Dalla STORIA DELLA CHIESA Il Concilio NICEA II (787) e Il trionfo dell'Ortodossia e il Synodikon
La morte dell'imperatore Costantino V e il regno tollerante del figlio e successore Leone IV Casaro (775-780), segnano una svolta nella storia del conflitto iconoclasta. Leone IV, nel 780 lasciò il trono al figlio minore Costantino VI e gli affari dello Stato passarono nelle mani dell'imperatrice Irene, iconodula dichiarata.
La politica di Irene, imperatrice reggente
Irene non voleva provocare l'onnipotente partito iconoclasta, per cui avanzò a piccoli passi. In un primo tempo difese la libertà assoluta in materia di immagini, cosa che permise il ritorno degli iconofili esiliati. Poi procedette a dei cambiamenti discreti, sostituendo le personalità amministrative appartenenti al partito iconoclasta, con degli iconofili. Quando si sentì abbastanza forte, fece nominare patriarca di Costantinopoli l'iconofilo Tarasio (784). Questi, nella sua lettera di intronizzazione, sconfessa le decisioni di Hieria e chiede l'invio di rappresentanti per riunire un concilio ecumenico. Nello stesso tempo, I'imperatrice Irene indirizza una lettera al papa Adriano I (772-795), chiedendogli di partecipare al prossimo concilio.
Adriano rispose immediatamente con una lettera nella quale espose, da una parte, le opinioni ortodosse di Roma in materia di immagini; ma anche le idee del papato a proposito del primato papale, nonché dei legami che uniscono l'egemonia papale e lo Stato franco. I latori della lettera, due presbiteri tutti e due di nome Pietro, da alcuni storici vengono considerati anche come i legati papali al concilio. Ma Teodoro Studita fa notare come quelle persone non fossero designate dal papa come propri rappresentanti. La rappresentanza degli altri patriarchi è anch'essa dubbia.
Tarasio scrisse delle lettere che mandò, tramite i propri messaggeri, in Siria, in Palestina e in Egitto. I messaggeri non poterono giungere a destinazione perché vennero intercettati dai monaci siriani i quali, temendo di essere accusati dagli arabi di collaborazione con Bisanzio, non li fecero passare. Da parte loro i monaci scelsero due persone, un certo Giovanni e un certo Tommaso che parteciparono al concilio come rappresentanti di Antiochia e di Alessandria. Pare però che nessuno li avesse delegati. Per tutti questi motivi, il carattere ecumenico del concilio venne messo in dubbio da più di uno studioso.
Il concilio di Nicea II
Il concilio si riunì nel 786, sotto la presidenza del patriarca Tarasio, nella chiesa dei Santi Apostoli di Costantinopoli.
Anche Irene e il figlio Costantino VI si presentarono per seguire i lavori. Malgrado la lunga preparazione, quasi tutti i vescovi presenti erano iconoclasti. Conoscendo l'atteggiamento imperiale a favore delle immagini, questi vescovi, aiutati anche dal partito iconoclasta, informarono la guardia imperiale dominata, come tutto l'esercito, dallo spirito iconoclasta. Appena il sinodo fu iniziato, i soldati penetrarono nella chiesa e dispersero i partecipanti. Tutto era da rifare.
Irene sciolse l'esercito iconoclasta. Tuttavia, non sentendosi sicura, trasferì il concilio a Nicea, (II di Nicea, VII concilio ecumenico). I lavori ripresero, sotto la presidenza di Tarasio, nel settembre 787. Parteciparono ai lavori 350 vescovi, due rappresentanti del papa, i due di Antiochia e di Alessandria, due alti funzionari dell'amministrazione, nonché i rappresentanti dell' imperatore. A Nicea si tennero sette sedute, mentre l'ottava ebbe luogo a Costantinopoli.
Nella prima sessione (14 settembre 787) fu esaminato il caso dei vescovi che avevano aderito all'iconoclastia e si procedette alla loro ammissione nella comunione ecclesiastica. Nella seconda sessione (26 settembre) furono lette e approvate le lettere di papa Adriano I. Vi si legge, tra l'altro, la seguente affermazione: «I cristiani non testimoniano il loro rispetto ai legni e ai colori, ma a quelli di cui le immagini recano il nome». Nella terza sessione (28 settembre) furono esaminate e approvate le lettere di adesione dei patriarchi orientali. Vi si legge tra l'altro: «Noi adoriamo l'immagine di Cristo, cioè della persona che hanno visto gli uomini e che non è separata dalla sua divinità invisibile», cosí come quella della Vergine e dei santi.
Nella quarta sessione (1° ottobre) fu letto un dossier di testi scritturistici, patristici e agiografici circa il culto delle immagini. Il patriarca di Costantinopoli Tarasio disse in proposito: «L'Antico Testamento aveva già i suoi divini simboli, i cherubini ad esempio, che di là sono passati al Nuovo Testamento; e se l'Antico Testamento aveva dei cherubini, che estendevano la loro ombra sul trono della grazia, dobbiamo avere anche noi le icone di Cristo, della Madre di Dio e dei santi, che proteggono con la loro ombra il nostro trono della grazia», cioè l'altare.
