domenica 5 agosto 2012

La celebrazione della Metamorfosis (TRASFIGURAZIONE)
di nostro Signore Gesù Cristo



La Trasfigurazione è una manifestazione trinitaria: Cristo appare come lo splendore del Padre e ripieno di Spirito Santo e manifesta ai discepoli un'altra dimensione dell'esistenza.

Presenza fondamentale è la luce, la cui sorgente è Cristo e che si irradia tutto intorno: Egli appare, nelle sue vesti bianche (simbolo del paradiso) davanti ai testimoni dell'Antico e del Nuovo Testamento (Mosè, che rappresenta la Legge, ed Elia, che rappresenta i Profeti), mentre i discepoli sbigottiti cadono a terra folgorati da questa splendida visione.

La Trasfigurazione di Gesù è uno degli avvenimenti più misteriosi e significativi in cui Gesù è protagonista di fronte a due testimoni Questi personaggi appaiono in una suggestiva visione, conversando tra di loro, a tre esterrefatti discepoli di Gesù: Pietro, Giovanni e Giacomo. Gesù si “trasfigura” davanti ai tre sul monte Tabor. Il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce (Mt 17,2).

La Trasfigurazione è evento di comunione che si compie attraverso Cristo tra Vecchia e Nuova Alleanza (Mosè, Elia e i tre discepoli), tra l’uomo e tutto il creato (l’alta montagna).

Il tema fondamentale della Trasfigurazione è la luce, che risplende intensamente nel Cristo e si irraggia tutto intorno: Dio ha comunicato agli uomini la sua luce in Cristo, ha mostrato loro la Divinità di suo Figlio Gesù in terra prima della Resurrezione. E’ il mistero che rientra nella straordinarietà dell’economia divina..

Elia (Profeta), Mosè (Legge), Cristo (perfezione del patto di Dio) sono posti appunto su tre cime di una stessa montagna alle cui pendici stanno gli Apostoli (uomini). La montagna scoscesa e difficile da scalare è quella della conoscenza di Dio, è il luogo della rivelazione, dove Dio parla al Suo popolo.

Guardando   l’icona qui davanti notiamo che tutta la metà inferiore è occupata dai tre apostoli riversi a terra, incapaci di sostenere il bagliore divino. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; tuttavia restarono svegli e videro la sua gloria e i due uomini che stavano con Lui (Lc 9,32). L’iconografo ha colto il momento in cui Pietro, colui che ha la mano levata, si rivolge a Gesù: Signore, è bello per noi restare qui; se vuoi farò qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia (Mc 17,4).

