sabato 17 marzo 2012

Domenica 18 Marzo 2012

Domenica IV di Quaresima:

San Giovanni Climaco

Sinassario

Nella quarta domenica dei digiuni della Grande Quaresima le Chiese di tradizione bizantina commemorano san Giovanni Climaco, monaco, asceta, esicasta, che visse nel VI secolo. La memoria di san Giovanni ricorre il 30 di marzo, ma essendo tale data sotto la Quaresima e non potendo nei giorni feriali celebrare la Divina Liturgia, vista la popolarità del santo ed il suo esempio di vita ascetica, modello da seguire nel periodo quaresimale, si è posta la sua festa nella domenica odierna.
San Giovanni nacque verso il 575 in un luogo sconosciuto e la sua vita si sviluppò tra le montagne del Sinai e del Tabor, ove visse e raccontò le sue esperienze spirituali. Notizie su di lui sono riportate in un breve Bios scritto dal monaco Daniele del monastero di Raithu, dove si racconta che a sedici anni Giovanni, divenuto monaco sul monte Sinai, si fece discepolo dell’igumeno Martyrio.
Verso i vent’anni, scelse di vivere da eremita in una grotta ai piedi del monte Sinai, nella località di Tola, a circa otto chilometri dall’attuale monastero di Santa Caterina. Ma la solitudine non gli impedì di incontrare persone desiderose di avere una guida spirituale, come anche di recarsi in visita ad alcuni monasteri presso Alessandria d'Egitto. Il suo ritiro eremitico, infatti, lungi dall’essere una fuga dal mondo e dalla realtà umana, sfociò in un amore ardente per gli altri e per Dio.
Dopo quarant’anni di vita eremitica vissuta nell’amore per Dio e per il prossimo, anni durante i quali pianse, pregò, lottò contro i demoni, fu nominato igumeno del grande monastero del monte Sinai e ritornò così alla vita cenobitica, in monastero. Ma alcuni anni prima della morte, nostalgico della vita eremitica, passò al fratello Giorgio, monaco nello stesso monastero, la guida della comunità. Morì intorno al 649.Divenne famoso per l’opera la Scala (klímax), conosciuta in Occidente come Scala del Paradiso. Composta su insistente richiesta dell'Igumeno del monastero di Raithu la Scala è un trattato completo di vita spirituale, in cui Giovanni descrive il cammino del monaco dalla rinuncia al mondo fino alla perfezione dell’amore.


Marco 9,17-31

In quel tempo uno della folla disse a Gesù: «Maestro, ho portato da te mio figlio, posseduto da uno spirito muto. Quando lo afferra, lo getta al suolo ed egli schiuma, digrigna i denti e si irrigidisce. Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti». Egli allora in risposta, disse loro: «O generazione incredula! Fino a quando starò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatelo da me». E glielo portarono. Alla vista di Gesù lo spirito scosse con convulsioni il ragazzo ed egli, caduto a terra, si rotolava spumando. Gesù interrogò il padre: «Da quanto tempo gli accade questo?». Ed egli rispose: «Dall'infanzia; anzi, spesso lo ha buttato persino nel fuoco e nell'acqua per ucciderlo. Ma se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci». Gesù gli disse: «Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede». Il padre del fanciullo rispose ad alta voce: «Credo, aiutami nella mia incredulità». Allora Gesù, vedendo accorrere la folla, minacciò lo spirito immondo dicendo: «Spirito muto e sordo, io te l'ordino, esci da lui e non vi rientrare più». E gridando e scuotendolo fortemente, se ne uscì. E il fanciullo diventò come morto, sicché molti dicevano: «È morto». Ma Gesù, presolo per mano, lo sollevò ed egli si alzò in piedi.Entrò poi in una casa e i discepoli gli chiesero in privato: «Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo?». Ed egli disse loro: «Questa specie di demòni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera».Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Istruiva infatti i suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell'uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà».
Ebrei 6,13-20

Fratelli, quando infatti Dio fece la promessa ad Abramo, non potendo giurare per uno superiore a sé, giurò per se stesso, dicendo: Ti benedirò e ti moltiplicherò molto. Così, avendo perseverato, Abramo conseguì la promessa. Gli uomini infatti giurano per qualcuno maggiore di loro e per loro il giuramento è una garanzia che pone fine ad ogni controversia. Perciò Dio, volendo mostrare più chiaramente agli eredi della promessa l'irrevocabilità della sua decisione, intervenne con un giuramento perché grazie a due atti irrevocabili, nei quali è impossibile che Dio mentisca, noi che abbiamo cercato rifugio in lui avessimo un grande incoraggiamento nell'afferrarci saldamente alla speranza che ci è posta davanti. In essa infatti noi abbiamo come un'àncora della nostra vita, sicura e salda, la quale penetra fin nell'interno del velo del santuario, dove Gesù è entrato per noi come precursore, essendo divenuto sommo sacerdote per sempre alla maniera di Melchìsedek.
APOLITIKION

* * * * *
Ταῖς τῶν δακρύων σου ῥοαῖς, τῆς ἐρήμου τὸ ἄγονον ἐγεώργησας, καὶ τοῖς ἐκ βάθους στεναγμοῖς, εἰς ἑκατὸν τοὺς πόνους ἐκαρποφόρησας, καὶ γέγονας φωστήρ, τῇ Οἰκουμένῃ λάμπων τοῖς θαύμασιν Ἰωάννη Πατὴρ ἡμῶν ὅσιε, πρέσβευε Χριστῷ τῷ Θεῷ, σωθῆναι τὰς ψυχὰς ἡμῶν.
Tes tón dakrìo̱n sou roés, tís erímou tó ágonon egeórghisas, kiè tís ek váthus stenagmís, is ekatón toús pónus ekarpofóri̱sas, kiè gégonas fostír, tí Oikouméni lámpon tís thávmasin Ioánni Patír imón ósie, présveve Christó tó Theó, so̱thíne tás psichás imón.
Con lo scorrere delle tue lacrime, hai reso fertile la sterilità del deserto e con gemiti dal profondo hai fatto fruttare al centuplo le tue fatiche, e sei divenuto un astro che illumina e risplende su tutta la terra. Per i tuoi prodigi, o santo padre nostro Giovanni, intercedi presso Cristo Dio per la salvezza delle anime nostre.

KONDAKION
Τῇ ὑπερμάχῳ στρατηγῷ τὰ νικητήρια, ὡς λυτρωθεῖσα τῶν δεινῶν εὐχαριστήρια, ἀναγράφω σοι ἡ Πόλις σου Θεοτόκε· Ἀλλ' ὡς ἔχουσα τὸ κράτος ἀπροσμάχητον, ἐκ παντοίων με κινδύνων ἐλευθέρωσον, ἵνα κράζω σοι· Χαῖρε νύμφη ἀνύμφευτε.
Ti ipermàcho stratigò ta nikitìria, os litrothìsa ton dhinòn evcharistìria anagràfo si i Pòlis su, Theotòke. All’òs èchusa to kràtos aprosmàchiton, ek pandìon me kindhìnon elefthèroson, ìna kràzo si: Chère, Nìmfi anìmfevte.
A te che, qual condottiera, per me combattesti, innalzo l’inno della vittoria; a te porgo i dovuti ringraziamenti io che sono la tua città, o Madre di Dio. Tu, per la invincibile tua potenza, liberami da ogni sorta di pericoli, affinché possa a te gridare: salve, o sposa sempre vergine.

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