MEDITAZIONE
La domenica delle Palme
La domenica che precede la solennità della Pasqua è detta “delle palme” sia in Oriente che in Occidente e commemora l’entrata di Gesù in Gerusalemme. Nella tradizione di Costantinopoli la “grande e santa settimana” comincia con il sabato di Lazzaro di cui si ha eco anche nella liturgia domenicale.
S. Giovanni Crisostomo e la lettura evangelica giovannea che mette in sequenza l’episodio della risurrezione di Lazzaro, l’ingresso di Gesù in Gerusalemme e la Pasqua. Il sabato di Lazzaro e la domenica delle Palme hanno un comune tropario di congedo, che unisce i due eventi alla luce della Passione e, soprattutto, della Risurrezione
Gesù entra in Gerusalemme per manifestare ancora una volta, prima della sua passione e per chi vuole vedere e ascoltare, che in lui si compiono le profezie. Le citazioni bibliche presenti nell’ufficiatura sono numerosissime: partendo da Mosè, Davide, Isaia, Sofonia, Zaccaria, Osea e altri ancora, il Messia e il Servo di Dio, Il Signore dell’universo e l’Agnello dal cui sangue verrà asperso il popolo della nuova alleanza si manifestano in un uomo preciso, che nell’oggi liturgico del memoriale entra a Gerusalemme seduto su un asino come sul trono dei cherubini.
Al Vespro : “Oggi la grazia dello Spirito Santo ci ha riuniti, e portando tutti la tua croce diciamo: Benedetto colui che viene nel nome del Signore, osanna nel più alto dei cieli”. Commentando proprio questo testo C. Andronikof,: “Questa anticipazione della Pentecoste, connessa con l’ingresso trionfale e con la crocifissione, ci fa pensare che, secondo l’ordine delle energie trinitarie, se il Cristo compie la legge e i profeti, lo Spirito Santo compie il vangelo. È lui che raduna in uno stesso spirito i membri della Chiesa perché ne abbiano l’intelligenza; è lui che fa di essi il Corpo di Cristo. Sarà questo il compimento del mistero pasquale, nella Pentecoste”. L’apparenza di Gesù lascia sconcertati, così che l’innografo, citando Isaia, ci fa cantare: “Colui che ha per trono i cieli e per sgabello la terra, il Verbo di Dio Padre, il Figlio a lui coeterno, viene oggi a Betania modestamente seduto su un puledro senza ragione”. Nel contesto veterotestamentario, l’asino era anche utilizzato per umili lavori, ma era anche, in tempo di pace, la cavalcatura di principi e re, Davide e Salomone, così come nel libro dei Numeri diviene uno strumento di cui il Signore si serve nei confronti del profeta Balaam. il passo del profeta Zaccaria che verrà letto: “Anche noi oggi, tutto il nuovo Israele, la Chiesa delle genti, esclamiamo con il profeta Zaccaria: Gioisci grandemente, figlia di Sion, da’ l’annuncio, figlia di Gerusalemme: ecco,il tuo re viene a te, mite e per salvare, montato su un puledro d’asina, figlio di bestia da soma”.
la risurrezione di Lazzaro con l’ingresso in Gerusalemme, “Prefigurando per noi la tua augusta risurrezione, col tuo comando hai risuscitato un morto, il tuo amico Lazzaro, oramai senza respiro, traendolo dal sepolcro già maleodorante, dopo quattro giorni, o buono; così pure sei salito su un puledro come su un cocchio, per dare un segno alle genti, o Salvatore; e così il diletto Israele ti offre una lode, dalla bocca di lattanti e di bimbi innocenti che ti vedono entrare, o Cristo, nella città santa, sei giorni prima della pasqua”.
I sei giorni prima della pasqua sono elemento tipico della lettura giovannea, che pone la morte del Signore la vigilia della pasqua di quell’anno, a differenza dei sinottici per i quali la morte di Gesù avviene proprio nel giorno di pasqua.
L’ultima strofa del Lucernario integra la lettura dell’ingresso in Gerusalemme di Giovanni “Sei giorni prima della pasqua Gesù venne a Betania, e gli si avvicinarono i suoi discepoli per dirgli: “Signore, dove vuoi che ti prepariamo per mangiare la pasqua? Ed egli li mandò: Andate nel villaggio di fronte e troverete un uomo che porta una brocca d’acqua; seguitelo, e dite al padrone di casa: il Maestro dice: da te farò la pasqua insieme ai miei discepoli”.