Nella quinta sessione (4 ottobre) si continuò a leggere le testimonianze patristiche e a rilevare le falsificazioni operate dai padri del Concilio di Hieria del 754.
Negli Atti, si legge la seguente dichiarazione di Eutimio, vescovo di Sardi: "Accettiamo tutto ciò che il Signore, gli apostoli e i profeti ci hanno insegnato, che dobbiamo cioè onorare e lodare prima di tutto la Santa Madre di Dio, superiore a tutte le potenze celesti; poi i santi angeli, i beati e lodati apostoli, i gloriosi profeti, i martiri che hanno lottato per Cristo, i santi dottori e tutti i santi, alla cui intercessione dobbiamo ricorrere, la quale può renderci accetti a Dio, se viviamo in una maniera virtuosa e osserviamo i suoi comandamenti. Veneriamo inoltre la forma della croce e le reliquie dei santi; accettiamo e salutiamo e baciamo le sante e venerate immagini, in conformità all'antica tradizione della santa Chiesa cattolica di Dio* affinché queste riproduzioni ci richiamino l'originale, e siamo condotti ad una certa partecipazione della loro santificazione".
In questa stessa sessione fu chiesto e ottenuto il ripristino dell'uso antico di portare in processione liturgica le icone, tradizione, questa, che era stata soppressa dagli iconoclasti. Nella sesta sessione (6 ottobre) fu letto e refutato l'Horos, o definizione dogmatica, dell'assemblea eretica di Hieria e fu lanciato l'anatema contro i suoi autori.
La settima sessione (13 ottobre) fu completamente consacrata alla stesura dell'Horos, o definizione dogmatica conciliare, la quale legittima la raffigurazione religiosa e il culto delle immagini. Si riferisce qui il testo della parte centrale:
"Procedendo sulla via regia, seguendo la dottrina divinamente ispirata dei nostri santi padri e la tradizione della chiesa cattolica - riconosciamo, infatti, che lo Spirito santo abita in essa- noi definiamo con ogni rigore e cura che, a somiglianza della raffigurazione della croce preziosa e vivificante, così le venerande e sante immagini, sia dipinte che in mosaico o in qualsiasi altro materiale adatto, debbono essere esposte nelle sante chiese di Dio, sulle sacre suppellettili, sui sacri paramenti, sulle pareti e sulle tavole, nelle case e nelle vie; siano esse l'immagine del signore Dio e salvatore nostro Gesù Cristo, o quella dell'immacolata signora nostra, la santa Madre di Dio, dei santi angeli, di tutti i santi e giusti. Infatti, quanto più frequentemente queste immagini vengono contemplate, tanto più quelli che le contemplano sono portati al ricordo e al desiderio dei modelli originali e a tributare loro, baciandole, rispetto e venerazione. Non si tratta, certo, di una vera adorazione (latria), riservata dalla nostra fede solo alla natura divina, ma di un culto simile a quello che si rende alla immagine della croce preziosa e vivificante, ai santi evangeli e agli altri oggetti sacri, onorandoli con l'offerta di incenso e di lumi secondo il pio uso degli antichi. L'onore reso all'immagine, in realtà, appartiene a colui che vi è rappresentato e chi venera l'immagine, venera la realtà di chi in essa è riprodotto. Così si rafforza l'insegnamento dei nostri santi padri, ossia la tradizione della chiesa universale, che ha ricevuto il Vangelo da un confine all'altro della terra. Così diventiamo seguaci di Paolo, che ha parlato in Cristo, del divino collegio apostolico, e dei santi padri, tenendo fede alle tradizioni che abbiamo ricevuto. Così possiamo cantare alla chiesa gli inni trionfali alla maniera del profeta: Rallegrati, figlia di Sion, esulta figlia di Gerusalemme; godi e gioisci con tutto il cuore il Signore ha tolto di mezzo a te le iniquità dei tuoi avversari, sei stata liberata dalle mani dei tuoi nemici. Dio, il tuo re, è in mezzo a te; non sarai più oppressa dal male e la pace dimori con te per sempre. Chi oserà pensare o insegnare diversamente, o, seguendo gli eretici empi, violerà Ie tradizioni della chiesa o inventerà delle novità o rifiuterà qualche cosa di ciò che e stato affidato alla chiesa, come il Vangelo, la raffigurazione della croce, immagini dipinte o le sante reliquie dei martiri; chi immaginerà con astuti raggiri di sovvertire qualcuna delle legittime tradizioni della chiesa universale, o chi userà per scopi profani i vasi sacri o i venerandi monasteri, noi decretiamo che, se vescovo o chierico, sia deposto, se monaco o laico venga escluso dalla comunione.
Anatemi riguardo alle sacre immagini
I - Se qualcuno non ammette che Cristo, nostro Dio, è limitato secondo l'umanità, sia anatema.