Il tema della Metamorfosi accomuna l’Oriente e l’Occidente è offerto proprio dalla solennità di oggi. Senza dubbio è una pagina evangelica particolarmente cara soprattutto all’Oriente cristiano che ha inteso, con viva sensibilità, porsi in dialettica continuità con la comune tradizione patristica. Il punto di partenza è determinato dall’individuazione del vero soggetto della Metamorfosi. Se l’Occidente ha posto l’attenzione sulla persona del Cristo quale soggetto dell’evento sul Tabor – sviluppando una riflessione su temi decisamente cristologici - l’Oriente ha spostato il centro dell’evento sugli apostoli. Sono anche loro i soggetti della metamorfosi. E’ in loro che agisce l’energia divina rendendolo capaci di “vedere” il Cristo come è sempre stato. Il Tabor non è la manifestazione della gloria del Cristo, ma la rivelazione della cristificazione dell’uomo. Sono gli apostoli che vengono avvolti dalla nube e resi partecipi, per grazia, di ciò che il Cristo è per natura. La storia della Chiesa in generale e della teologia in particolare hanno da sempre annunziato, difeso e sostenuto questo fondamentale dogma dell’esistenza cristiana: l’esperienza partecipabile, per grazia, del divino è possibile. Non si tratta di sforzi volontaristici dell’uomo, né di quelli mistici e neppure di quelli intellettuali. Si conosce solo per con naturalità. Dio può essere conosciuto solo per condivisa esperienza, solo per con naturalità. L’uomo divinizzato conoscerà per esperienza Dio. E’ questa la strada non solo rivelata ma resa percorribile sul Tabor. Da allora ogni esperienza cristiana è chiamata ad essere naturale itinerario non “verso” Dio, ma “da” Lui verso di noi. E’ qui infatti la radice dell’autentica esperienza cristiana fondata sulla realtà della partecipazione – non panteistica – con Dio attraverso un processo di cristificazione messo in moto dall’iniziazione cristiana e che avrà come termine e compimento la Vita in Dio. E’ da questo punto di vista che chiede di essere compresa ogni itinerario personale e comunitario autenticamente cristiano. Anche il nostro convenire qui attorno all’altare del Signore come anche il convenire ad ogni evento ecclesiale , sono tutte esperienze di cristificazione che chiedono di essere vissute con una tale consapevolezza al fine di leggerle come eventi di un convergere verso la divinizzazione del creato, e di ogni creatura, e la cristificazione dell’uomo. In quanto cristiani non siamo esentati dalle difficoltà che accomunano gli uomini (sofferenza,malattia …) come anche non siamo esenti da certe logiche che guidano il mondo e regolano i rapporti tra gli uomini, ciò che ci viene richiesto come cristiani è proprio la capacità di percepire il procedere di tutto e di tutti per il suo fine ultimo, quando ogni cosa sarà ricongiunta in Cristo per essere consegnata al Padre, fine e senso di ogni essere e di ogni esistere. In questa festa possiamo ancora “vedere” la speranza alla quale ci ha chiamati la Divina Misericordia. La centralità architettonica e teologica del Cristo è di una evidenza splendente esaltata ancor di più dal bianco delle sue vesti e dal netto contrasto della digradante mandorla di luce posta alle sue spalle, simbolo smascherante la pretesa forza della nostra luce che di fronte a quella divina si rivela opaca, scura, incapace di andare “oltre”. Solo la luce dei raggi che provengono dal Cristo sono fonte di vita, grazia, salvezza. In basso troviamo gli apostoli, troviamo il nostro esser-ci e in nostro essere immersi nelle tenebre. Il dramma della libertà dell’uomo trova qui la sua più acuta e cruda espressione: su tre solo uno vive della luce taborica, solo uno si lascia investire e illuminare da essa, solo uno tende l’incerta mano, s.Pietro. E’ qui la radice della libertà dell’uomo: talmente libero da poter orientarsi verso Dio o verso le tenebre. Non basta salire sul monte, non basta allontanarsi dal mondo, non basta indossare il sacro abito e professare regole e voti per lasciarsi illuminare e trasfigurare dalla luce taborica. Si può vivere nell’ombra anche sul monte Tabor, si può vivere nelle tenebre anche dentro le splendenti mura di un monastero. Tornando alla lettura dell’icona vorrei sottolineare ancora solo due aspetti: la dimensione ecclesiale e quella cosmica. La prima evidenziata dalla coralità dei soggetti, i tre apostoli. Ogni autentica esperienza cristiana non può essere vissuta nell’elitaria solitudine di una esistenza che si crea Dio, la Chiesa, la vita religiosa, il mondo a propria immagine e somiglianza. Ogni autentica esperienza è sempre un continuo esodo da noi a Dio, il cammino più difficile. L’altra dimensione è quella cosmica sottolineata dalla presenza della vegetazione, del cielo, della stessa montagna. L’uomo ha la grande responsabilità di essere sacerdote del creato, sacerdote di questa liturgia cosmica che unisce in un indissolubile cammino di trasfigurazione ogni esistenza e ogni esistente in un unico processo di divinizzazione, incominciando proprio dalle oblate che poste sull’altare saranno la primizia della nostra e loro trasfigurazione, ed è con questi sentimenti e una tale consapevolezza che continuiamo questa divina liturgia nell’attesa del giorno in cui vedremo Dio faccia a faccia.

Ricordo che oggi è l’onomastico del nostro Vescovo Sotir e , ricordiamoLo nella preghiera affinche giuda la nostra comunità eparchiali alla luce del Tabor e alla presenza del Cristo risorto .Amin

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