È così che l’ingresso in Gerusalemme di Gesù, che per chi lo sa vedere e accogliere ha un carattere trionfale mentre per chi ha il cuore indurito è scandaloso e addirittura ridicolo, oltre all’intronizzazione del Re simboleggia la preparazione dell’Agnello per l’immolazione,
Dio si fa incontro all’uomo, non esita a cavalcare una bestia senza ragione, simbolo della razionalità che vince l’irrazionale idolatria delle nazioni pagane, e colui che suscita rispetto e timore nelle schiere angeliche si lascia festeggiare dai bambini, che nella società del tempo erano davvero i meno considerati. D’altra parte le palme prefigurano la vittoria della risurrezione, mentre “il Signore entra nella città santa, affrettandosi a camminare verso la sua passione, per compiere la Legge e i Profeti”. Ora la divina economia si rivela in tutta la sua cruda realtà, e il fine è la nostra salvezza: “Gloria a te, o Cristo, che siedi nel più alto dei cieli e ora sei atteso con la tua venerabile Croce; la figlia di Sion si rallegra, i popoli della terra esultano di gioia, i fanciulli impugnano rami di palme, i discepoli stendono i loro mantelli, e tutto l’universo impara a cantare: Benedetto sei tu, o Salvatore, abbi pietà di noi”.
Al Mattutino, una strofa ricollega la festa oggi celebrata al cammino di preparazione quaresimale e al compimento di tutto: “Con rami di palme spirituali, con l’anima purificata, come i fanciulli esaltiamo con fede Cristo, acclamando a gran voce il Sovrano: Benedetto tu, che sei venuto nel mondo per salvare Adamo dall’antica maledizione, divenendo il nuovo Adamo spirituale, o amico degli uomini, secondo il tuo beneplacito. O Verbo che tutto disponi per il bene, gloria a te!”.
Il tropario che segue sembra quasi esprima l’impazienza di giungere al compimento: “Affrèttati, Figlio di Davide, a salvare coloro che hai plasmato, o Gesù benedetto! Per questo infatti sei venuto, affinché conoscessimo la tua gloria”.
Il sinassario si conclude dicendo: “nella tua ineffabile misericordia, o Cristo Dio nostro, rendici vincitori delle passioni irrazionali, e facci degni di vedere la tua splendida vittoria contro la morte, la tua luminosa e vivificante risurrezione”.
“Uscite, genti, uscite, popoli, contemplate oggi il Re dei cieli che si avvicina a Gerusalemme su un povero asinello come su un trono eccelso. Generazione adultera e incredula dei giudei, vieni e contempla colui che vide Isaia, venuto per noi nella carne. Vedi come egli sposa la nuova Sion quale sposa casta, e respinge la sinagoga riprovata. Come a nozze senza macchia né corruzione, accorrono acclamanti i fanciulli senza macchia e ignari del male: con loro anche noi acclamiamo, cantando l’inno angelico: Osanna nel più alto dei cieli, a colui che possiede la grande misericordia”.
La pericope evangelica cantata durante la Divina Liturgia è Gv 12, 1 – 18:
Gesù entra in Gerusalemme
I temi della morte e della vita introdotti dal racconto di Lazzaro continuano nell’episodio dell’unzione a Betania, posto all’inizio di questo capitolo
- L’unzione di Betania (12, 1-11) ha alla base il simbolo del profumo prezioso di nardo , del valore di trecento denari, quasi il salario annuale di un bracciante. Esso è interpretato dall’evangelista come un’anticipazione della morte, sepoltura e unzione del corpo di Gesù, un po’ come la risurrezione di Lazzaro era stata il segno della glorificazione del Risorto. In questa scena ci sono due sguardi contrapposti su Gesù: quello della donna e quello di Giuda. La donna pone Gesù al di sopra di tutto e indica un amore illimitato. Giuda pone il valore commerciale al di sopra della persona di Cristo. Con un commento che manca nei sinottici, Giovanni sottolinea l’attaccamento di Giuda al denaro. Maria, quindi, simboleggia qui il vero discepolo che riconosce che Gesù vale di più di tutto l’oro del mondo.