II - Se qualcuno non ammette che i racconti evangelici siano tradotti in immagini, sia anatema.
III - Se qualcuno non onora queste immagini, [fatte] nel nome del Signore e dei suoi santi, sia anatema.
“L'onore reso all'immagine si prosterna davanti alla persona di chi in essa è raffigurato: le immagini non possiedono dunque una propria forza per la quale sarebbero da venerare; l'onore prestato a esse si riferisce a ciò che rappresentano”.
L'ottava e ultima sessione ebbe luogo il 13 ottobre, nel palazzo imperiale della Magnaura, nella stessa Costantinopoli.
Vi fu letto solennemente l'Horos e firmato in presenza di un grande concorso di popolo. Al termine dei lavori, presieduti dalla stessa imperatrice Irene, gli imperatori firmarono solennemente le decisioni del concilio, che appunto rigettava la decisione del sinodo di Hieria e accettava la rappresentabilità del sacro e la venerazione delle icone.
Questa fede ortodossa era stata esposta durante la seconda seduta da un gruppo di 117 monaci e igumeni. Questa dichiarazione, combinata con la teologia di Giovanni Damasceno, costituisce in realtà la dichiarazione del concilio in materia dottrinale. La cosa più spettacolare fu, tuttavia, la totale mancanza di reazione da parte degli iconoclasti. Un certo numero di vescovi avevano partecipato, I'anno prima, anche alla riunione di Costantinopoli e in quell'occasione si erano dichiarati iconoclasti ed erano stati fautori di disordini. Pare che Irene mettesse costoro di fronte ad un dilemma: o rimanevano della loro opinione e in questo caso dovevano abbandonare i loro vescovadi, o si dovevano 'pentire' e, 'una volta perdonati', potevano partecipare al sinodo, conservando però un saggio silenzio.
L'opposizione dei Franchi
Sottoscritti dai vescovi, dai legati papali e dagli imperatori, i decreti furono però approvati da papa Adriano I solo nel 791, ragione non ultima l'ostilità verso quel concilio da parte dei Franchi e per rivalità politica e per una diversa teologia sulle immagini. Mentre presso la corte Franca, ostile alla chiesa bizantina, maturò anche una confutazione chiamata Capitulare de immaginibus, nota sotto il nome di Libri Carolini.
Nella Capitulare si condannava il conciliabolo di Hieria, del 754, che aveva proibito la rappresentazione delle immagini di Cristo -dicendo che solo l'Eucarestia è la vera immagine- e della Vergine e aveva minacciato severe punizioni a chi avesse fabbricato o venerato le icone. Ma si riprovava anche al Concilio di Nicea II di aver usato termini non adeguati, come proskìnèsis, tradotto con adoratio, anziché veneratio, per indicare il culto di dulia delle immagini.
Papa Adriano I, da parte sua, difese le decisioni del concilio Niceno II, ma un concilio di vescovi dei regni franco e longobardo, convocato da Carlo Magno nel giugno 794 a Francoforte, condannò quel concilio ecumenico, in particolare quel che riguarda la relazione tra icona e persona rappresentata, quasi avesse prescritto l'adorazione delle immagini. Papa Adriano rimase tuttavia saldo nell'accettazione di Nicea, ma il sinodo di Francoforte costituì un serio avvertimento per il papato riguardo alle sue relazioni privilegiate con lo Stato franco.
Per la Chiesa orientale greca invece quel concilio significò la conclusione del suo sviluppo teologico e la pace religiosa.
Base dell'iconoclastia era la negazione della vera cristologia che si appone al docetismo (la dottrina di Cerinto, un rigido giudaista vissuto nell'Asia minore sullo scorcio del I sec. e degli gnostici i quali negavano la vera natura umana del Redentore e la sua identità col Cristo storico; per loro il Redentore si fece uomo in maniera docetica, cioè con un corpo puramente apparente, abbandonato al momento della passione) e al monofisismo (dottrina che, dopo l’incarnazione, ammette in Cristo un'unica natura, per cui il corpo di Cristo è un corpo divinizzato). Ma anche contro ogni concezione di Dio musulmana e trascendentalista, negatrice della visibilità dell'Incarnazione, dei sacramenti e della Chiesa. Da qui il valore dogmatico delle icone che aiutano a comprendere la relazione tra Dio e l'uomo.
Il trionfo dell'Ortodossia
Agli inizi dell'800 riprese la lotta iconoclasta, colpa degli ultraortodossi di Costantinopoli che si raccoglievano attorno a Teodoro, igumeno del monastero di Stoudios, i quali accusarono Irene di una politica troppo indulgente nei confronti degli iconoclasti.
Malgrado Irene venisse rovesciata dal trono, il sinodo tenuto a Costantinopoli nell'809 sotto l'imperatore Nicetoro I, condannò gli ultraortodossi e l'imperatore mandò in esilio gli studiti. Questi vennero amnistiati sotto Michele I (811-813), ma la situazione volse al peggio per gli ortodossi.
