la giustizia anche perché spinto dalla forza di quel sorriso.
           Puglisi nasce a Palermo, nel rione di Settecannoli, il 15 settembre 1937.A sedici anni entra nel seminario arcivescovile di Palermo. Il 2 luglio 1960 è ordinato sacerdote dal cardinale Ernesto Ruffini. Nel 1967 diventa cappellano all’istituto Roosevelt per orfani di lavoratori, nel quartiere Addaura, e vicario presso la parrocchia Maria Santissima Assunta, nella borgata di Valdesi. Tra il 1970 ed il 1978 è parroco a Godrano, paese dell’entroterra dilaniato da faide. Nel frattempo continua a insegnare religione, prima in unascuola media e dal 1978 e fino allamorte nel liceo classico palermitano Vittorio Emanuele II. Il 9 agosto 1978 è nominato prorettore del seminario minore di Palermo; il 24 novembre 1979 direttore del centro diocesano vocazioni. Nel 1983 diviene responsabile del centro regionale vocazioni e membro del consiglio nazionale. Nell’ottobre del 1990, mentre svolge il suo ministero sacerdotale anche presso la casa Madonna dell’Accoglienza di Boccadifalco,in favore di ragazze madri in difficoltà, viene nominato parroco dellachiesa di San Gaetano, nella borgata di Brancaccio, dominata da bosssanguinari. D’intesa con l’arcivescovo, il cardinale Salvatore Pappalardo, chiama a operare nella zona alcune Sorelle dei poveri di Santa Caterina da Siena, alle quali affiderà,nel 1993, il centro di promozione Padre Nostro, per l’evangelizzazione e l’educazione dei bambini, strappandoli ai malavitosi che se ne servono come manovalanza criminale. L’evangelizzazione in senso stretto è il cuore del suo agire.
       La quotidianità semplice della pastorale della Chiesa è la cifra del suo agire.Anni di intenso ministero sacerdotale; una formazione teologica illuminata sempre dalla Parola di Dio e aggiornata secondo le indicazioni magisteriali e la dottrina sociale della Chiesa; l’obbedienza al propriopastore e la certezza della necessitàdell’azione educativa costituisconoper lui le coordinate per essere testimone di Cristo e interprete di un cristianesimo vissuto con quella radicalità delle scelte che rende differenti i corsi delle vicende umane. 
        Al punto che dall’altare, più volte, lui stesso ammonisce: «Se Dio è con noi chi sarà contro di noi? Io non ho paura di morire, se quello chedico è la verità». Il 15 settembre 1993, giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno, la mafia lo uccide. E che di mafia si tratti in odio al ministero sacerdotale lo attestano elementi inconfutabili: due distinte sentenze penali con forza di giudicato, a carico di esecutori e mandanti che sapevano di
colpire un testimone di Cristo; la natura anticristiana della mafia; le testimonianze acquisite in sede di inchiesta canonica; la coerenza dimostrata con la disponibilità al supremo sacrificio, non deliberatamente cercato, ma coscientemente e serenamente accettato. I capi del mandamento mafioso di Brancaccio, sopprimendolo pensavano di aver vinto. Sbagliavano:la fama del martirio si diffonde subito.
        Nel dicembre 1998 il cardinale Salvatore De Giorgi annuncia di voler dare inizio all’inchiesta per il ricono-scimento del martirio. La causa si concluderà il 5 giugno 2012 con il riconoscimento che il servo di Dio fu ucciso in odium fidei per la sua fedeltà a Cristo e alla Chiesa. Il caso può essere così sottoposto a Benedetto XVI, che il successivo 28 giugno firma il decreto e autorizza la beatificazione per martirio. 
           In ossequio alla loro religione i mafiosi uccidono Puglisi in odio alla sua, e ciò non può essere assimilato a un semplice problema di legalità o illegalità, giustizia e ingiustizia sociale: la mafia è una religione e non solo un fenomeno criminale,e non ammette altre fedi. È questo, e non altro, che ha provocato l’odio dei mandanti e dell’assassino, che sapeva bene di ammazzare un uomo della Chiesa di Cristo coerente con la sua fede, fino al martirio.
         Cosa resta, oggi, di quel sacrificio? La figura di Puglisi, esempio di tanti altri che come lui hanno affrontato o continuano coraggiosamente ad affrontare in Sicilia e altrove senza riserve né cedimenti la sfida al male ed ai maligni, è una trasfusione di speranza per i preti,per la gente, per le Chiese di Sicilia,dell’Italia e del mondo intero. 
         È il segno di un Vangelo che rinasce e attecchisce comunque, specie in territori, purtroppo infelici, spesso coincidenti con i sud del mondo, dove le organizzazioni criminali, più semplicemente la violenza, mortificano la vita, con ciò negando in radice l’insegnamento di Cristo. Il suo martirio è stato il segno dell’insanabile e definitiva rottura tra Vangelo,mafia ed altre consimili società delinquenziali. È la profezia per l’oggi: la solitudine nella quale avvenne il suo martirio è diventata la compagnia della nostra azione.
*Arcivescovo di Catanzaro-Squillace postulatore della causa di canonizzazione dall'Osservatore Romano 24.05.'13

Nessun commento:

Posta un commento