- La scena dell’entrata di Gesù a Gerusalemme (12,12-19), si svolge il giorno dopo l’episodio dell’unzione di Betania, dunque cinque giorni prima di Pasqua (12,1). Il particolare della folla che prende dei rami di palma, potrebbe ricordare la festa della Dedicazione del tempio dopo la profanazione di Antioco Epifanie: la folla si era recata con palme al tempio (2 Mac 10,7). E’ quindi possibile che essa sia andata incontro a Gesù come incontro a un re.
Giovanni sottolinea la portata messianica della scena mettendo, come i sinottici, sulle labbra della gente il Salmo 118, utilizzato per le grandi feste delle Capanne, di Pasqua e della Dedicazione, ma Gv è il solo che aggiunge al Salmo le parole “re d’Israele”.
Gesù non organizza il suo ingresso trionfale, ma la sobrietà, anziché ridurre la gloria del Cristo, la esalta: “Gesù trovato un asinello, gli sedette in groppa”. Gesto senza parole e tuttavia significativo per la folla e soprattutto per i discepoli che lo rileggono a fatto compiuto.
Giovanni infatti ama ricordare (vv. 14b-16) che soltanto la risurrezione ha permesso di rileggere le Scritture capaci di chiarire il comportamento e, attraverso esso, il mistero stesso di Gesù. Il comportamento di Gesù può essere interpretato come una rivelazione della sua identità messianica: egli è il re, ma cavalca un asinello alla maniera di Zc 9,9 che evoca l’evento di un messia mite e umile. Di fronte a questa manifestazione di tipo politico-nazionalistico che si svolgeva durante la festa della Dedicazione (la folla che gli andava incontro acclamava colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele), Gesù fa un gesto simbolico il cui senso non è accompagnato da alcuna parola, se non quella contenuta nel libro del profeta Zaccaria, accessibile ai suoi contemporanei che avevano familiarità con le Scritture.
Il vangelo di Giovanni collega e rilegge mirabilmente i tre tempi della storia della salvezza: l’Antico testamento, il tempo storico di Gesù e l’evento pasquale. Per il credente, comprendere Gesù vuol dire partire dalla sua risurrezione attraverso la croce, e rileggere il suo percorso storico accompagnandosi con il grande libro della Bibbia.
Ma la morte di Gesù non è solo un passaggio obbligato perché egli entri nella gloria, ma è la condizione perché la Chiesa nasca e si espanda a tutti gli uomini. Come il grano Gesù deve morire per poter portare frutto al mondo. La morte di Cristo è l’istante fondatore dell’essere cristiano, perché: “Là dove sono io sarà anche il mio servo” (12,26). I versetti 25-26 associano infatti la comunità dei credenti al destino di Gesù. Quelli che “amano la propria vita” sono, nel linguaggio giovanneo, quelli che preferiscono le tenebre, questo mondo, la propria gloria. I sinottici saranno più espliciti: “Chi perderà la sua vita per causa mia e del vangelo, la salverà” (Mc 8,35). Il discepolo deve andare dove va Gesù (“Se qualcuno mi serve, mi segua” v. 26), vale a dire deve entrare come lui nella morte per partecipare alla gloria. Solo in questo caso, dice Gesù,: “Il Padre lo onorerà”.
La domenica sera, durante il Vespero, viene ripreso il tema del Cristo Sposo, citando il profeta Osea: “Sinagoga malvagia e adultera che non hai serbato fedeltà al tuo sposo, perché tieni un testamento di cui non sei l’erede? Perché ti vanti nel Padre, tu che hai disonorato il Figlio? Non hai accettato i profeti che hanno annunciato il Figlio; ma allora vergognati, sentendo i tuoi figli acclamare: Osanna al figlio di Davide, benedetto colui che viene nel nome del Signore”.
Ora siamo proprio sulla soglia: la settimana santa sta per iniziare, siamo portati a contemplare la manifestazione più profonda dell’amore folle di Dio: “Dalle palme e dai rami, quasi passando da una festa divina all’altra, corriamo, o fedeli, alla venerabile solennità salvifica dei patimenti del Signore: contempliamolo mentre volontariamente si assoggetta per noi alla passione e dà la sua vita in riscatto di tutto l’universo. cantiamogli grati un inno melodioso, acclamando: O fonte di misericordia e poro di salvezza, Signore, gloria a te!”.
Nessun commento:
Posta un commento