Leone V (813-820), detto l'Armeno, Fu un abile generale sotto gli imperatori Nicetoro I e Michele I, constatando che lo Stato e soprattutto l'esercito andavano di male in peggio sotto gli iconofili, si volse al partito iconoclasta e il patriarca Niceforo fu costretto a dare le dimissioni. Salì al trono grazie a una rivolta militare, e fu lui a deporre Michele I nel 813. Era convinto che la situazione in cui versava l'impero e gli insuccessi militari non dipendessero dall'incapacità dei generali e dei loro condottieri, ma dalle troppe concessioni che furono fatte al culto delle immagini.
Nel 814 difese con successo Costantinopoli da una invasione bulgara; nello stesso anno promuovette anche un concilio in cui depose il Patriarca di Costantinopoli in carica: Niceforo I, sostituendolo con uno maggiormente favorevole a lui e alle sue idee iconoclaste. Dall'emissione del conseguente nuovo editto iniziò un nuovo periodo di persecuzioni religiose nell'impero. Stando ad una lettera indirizzata dall'imperatore Michele II a Ludovico il Pio (824) Leone V nell'813 aveva proibito le icone nei punti accessibili delle chiese, perché la gente prestava loro una vera adorazione. Si tratta in questo caso della prima concessione fatta agli iconoclasti. Poiché gli iconofili reagirono, facendosi forti delle decisioni del concilio di Nicea, Leone V convocò nell'815 un concilio nella chiesa di Santa Sofia e questo concilio, dopo aver annullato le decisioni di Nicea, rimise in vigore quelle del sinodo di Hieria. L'iconoclasmo venne rilanciato e Teodoro Studita si pose alla testa della opposizione ortodossa. Morì nel Natale del 820, in un complotto organizzato da Michele il Balbo che gli successe sul trono dopo averlo ucciso.
L'imperatore Michele II Balbo (820-829) dapprima volle rimanere imparziale: annullò le decisioni del sinodo di Hieria, del sinodo dell'815, ma anche del concilio di Nicea e proibì qualsiasi discussione a proposito delle icone. Più tardi, però, favorì gli iconoclasti, e così fece anche il figlio e successore Teofilo (829- 842), che addirittura perseguitò gli iconofili e fece chiudere gli studi di pittura delle icone. Ma l'iconoclasmo aveva perduto qualsiasi seguito tra il popolo.
Così, sotto Michele III (842-867), che aveva ereditato il trono all'età di appena tre anni, la madre dell'imperatore, Teodora, divenuta reggente, fece restaurare le immagini e favorì l'elezione di s. Metodio, un iconofilo come patriarca il quale, l'11 marzo 843, indisse un sinodo che condannò l'iconoclasmo; mentre la reggente, con un decreto, ripristinò definitivamente l'Ortodossia.
La Chiesa bizantina festeggia ancora oggi questo avvenimento ogni anno, nella ricorrenza della prima domenica di Quaresima detta, per questo, «domenica dell'Ortodossia». La commemorazione è sottolineata da una solenne processione con le icone. Il proprio della festa è particolarmente solenne ed i testi sono di una rara bellezza formale e concettuale. Il «Synodikon» che vi viene solennemente letto esalta la vittoria della Chiesa sugli iconoclasti, rende onore a tutti quelli che l'hanno resa possibile e anatematizza tutti gli eretici, considerati come nemici della fede e della Chiesa.
Ecco due brani tratti da altrettanti inni del Proprio della domenica dell'Ortodossia:
«La Chiesa di Cristo ha accolto, nelle sante icone di Cristo Salvatore, della Madre di Dio e di tutti i santi, un inestimabile ornamento. Per la loro festosa esposizione, essa splende e si veste di grazia e mette in rotta la turba degli eretici e, con giubilo, rende gloria a Dio, l'Amico degli uomini, che per lei ha sopportato volontariamente la passione».
L'altro dice:
"Noi che siamo passati dall'empietà alla pietà, e che siamo stati illuminati dalla luce della conoscenza, battiamo le mani, offrendo a Dio un canto di azione di grazia; e veneriamo con onori le sante icone di Cristo, della Tuttapura e di tutti i santi, siano esse raffigurate sui muri, o sulle tavole o sui vasi sacri, respingendo l'empietà di coloro che non possiedono la vera fede. L'onore, infatti, reso all'immagine -dice Basilio- passa all'originale. Per l'intercessione dell'Immacolata tua Madre e di tutti i santi, ti chiediamo, o Cristo Dio, di donarci la grande misericordia ".
La lunga controversia sulle immagini si era svolta mentre l'impero era sotto la minaccia degli Arabi e fu nefasta tanto per l'Oriente, dove gli iconofili furono perseguitati e alcuni subirono il martirio; quanto per l'Occidente cristiano, dove si acuì la crisi del dominio bizantino per cui il papato si orientò verso il regno franco, rompendo così l'equilibrio che fino ad allora si era mantenuto tra Oriente e Occidente.
La morte dell'imperatore Costantino V e il regno tollerante del figlio e successore Leone IV Casaro (775-780), segnano una svolta nella storia del conflitto iconoclasta. Leone IV, nel 780 lasciò il trono al figlio minore Costantino VI e gli affari dello Stato passarono nelle mani dell'imperatrice Irene, iconodula dichiarata.
La politica di Irene, imperatrice reggente
Irene non voleva provocare l'onnipotente partito iconoclasta, per cui avanzò a piccoli passi. In un primo tempo difese la libertà assoluta in materia di immagini, cosa che permise il ritorno degli iconofili esiliati. Poi procedette a dei cambiamenti discreti, sostituendo le personalità amministrative appartenenti al partito iconoclasta, con degli iconofili. Quando si sentì abbastanza forte, fece nominare patriarca di Costantinopoli l'iconofilo Tarasio (784). Questi, nella sua lettera di intronizzazione, sconfessa le decisioni di Hieria e chiede l'invio di rappresentanti per riunire un concilio ecumenico. Nello stesso tempo, I'imperatrice Irene indirizza una lettera al papa Adriano I (772-795), chiedendogli di partecipare al prossimo concilio.
Adriano rispose immediatamente con una lettera nella quale espose, da una parte, le opinioni ortodosse di Roma in materia di immagini; ma anche le idee del papato a proposito del primato papale, nonché dei legami che uniscono l'egemonia papale e lo Stato franco. I latori della lettera, due presbiteri tutti e due di nome Pietro, da alcuni storici vengono considerati anche come i legati papali al concilio. Ma Teodoro Studita fa notare come quelle persone non fossero designate dal papa come propri rappresentanti. La rappresentanza degli altri patriarchi è anch'essa dubbia.
Tarasio scrisse delle lettere che mandò, tramite i propri messaggeri, in Siria, in Palestina e in Egitto. I messaggeri non poterono giungere a destinazione perché vennero intercettati dai monaci siriani i quali, temendo di essere accusati dagli arabi di collaborazione con Bisanzio, non li fecero passare. Da parte loro i monaci scelsero due persone, un certo Giovanni e un certo Tommaso che parteciparono al concilio come rappresentanti di Antiochia e di Alessandria. Pare però che nessuno li avesse delegati. Per tutti questi motivi, il carattere ecumenico del concilio venne messo in dubbio da più di uno studioso.
Il concilio di Nicea II
Il concilio si riunì nel 786, sotto la presidenza del patriarca Tarasio, nella chiesa dei Santi Apostoli di Costantinopoli.
Anche Irene e il figlio Costantino VI si presentarono per seguire i lavori. Malgrado la lunga preparazione, quasi tutti i vescovi presenti erano iconoclasti. Conoscendo l'atteggiamento imperiale a favore delle immagini, questi vescovi, aiutati anche dal partito iconoclasta, informarono la guardia imperiale dominata, come tutto l'esercito, dallo spirito iconoclasta. Appena il sinodo fu iniziato, i soldati penetrarono nella chiesa e dispersero i partecipanti. Tutto era da rifare.
Irene sciolse l'esercito iconoclasta. Tuttavia, non sentendosi sicura, trasferì il concilio a Nicea, (II di Nicea, VII concilio ecumenico). I lavori ripresero, sotto la presidenza di Tarasio, nel settembre 787. Parteciparono ai lavori 350 vescovi, due rappresentanti del papa, i due di Antiochia e di Alessandria, due alti funzionari dell'amministrazione, nonché i rappresentanti dell' imperatore. A Nicea si tennero sette sedute, mentre l'ottava ebbe luogo a Costantinopoli.
Nella prima sessione (14 settembre 787) fu esaminato il caso dei vescovi che avevano aderito all'iconoclastia e si procedette alla loro ammissione nella comunione ecclesiastica. Nella seconda sessione (26 settembre) furono lette e approvate le lettere di papa Adriano I. Vi si legge, tra l'altro, la seguente affermazione: «I cristiani non testimoniano il loro rispetto ai legni e ai colori, ma a quelli di cui le immagini recano il nome». Nella terza sessione (28 settembre) furono esaminate e approvate le lettere di adesione dei patriarchi orientali. Vi si legge tra l'altro: «Noi adoriamo l'immagine di Cristo, cioè della persona che hanno visto gli uomini e che non è separata dalla sua divinità invisibile», cosí come quella della Vergine e dei santi.
Nella quarta sessione (1° ottobre) fu letto un dossier di testi scritturistici, patristici e agiografici circa il culto delle immagini. Il patriarca di Costantinopoli Tarasio disse in proposito: «L'Antico Testamento aveva già i suoi divini simboli, i cherubini ad esempio, che di là sono passati al Nuovo Testamento; e se l'Antico Testamento aveva dei cherubini, che estendevano la loro ombra sul trono della grazia, dobbiamo avere anche noi le icone di Cristo, della Madre di Dio e dei santi, che proteggono con la loro ombra il nostro trono della grazia», cioè l'altare.
Nella quinta sessione (4 ottobre) si continuò a leggere le testimonianze patristiche e a rilevare le falsificazioni operate dai padri del Concilio di Hieria del 754.
Negli Atti, si legge la seguente dichiarazione di Eutimio, vescovo di Sardi: "Accettiamo tutto ciò che il Signore, gli apostoli e i profeti ci hanno insegnato, che dobbiamo cioè onorare e lodare prima di tutto la Santa Madre di Dio, superiore a tutte le potenze celesti; poi i santi angeli, i beati e lodati apostoli, i gloriosi profeti, i martiri che hanno lottato per Cristo, i santi dottori e tutti i santi, alla cui intercessione dobbiamo ricorrere, la quale può renderci accetti a Dio, se viviamo in una maniera virtuosa e osserviamo i suoi comandamenti. Veneriamo inoltre la forma della croce e le reliquie dei santi; accettiamo e salutiamo e baciamo le sante e venerate immagini, in conformità all'antica tradizione della santa Chiesa cattolica di Dio* affinché queste riproduzioni ci richiamino l'originale, e siamo condotti ad una certa partecipazione della loro santificazione".
In questa stessa sessione fu chiesto e ottenuto il ripristino dell'uso antico di portare in processione liturgica le icone, tradizione, questa, che era stata soppressa dagli iconoclasti. Nella sesta sessione (6 ottobre) fu letto e refutato l'Horos, o definizione dogmatica, dell'assemblea eretica di Hieria e fu lanciato l'anatema contro i suoi autori.
La settima sessione (13 ottobre) fu completamente consacrata alla stesura dell'Horos, o definizione dogmatica conciliare, la quale legittima la raffigurazione religiosa e il culto delle immagini. Si riferisce qui il testo della parte centrale:
"Procedendo sulla via regia, seguendo la dottrina divinamente ispirata dei nostri santi padri e la tradizione della chiesa cattolica - riconosciamo, infatti, che lo Spirito santo abita in essa- noi definiamo con ogni rigore e cura che, a somiglianza della raffigurazione della croce preziosa e vivificante, così le venerande e sante immagini, sia dipinte che in mosaico o in qualsiasi altro materiale adatto, debbono essere esposte nelle sante chiese di Dio, sulle sacre suppellettili, sui sacri paramenti, sulle pareti e sulle tavole, nelle case e nelle vie; siano esse l'immagine del signore Dio e salvatore nostro Gesù Cristo, o quella dell'immacolata signora nostra, la santa Madre di Dio, dei santi angeli, di tutti i santi e giusti. Infatti, quanto più frequentemente queste immagini vengono contemplate, tanto più quelli che le contemplano sono portati al ricordo e al desiderio dei modelli originali e a tributare loro, baciandole, rispetto e venerazione. Non si tratta, certo, di una vera adorazione (latria), riservata dalla nostra fede solo alla natura divina, ma di un culto simile a quello che si rende alla immagine della croce preziosa e vivificante, ai santi evangeli e agli altri oggetti sacri, onorandoli con l'offerta di incenso e di lumi secondo il pio uso degli antichi. L'onore reso all'immagine, in realtà, appartiene a colui che vi è rappresentato e chi venera l'immagine, venera la realtà di chi in essa è riprodotto. Così si rafforza l'insegnamento dei nostri santi padri, ossia la tradizione della chiesa universale, che ha ricevuto il Vangelo da un confine all'altro della terra. Così diventiamo seguaci di Paolo, che ha parlato in Cristo, del divino collegio apostolico, e dei santi padri, tenendo fede alle tradizioni che abbiamo ricevuto. Così possiamo cantare alla chiesa gli inni trionfali alla maniera del profeta: Rallegrati, figlia di Sion, esulta figlia di Gerusalemme; godi e gioisci con tutto il cuore il Signore ha tolto di mezzo a te le iniquità dei tuoi avversari, sei stata liberata dalle mani dei tuoi nemici. Dio, il tuo re, è in mezzo a te; non sarai più oppressa dal male e la pace dimori con te per sempre. Chi oserà pensare o insegnare diversamente, o, seguendo gli eretici empi, violerà Ie tradizioni della chiesa o inventerà delle novità o rifiuterà qualche cosa di ciò che e stato affidato alla chiesa, come il Vangelo, la raffigurazione della croce, immagini dipinte o le sante reliquie dei martiri; chi immaginerà con astuti raggiri di sovvertire qualcuna delle legittime tradizioni della chiesa universale, o chi userà per scopi profani i vasi sacri o i venerandi monasteri, noi decretiamo che, se vescovo o chierico, sia deposto, se monaco o laico venga escluso dalla comunione.
Anatemi riguardo alle sacre immagini
I - Se qualcuno non ammette che Cristo, nostro Dio, è limitato secondo l'umanità, sia anatema.
II - Se qualcuno non ammette che i racconti evangelici siano tradotti in immagini, sia anatema.
III - Se qualcuno non onora queste immagini, [fatte] nel nome del Signore e dei suoi santi, sia anatema.
“L'onore reso all'immagine si prosterna davanti alla persona di chi in essa è raffigurato: le immagini non possiedono dunque una propria forza per la quale sarebbero da venerare; l'onore prestato a esse si riferisce a ciò che rappresentano”.
L'ottava e ultima sessione ebbe luogo il 13 ottobre, nel palazzo imperiale della Magnaura, nella stessa Costantinopoli.
Vi fu letto solennemente l'Horos e firmato in presenza di un grande concorso di popolo. Al termine dei lavori, presieduti dalla stessa imperatrice Irene, gli imperatori firmarono solennemente le decisioni del concilio, che appunto rigettava la decisione del sinodo di Hieria e accettava la rappresentabilità del sacro e la venerazione delle icone.
Questa fede ortodossa era stata esposta durante la seconda seduta da un gruppo di 117 monaci e igumeni. Questa dichiarazione, combinata con la teologia di Giovanni Damasceno, costituisce in realtà la dichiarazione del concilio in materia dottrinale. La cosa più spettacolare fu, tuttavia, la totale mancanza di reazione da parte degli iconoclasti. Un certo numero di vescovi avevano partecipato, I'anno prima, anche alla riunione di Costantinopoli e in quell'occasione si erano dichiarati iconoclasti ed erano stati fautori di disordini. Pare che Irene mettesse costoro di fronte ad un dilemma: o rimanevano della loro opinione e in questo caso dovevano abbandonare i loro vescovadi, o si dovevano 'pentire' e, 'una volta perdonati', potevano partecipare al sinodo, conservando però un saggio silenzio.
L'opposizione dei Franchi
Sottoscritti dai vescovi, dai legati papali e dagli imperatori, i decreti furono però approvati da papa Adriano I solo nel 791, ragione non ultima l'ostilità verso quel concilio da parte dei Franchi e per rivalità politica e per una diversa teologia sulle immagini. Mentre presso la corte Franca, ostile alla chiesa bizantina, maturò anche una confutazione chiamata Capitulare de immaginibus, nota sotto il nome di Libri Carolini.
Nella Capitulare si condannava il conciliabolo di Hieria, del 754, che aveva proibito la rappresentazione delle immagini di Cristo -dicendo che solo l'Eucarestia è la vera immagine- e della Vergine e aveva minacciato severe punizioni a chi avesse fabbricato o venerato le icone. Ma si riprovava anche al Concilio di Nicea II di aver usato termini non adeguati, come proskìnèsis, tradotto con adoratio, anziché veneratio, per indicare il culto di dulia delle immagini.
Papa Adriano I, da parte sua, difese le decisioni del concilio Niceno II, ma un concilio di vescovi dei regni franco e longobardo, convocato da Carlo Magno nel giugno 794 a Francoforte, condannò quel concilio ecumenico, in particolare quel che riguarda la relazione tra icona e persona rappresentata, quasi avesse prescritto l'adorazione delle immagini. Papa Adriano rimase tuttavia saldo nell'accettazione di Nicea, ma il sinodo di Francoforte costituì un serio avvertimento per il papato riguardo alle sue relazioni privilegiate con lo Stato franco.
Per la Chiesa orientale greca invece quel concilio significò la conclusione del suo sviluppo teologico e la pace religiosa.
Base dell'iconoclastia era la negazione della vera cristologia che si appone al docetismo (la dottrina di Cerinto, un rigido giudaista vissuto nell'Asia minore sullo scorcio del I sec. e degli gnostici i quali negavano la vera natura umana del Redentore e la sua identità col Cristo storico; per loro il Redentore si fece uomo in maniera docetica, cioè con un corpo puramente apparente, abbandonato al momento della passione) e al monofisismo (dottrina che, dopo l’incarnazione, ammette in Cristo un'unica natura, per cui il corpo di Cristo è un corpo divinizzato). Ma anche contro ogni concezione di Dio musulmana e trascendentalista, negatrice della visibilità dell'Incarnazione, dei sacramenti e della Chiesa. Da qui il valore dogmatico delle icone che aiutano a comprendere la relazione tra Dio e l'uomo.
Il trionfo dell'Ortodossia
Agli inizi dell'800 riprese la lotta iconoclasta, colpa degli ultraortodossi di Costantinopoli che si raccoglievano attorno a Teodoro, igumeno del monastero di Stoudios, i quali accusarono Irene di una politica troppo indulgente nei confronti degli iconoclasti.
Malgrado Irene venisse rovesciata dal trono, il sinodo tenuto a Costantinopoli nell'809 sotto l'imperatore Nicetoro I, condannò gli ultraortodossi e l'imperatore mandò in esilio gli studiti. Questi vennero amnistiati sotto Michele I (811-813), ma la situazione volse al peggio per gli ortodossi.
Leone V (813-820), detto l'Armeno, Fu un abile generale sotto gli imperatori Nicetoro I e Michele I, constatando che lo Stato e soprattutto l'esercito andavano di male in peggio sotto gli iconofili, si volse al partito iconoclasta e il patriarca Niceforo fu costretto a dare le dimissioni. Salì al trono grazie a una rivolta militare, e fu lui a deporre Michele I nel 813. Era convinto che la situazione in cui versava l'impero e gli insuccessi militari non dipendessero dall'incapacità dei generali e dei loro condottieri, ma dalle troppe concessioni che furono fatte al culto delle immagini.
Nel 814 difese con successo Costantinopoli da una invasione bulgara; nello stesso anno promuovette anche un concilio in cui depose il Patriarca di Costantinopoli in carica: Niceforo I, sostituendolo con uno maggiormente favorevole a lui e alle sue idee iconoclaste. Dall'emissione del conseguente nuovo editto iniziò un nuovo periodo di persecuzioni religiose nell'impero. Stando ad una lettera indirizzata dall'imperatore Michele II a Ludovico il Pio (824) Leone V nell'813 aveva proibito le icone nei punti accessibili delle chiese, perché la gente prestava loro una vera adorazione. Si tratta in questo caso della prima concessione fatta agli iconoclasti. Poiché gli iconofili reagirono, facendosi forti delle decisioni del concilio di Nicea, Leone V convocò nell'815 un concilio nella chiesa di Santa Sofia e questo concilio, dopo aver annullato le decisioni di Nicea, rimise in vigore quelle del sinodo di Hieria. L'iconoclasmo venne rilanciato e Teodoro Studita si pose alla testa della opposizione ortodossa. Morì nel Natale del 820, in un complotto organizzato da Michele il Balbo che gli successe sul trono dopo averlo ucciso.
L'imperatore Michele II Balbo (820-829) dapprima volle rimanere imparziale: annullò le decisioni del sinodo di Hieria, del sinodo dell'815, ma anche del concilio di Nicea e proibì qualsiasi discussione a proposito delle icone. Più tardi, però, favorì gli iconoclasti, e così fece anche il figlio e successore Teofilo (829- 842), che addirittura perseguitò gli iconofili e fece chiudere gli studi di pittura delle icone. Ma l'iconoclasmo aveva perduto qualsiasi seguito tra il popolo.
Così, sotto Michele III (842-867), che aveva ereditato il trono all'età di appena tre anni, la madre dell'imperatore, Teodora, divenuta reggente, fece restaurare le immagini e favorì l'elezione di s. Metodio, un iconofilo come patriarca il quale, l'11 marzo 843, indisse un sinodo che condannò l'iconoclasmo; mentre la reggente, con un decreto, ripristinò definitivamente l'Ortodossia.
La Chiesa bizantina festeggia ancora oggi questo avvenimento ogni anno, nella ricorrenza della prima domenica di Quaresima detta, per questo, «domenica dell'Ortodossia». La commemorazione è sottolineata da una solenne processione con le icone. Il proprio della festa è particolarmente solenne ed i testi sono di una rara bellezza formale e concettuale. Il «Synodikon» che vi viene solennemente letto esalta la vittoria della Chiesa sugli iconoclasti, rende onore a tutti quelli che l'hanno resa possibile e anatematizza tutti gli eretici, considerati come nemici della fede e della Chiesa.
Ecco due brani tratti da altrettanti inni del Proprio della domenica dell'Ortodossia:
«La Chiesa di Cristo ha accolto, nelle sante icone di Cristo Salvatore, della Madre di Dio e di tutti i santi, un inestimabile ornamento. Per la loro festosa esposizione, essa splende e si veste di grazia e mette in rotta la turba degli eretici e, con giubilo, rende gloria a Dio, l'Amico degli uomini, che per lei ha sopportato volontariamente la passione».
L'altro dice:
"Noi che siamo passati dall'empietà alla pietà, e che siamo stati illuminati dalla luce della conoscenza, battiamo le mani, offrendo a Dio un canto di azione di grazia; e veneriamo con onori le sante icone di Cristo, della Tuttapura e di tutti i santi, siano esse raffigurate sui muri, o sulle tavole o sui vasi sacri, respingendo l'empietà di coloro che non possiedono la vera fede. L'onore, infatti, reso all'immagine -dice Basilio- passa all'originale. Per l'intercessione dell'Immacolata tua Madre e di tutti i santi, ti chiediamo, o Cristo Dio, di donarci la grande misericordia ".
La lunga controversia sulle immagini si era svolta mentre l'impero era sotto la minaccia degli Arabi e fu nefasta tanto per l'Oriente, dove gli iconofili furono perseguitati e alcuni subirono il martirio; quanto per l'Occidente cristiano, dove si acuì la crisi del dominio bizantino per cui il papato si orientò verso il regno franco, rompendo così l'equilibrio che fino ad allora si era mantenuto tra Oriente e Occidente.
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